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Alla scoperta di pratiche educative nuove, diver- diver-se dal diffuso tran tran trasmissivo e ripetitivo

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 70-78)

La visita delle classi con le sue studentesse gli offriva allora solo l’op-portunità dell’osservazione critica di una realtà uniforme e grigia, non gli rimaneva che offrire l’analisi e il confronto con le letture di qualche brano di testi pedagogici d’avanguardia. Questo divario fra realtà e teoria lo motivò a cercare...

“... un modo di fare scuola, anzi meglio di creare una scuola in cui i bambini, restando bambini, fossero messi in condizioni di esprimersi con la loro ‘lingua’, di espandersi, di vivere, di maturare e arricchirsi assorbendo la linfa culturale della tradizione secondo la propria natura e utilizzandola creativamente per realizzare in sé la persona, il membro responsabile e disciplinato, e per ciò stesso libero, della comunità uma-na. Cercavo in sostanza un metodo coerente con i principi che anda-vo scoprendo approfondendo lo studio della pedagogia e meditando sui problemi sociali, stimolato dalle mie letture preferite di quel momento che erano principalmente Gramsci, Calamandrei e Salvemini. Ma tutti i metodi di cui venivo a conoscenza erano sempre subordinati alla di-sponibilità di mezzi e attrezzature e soprattutto di una strutturazione della scuola tali che da noi, nella situazione del momento, era pura utopia sperare.”41

Sembrava quasi impossibile ipotizzare una scuola diversa, come rico-nosce a posteriori egli stesso.

41 G. Tamagnini, La preistoria della C.T.S., in “Cooperazione Educativa”, anno XXX, n.

11-12, novembre-dicembre 1981, pp. 6-7.

“Non restava che cercare realisticamente un procedimento didattico ispirato ai principi della nuova pedagogia e che nello stesso tempo potes-se espotes-sere attuato lavorando tra le maglie delle strutture e leggi esistenti, sotto la sospettosa e vigile attenzione dei guardiani dell’ordine costituito e con i pochi mezzi a disposizione. A giudicare oggi, a distanza di tanti anni, bisogna riconoscere che insistere caparbiamente su una strada non solo piena di ostacoli, anche i più assurdi ed imprevedibili, ma prima di ogni ragionevole prospettiva, richiedeva più incoscienza che coraggio.”42 Tamagnini dunque ricorda:

“Dovendo orientare gli allievi maestri nel campo della didattica, in-soddisfatto di quanto ci offrivano in proposito le classi elementari che potevamo frequentare, ero alla ricerca di esempi pratici di procedimenti didattici scaturiti dai nuovi orientamenti pedagogici. La lettura del Dewey e degli autori a cui facevano capo quelle che Codignola in un libro uscito in quegli anni chiamava ‘Le Scuole Nuove’, se da un lato mi forniva materiale per le mie lezioni (ahimè quanto astratte e generiche!) dall’altro mi spronava alla ricerca di una scuola in atto che mi permet-tesse di vedere con i miei occhi quei principi tradotti in pratica didattica.

Ma da noi di scuole nuove da cui trarre esempi ve n’erano assai poche.”43 Aveva letto che in Italia c’erano state o in atto esperienze di ‘scuole nuove’: quella molto nota della Montessori, ampiamente conosciuta anche all’estero, il metodo delle sorelle Agazzi, la scuola di Milano La Rinnovata fondata da Giuseppina Pizzigoni, la scuola di San Ger-solè di Maria Maltoni, il Centro Educativo Italo-Svizzero (CEIS) di Rimini, istituito e retto dalla svizzera Margherita Zoebeli , ed infine a Firenze la Scuola-Città Pestalozzi, fondata da Ernesto Codignola con la collaborazione della moglie Annamaria.44

42 Ibidem, p. 7.

43 Intervista a cura di A. Scocchera, Giuseppe Tamagnini e il Movimento di Cooperazione Educativa, in “Educazione e Scuola”, anno II, n. 5, gennaio-marzo 1983, p. 49.

44 Cfr., E. Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, cit..

Fortemente motivato quindi dal bisogno di saperne di più e di ve-rificare direttamente queste esperienze va nel capoluogo lombardo.

“Ho visitato La Rinnovata di Milano, di cui era allora direttore Emilio Bernasconi45, con il quale rimasi poi in buoni rapporti, era una scuola di tipo professionale, una scuola che forniva mezzi […] il personale era ben preparato, la scuola aveva una sua tradizione ed era anche sovven-zionata dal Comune …”46.

