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alla scelta ideale e politica

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 55-63)

Nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia fascista nell’Asse Roma-Berlino, Tamagnini viene richiamato alle armi dal servizio militare bellico. Utilizza questa parentesi temporale dal lavoro per continuare a studiare e insieme poter affrontare a Roma gli esami universitari.

In particolare, conscio della propria impreparazione professionale, cerca di approfondire le tematiche didattiche e pedagogiche del fare scuola, riservando uno speciale riguardo al problema dei metodi.

Legge in particolare testi di Decroly19, incuriosito e coinvolto nel voler capire la sua teoria psicologica e approfondire il problema del suo ‘metodo globale’. È alla ricerca della possibilità d’una modalità di intervento didattico che dia spazio agli interessi e ai bisogni di cono-scenza del bambino, che lo motivi, ponendolo al centro del processo d’apprendimento e non più lasciandolo passivo e succube, quale in-fatti era stata la sua esperienza d’alunno: succube di un’azione quasi sempre estranea alla sua – come a quella dei coetanei – viva curiosità e alla reale esperienza di vita.

Durante una licenza per convalescenza dal servizio militare nel 1942, completati nel frattempo gli esami universitari, si laurea al

19 Ovidio Decroly, (1871-1932), psico-pedagogista belga, contrappone alla frammen-tazione della scuola tradizionale il principio della globalizzazione e impernia l’attività didattica sui ‘centri d’interesse’. Fonda nel 1907 la Scuola dell’Ermitage, dove conduce un esperimento pedagogico all’insegna del motto “per la vita attraverso la vita”. Cfr., Una scuola per la vita attraverso la vita, 1921; La funzione di globalizzazione e l’inse-gnamento, 1929. Cfr., A. Goussot, La scuola nella vita. Il pensiero pedagogico di Ovide Decroly, Trento, Erickson, 2005.

Magistero di Roma con una tesi su Sergio Hessen20, autore neo-idealista consigliatogli dallo stesso Lombardo Radice.

Successivamente accade che al fronte viene colpito dalla malaria e in seguito ad un forte attacco della malattia viene trasferito all’o-spedale di Taranto. Superata la malattia, viene dimesso e usufruisce perciò di una licenza di convalescenza. Così rientra a casa, alla sua Frontale.

Il 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcano in Sicilia, quindici giorni dopo, il 25 luglio, c’è la caduta del fascismo e Mussolini viene arre-stato. Il Re nomina subito un nuovo capo del Governo: il Marescial-lo Pietro Badoglio. La guerra però continua. L’8 settembre Badoglio annuncia la firma dell’armistizio con gli Alleati. Le armate germa-niche scendono dalle Alpi e invadono la penisola. Il Paese è allo sfa-scio e l’esercito allo sbando. Il re Vittorio Emanuele III col capo del Governo abbandona la capitale e fugge precipitosamente a Brindisi.

In tale sconvolgente contesto Tamagnini a settembre è ancora in licenza dal servizio militare. Di fronte alla gravità degli eventi si dà

‘alla macchia’ fra le montagne marchigiane. Qui organizza un Grup-po di Azione Partigiana (GAP), diventando successivamente coman-dante della brigata partigiana locale.

L’attività partigiana svolta nella frazione di Frontale di Apiro ebbe notevole rilievo nel movimento di Resistenza nelle Marche. Diversi erano i gruppi che si muovevano in quella zona. Un primo nucleo partigiano si era costituito già alla fine del mese di settembre del ‘43.

Dapprima il gruppo di Frontale si limita a curare la sistemazione dei profughi fuggiti dai campi di concentramento e dei giovani renitenti alla leva. In una seconda fase il gruppo si arma e s’impegna nel con-trollo e nella difesa del territorio limitrofo. In questo tipo di attività si determina un impegno non solo politico-militare ma insieme

for-20 Sergio Hessen, (1877-1950), intellettuale russo, aderisce alla Rivoluzione d’Ottobre, nel 1923 espatria in Germania. Pedagogista appartenente alla corrente neo-idealista.

Nel 1949 scrive Pedagogia e mondo economico, l’ultima sua opera, in cui affronta i pro-blemi pedagogici di una società moderna ed industriale.

mativo, di condivisione solidale e sociale, di aspirazione alla libertà in una tensione ideale mirante ad una società oltre che più libera, più giusta.21 Così Tina Tomasi sottolinea il sorgere di un nuovo clima:

“… la resistenza è di per se stessa una scuola straordinariamente efficace che insegna ai giovani quello che i maestri hanno taciuto, li tempra nel carattere, propone nuovi ideali e nuovi compiti da assolvere …”22. La sua dura esperienza di vita fin dalla prima adolescenza e ne-gli anni della prima giovinezza, l’isolamento umano nelle esperienze d’Africa e nella capitale, le relazioni di solidarietà sociale e antifasci-sta nella Resistenza al nazifascismo lo porta già nel 1943 ad aderire al Partito Comunista Italiano. Non è una opzione casuale. È una scelta coerente con le sue radici sociali, il suo tenace impegno di riscatto sostenuto dal lavoro manuale e contemporaneamente dal bisogno di apertura e di studio. Rappresenta uno sbocco conseguente con la solidale militanza nella Resistenza. Era ovvio che da queste personali premesse di vita giungesse a scegliere l’organizzazione proletaria, il PCI, che meglio di altre espressioni politiche interpretava l’ingiu-stizia sociale, le sofferenze di vita, la lotta all’indifferenza passiva e alla sottomissione secolare ai padroni e alla Chiesa, prospettando un futuro di riscatto sociale comune.

“Noi giovani – rammenta – ci raccoglievamo intorno ai più vecchi, più vecchi anche di iscrizione al Partito, perché quello era un posto dove i comunisti c’erano sempre stati, anche durante il fascismo si facevano riunioni [ovviamente clandestine] e venivano persone da varie parti della provincia. Io partecipavo perché circolavano queste idee nella mia

21 Cfr., AA.VV., Tolentino e la resistenza nel Maceratese, Accademia Filelfica, Tolentino, 1964; R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, An-cona, Affinità elettive, 2008; C. Simoncini, (a cura di), Apiro pagine di storia e di vita, Apiro, 2007.

22 T. Tomasi, La scuola italiana dalla dittatura alla repubblica (1943-1948), Roma, Edito-ri Riuniti, 1976, p.52.

famiglia, un mio cugino in particolare era un dirigente comunista, non era molto attivo, ma ben preparato. Io allora partecipavo, ma non ave-vo capito, non l’approvaave-vo nemmeno perché era troppo rischioso e pri-ma della guerra non vedevo la necessità di una lotta sotterranea. Solo dopo la guerra capii l’importanza e il valore di quei gruppi che avevano mantenuto vivo il senso dell’antifascismo …”.23

Così, finita la guerra, concorre ad organizzare la sezione del PCI a Frontale.

Il suo impegno nel Partito si svolge essenzialmente sul terreno delle attività culturali e dei problemi della scuola. Entra a far par-te della commissione dell’Istituto Gramsci; l’Istituto, oltre alla sede centrale a Roma, si stava sviluppando con sedi periferiche in varie altre città del Paese.

Tamagnini si occupa e affronta incarichi specifici in particolare nel sindacato della scuola. Il suo impegno si svolge sostanzialmente a Fano e in provincia ma dopo la rottura dell’unità sindacale, avvenuta nel 194824, la frammentazione conseguente rende difficile l’iniziativa in loco e quindi si trova sostanzialmente solo e così partecipa saltua-riamente agli appuntamenti romani. In queste occasioni ha l’oppor-tunità di incontrare e conoscere insegnanti della sinistra militante residenti in varie altre regioni. Opportunità che in seguito gli darà modo di poter intraprendere e sviluppare la sua iniziativa tesa a far co-noscere il pensiero e le tecniche didattiche cooperative del Freinet25.

23 Intervista di L. Bettini, cit., p.21.

24 Alle elezioni del 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana conquista la maggioranza asso-luta dei seggi in Parlamento. Nonostante l’impegno personale di Di Vittorio, teso a man-tenere l’unità della CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), la DC spinge per la rottura del sindacato unico. Il nuovo sindacato cattolico viene denominato Libera CGIL ma poi, nel 1950, prende il nome di CISL (Confederazione Italiana Sindacati La-voratori). A questo segue nello stesso anno da parte della componente centrista laica (re-pubblicani e socialdemocratici) la costituzione della UIL (Unione Italiana del Lavoro).

25 Célestin Freinet, (Gars, Alpi Marittime francesi, 1896 - Saint Paul de Vence, 1966),

La sua attività politico sindacale si contrae notevolmente a partire dagli anni cinquanta, in quanto il suo impegno viene totalmente assorbito dall’iniziativa di promozione in Italia della ‘pedagogica po-polare’ e dall’organizzazione del movimento conseguente.

Egli comunque, pur non svolgendo direttamente un’attività po-litica, rimane sempre fedele alle scelte ideali democratiche e ai valori sociali da perseguire e affermare e per i quali si era impegnato prima nella Resistenza e poi in campo politico sindacale ma soprattutto pedagogico. Rimarrà iscritto al PCI fino al 1980, a settant’anni com-piuti.

Intanto l’esercito alleato, sbarcato in Sicilia nel luglio del 1943 e poi a Salerno nel settembre dello stesso anno, dopo il superamento della ‘Gustav Line’ era ulteriormente salito lungo la penisola fino a

fondatore e fautore in Francia e poi a livello internazionale della ‘pedagogia cooperativa popolare’. Diplomato nel 1915 e laureatosi nel 1923, anno in cui aderisce alla “Langue Internationale pour l’Ėducation Nouvelle”. Nel 1928 costituisce la CEL (Coopérative de l’Einseignement Laïc). Nel 1935 fonda una “scuola cooperativa sperimentale” privata in Provenza, a Vence, tutt’ora in funzione. Nel 1948 istituisce l’ICEM (Institut Coopératif de l’École Moderne) e nel 1957 dà vita alla FIMEM (Fedération Internationale des Mou-vements d’Ecole Moderne).

Cfr., fra l’altro di C.Freinet, La scuola moderna, (1946), Torino, Loescher, 1963; L’e-ducazione del lavoro, (1947), Roma, Editori Riuniti, 1977; La scuola del popolo, (1969), Roma, Ed. Riuniti, 1973; Le mie tecniche, Firenze, La Nuova Italia, 1990; La scuola del fare, Bergamo, Ed. Junior, 2002; Saggio di psicologia sensibile (Rieducazione di tecni-che di vita sostitutive), (1950-1968), (2 vol.), Roma, Ed. Anicia, 2014; Elise e Céle-stin Freinet, Nascita della pedagogia popolare, (1949), Firenze, la Nuova Italia, 1999.

Su Freinet cfr., A. Pettini, Le tecniche Freinet, Rimini, Ddcu, 1952; Célestin Freinet e le sue tecniche, Firenze, La Nuova Italia, 1966; R. Eynard, Célestin Freinet e le tecniche cooperativistiche, Roma, A. Armando Ed., 1968; G. Piaton, Il pensiero pedagogico di Célestin Freinet, (1974), Firenze, idem, 1979; G. Balduzzi, L’educazione del lavoro.

Célestin Freinet, Napoli, Ferrero Editore, 1983; M. Barré, Célestin Freinet un’éducateur pour notre temps, 1896-1936, (vol. 1°), 1936-1966, (vol. 2°), Pemf, Mouans-Sartoux (F), 1995-6; M. Rizzello, Freinet costruttivista, Lecce, Pensa MultiMedia, 2001; V.

Caporale, Freinet. Dalle tecniche alla cooperazione, Bari, ED. Cacucci, 2011; A. Gous-sot, (a cura), Per una pedagogia della vita (Célestin Freinet: ieri e oggi), Foggia, Ed. del Rosone, 2016; E. Gemma, Il pensiero di Célestin Freinet tra pedagogia e psicologia, Roma, Ed. Anicia, 2016.

giungere al limite appenninico della ‘Linea Gotica’. Terminato quin-di il conflitto bellico a sud quin-di tale linea, posta fra Massa Carrara e Pesaro, Tamagnini, ormai laureato, invece di attendere, stipendiato come militare ancora formalmente in servizio, rientra nella sua sede scolastica di San Felice e chiede di insegnare all’Istituto Magistrale.

Così ottiene l’assegnazione della cattedra di pedagogia e filosofia al

‘Magistero Professionale della Donna’ a Macerata (è l’anno scolasti-co 1944-’45). In proposito egli riscolasti-corda che:

“È stato proprio lì che ho cominciato ad approfondire alcuni problemi.

I testi scolastici non si trovavano, c’erano solo i vecchi testi della scuola fascista in cui era stata tolta solo la parte finale, ma in sostanza erano rimasti quelli di allora ed erano naturalmente discutibilissimi, quindi ogni insegnante cerca di adattarli un po’ alle proprie idee … Io allora per risolvere questo problema scrivevo in parte da me i testi, riassumevo da libri che avevo a casa, poi li passavo ad una ragazza che aveva la macchina da scrivere e faceva le copie per gli altri. Con questo lavoro io cominciavo ad approfondire, per lo meno a prendere contatto, a prende-re coscienza, dei problemi della pedagogia nuova, a conosceprende-re il Dewey in particolare …”26.

L’autarchia non solo economica ma soprattutto culturale del re-gime fascista aveva chiuso il paese alla penetrazione culturale dal mondo democratico. Si può dunque affermare che John Dewey in particolare rappresentava per la pedagogia del nostro paese una vera rivelazione del dopoguerra.27

26 Intervista di L. Bettini, cit., p.33.

27 Jhon Dewey, (1859 - 1952), pedagogista, filosofo e pensatore sociale progressista, originario del Vermont (USA). Partendo dal pragmatismo elabora lo strumentalismo.

Avvia all’università di Chicago nel 1896 una scuola-laboratorio, che rappresenta uno dei primi esempi di scuola nuova con l’applicazione di un metodo pedagogico attivo da lui stesso ideato.

Cfr., Il mio credo pedagogico, (1897), Roma, Tip. Unione Ed., 1913; Scuola e società, (1899), Firenze, La Nuova Italia, 1949; Democrazia e educazione, (1916), Firenze, La

Tamagnini scopre ed approfondisce l’elaborazione innovativa delle ‘Scuole Nuove’28 grazie al contributo pedagogico ed editoriale di Ernesto Codignola,29 e in particolare attraverso il testo ‘Le scuole nuove e i loro problemi’, già edito nel 1946. Proprio dalla lettura di questo testo Tamagnini ricorda:

“Andavo a cercare i testi degli autori che venivano citati: Kerschenstei-ner, Ferrière, Decroly … e così via ... Fu appunto approfondendo questi discorsi che cominciarono a venirmi dubbi sul metodo globale, perché il metodo globale mi si rivelò anche attraverso le lezioni che tenevo a scuola e dalle discussioni con gli studenti nelle quali continuavano a proporsi nuovi problemi.”30

Nuova Italia, 1949; Esperienza e educazione, (1938), Firenze, Raffaello Cortina, 2014;

Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull’educazione, (a cura di L. Borghi), Firenze, La Nuova Italia, 1954. Su Dewey cfr., T. Pezzano, L’assoluto in John Dewey. Alle origini della comunità democratica educante, Roma, Armando, 2007; A. Gentile, John Dewey.

I fondamenti della formazione in una società libera e democratica, Roma, IF Press, 2013;

M. Fiorucci e G. Lopez, (a cura), John Dewey e la pedagogia democratica del ‘900, Roma, Ed. Roma TrE-Press, 2017; L. Bellatalla, (a cura di), Ricostruire l’educazione.

Suggestioni deweyane, Roma, Anicia, 2016.

28 Cfr., https://gabriellagiudici.it/lattivismo-pedagogico-e-le-scuole-nuove/

29 Ernesto Codignola, (Genova, 1885 – Firenze, 1965), collaboratore di Giovanni Gen-tile nella stesura della riforma del 1923 e uno dei fondatori della casa editrice La Nuova Italia. Ha avuto un ruolo centrale nel dopoguerra nel far conoscere nel nostro paese l’elaborazione della pedagogia democratica e progressista laica. Nel 1945 ha fondato, a Firenze, la scuola sperimentale Scuola-Città Pestalozzi, tutt’ora in funzione e riferimen-to del locale Gruppo terririferimen-toriale MCE.

Cfr., E. Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, Firenze, La Nuova Italia,1946;

Un esperimento di scuola attiva: la scuola-città Pestalozzi, idem, 1954. Su E. Codignola cfr., L. Borghi, Ernesto Codignola pedagogista, Firenze, La Nuova Italia, 1960; AA.VV., Ernesto Codignola in 50 anni di battaglie educative, idem, 1967; A.Carrannante, Er-nesto Codignola nella pedagogia italiana, in: I Problemi della Pedagogia,1998, n. 1-3, pp. 49–87; G. Tassinari e D. Ragazzini, (a cura di), Ernesto Codignola pedagogista e promotore di cultura, Roma, Carocci, 2003.

30 Intervista di L. Bettini, cit., p.33.

L’anno scolastico successivo (1945-’46), a guerra conclusa, sareb-be dovuto rientrare in servizio nella sperduta scuoletta di San Felice (Sassoferrato/AN), un piccolo paese di alta collina a 650 metri sul livello del mare, ma, rinnovata la domanda per il servizio al Ma-gistrale, ottiene l’incarico come ‘insegnante di tirocinio’ all’Istituto Magistrale di Fano. Inizia così una nuova esperienza che segnerà non solo la sua vita ma dalla quale scaturirà la ferma consapevolezza del bisogno di un’altra scuola necessaria e possibile, aperta non solo alla modernità ma alla umana solidarietà attraverso la ‘cooperazione educativa’.

Immagine di una normale e storica disposizione dell’aula, spoglia, e di un’at-tività degli alunni, uniforme; caratteristica della classe per diversi decenni postbellici del nostro Paese. Da notare che fino al 1965 era in vigore una diffe-renziazione nella graduatoria concorsuale nella Scuola Elementare fra cattedre maschili e femminili.

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 55-63)