Maria Tecla Artemisia Montessori, (Chiaravalle/AN, 1870 – Noordwijk/Olanda, 1952). Educatrice e pedagogista ampiamente nota anche all’estero. Nel mondo ci sono circa 22.000 ‘Scuole Montessori’ di ogni grado: nidi, materne, elementari, medie e an-che superiori. Ampia è la sua produzione pubblicistica. Cfr., A. Scocan-chera, Maria Montessori. Quasi un ritratto, Firenze, La Nuova Italia, 1990; G. Cives, La pedagogia scomoda, idem, 1994; G. H. Fresco, Maria Montessori, una storia attuale, Napoli-Roma, L’ancora del Mediterraneo, 2007; P. Giovetti, Maria Montessori. Una biografia, Rimini, Edizioni Mediterranee, 2009; P. Giovetti, Maria Montessori: Una biografia, Roma, Edizioni Mediterranee, 2019.

Rosa e Carolina Agazzi, (1866-1951; 1870-1945). Cfr., A. Agazzi, Il metodo delle so-relle Agazzi, Brescia, La Scuola, 1934; A. Milana, Metodi Agazzi e Montessori, Firenze, La Nuova Italia, 1986.

Giuseppina Pizzigoni, (Milano, 1870 – Saronno/VA, 1947). Cfr., Giuseppina Pizzi-goni, Le mie lezioni ai maestri d’Italia, Brescia, Ed. La Scuola, 1956; Luigi Romanini, Giuseppina Pizzigoni e la prima realizzazione di una pedagogia scolare autosufficiente, idem, 1958; Olga Rossi Cassottana, Giuseppina Pizzigoni e la Rinnovata di Milano.

Tradizione e attualità per la scuola primaria, idem, 2004; Sandra Chistolini, L’asilo infantile di Giuseppina Pizzigoni (Bambino e scuola in una pedagogia femminile del 900), Milano, Franco Angeli, 2009.

La Scuola-Città ‘Pestalozzi’, fondata il 15 gennaio del 1945 da Ernesto Codignola (vedi nota 29 a pag. 65). È stata a più riprese un punto d’incontro e di collaborazione per la CTS-MCE, prima e dopo il ‘68. Cfr., E. Codignola, La scuola-città Pestalozzi, in “Scuola e Città”, anno I, n. 10, ott. 1950; Franco Cambi, La scuola di Firenze da Codignola a Laporta, 1950-1975, Napoli, Liguori, 1982; P. Orefice, S. Dogliani, G.

Del Gobbo, (a cura di), Competenze trasversali a scuola. Trasferibilità della sperimenta-zione di Scuola-Città Pestalozzi, in “Scienze dell’educasperimenta-zione”, Pisa, Edizioni ETS, 2011;

www.scuolacittapestalozzi.it/

45 Emilio Bernasconi, (Como, 1898-1972), maestro e poi, dal 1932, direttore didattico a Milano dove fu anche docente delle scuole serali superiori. Tra il 1946 e il 1963 il B.

diresse la Scuola Rinnovata secondo il metodo Pizzigoni. Sostenne lo studio dell’am-biente tramite l’insegnamento della storia e della geografia secondo una metodologia attiva e l’educazione alla convivenza pacifica. Cfr., M. M. Rossi, Il Gruppo d’azione per le scuole del popolo di Milano (1919-1941), Brescia, La Scuola, 2004, pp. 192-194.

46 Intervista di L. Bettini, cit., p. 40.

Si trattava di un’esperienza sui generis, in sé significativa e “cer-tamente molto interessante”, ma il suo modello e le sue pratiche non si prestavano ad essere trasferite nella scuola pubblica statale e ancor meno nella fascia elementare.

Successivamente Tamagnini si reca in visita alla scuola elementare di San Gersolè, piccola frazione del Comune di Impruneta vicino a Firenze. Incontra la sua protagonista, la maestra Maria Maltoni47, che era stata molto pubblicizzata da Lombardo Radice.

“La sua scuola era basata sulla disciplina e sul disegno, con il disegno riusciva ad ottenere dei risultati meravigliosi … era disegno dal vero … ma per conto mio quel metodo andava bene per una scuola professio-nale, perché il disegno non era visto come attività espressiva ma come abilità puramente tecnica. La Maltoni era comunque riuscita a creare un ambiente favorevole, in cui i bambini erano gratificati, e una scuola in cui i bambini sono gratificati dà sempre buoni risultati … Con la Maltoni ci siamo poi incontrati a Siena e abbiamo parlato molto, ma lei non era d’accordo sul cercare un metodo diverso, sul cercare un mo-mento che viene prima di quello della realizzazione tecnica.”48

47 Maria Maltoni (Dovadola/FC, 1890 – Fiesole/FI, 1964). Ha insegnato per trentasei anni nella piccola scuola rurale di San Gersolè (Impruneta/FI), dal 1920 al ’56. Fu por-tatrice di un notevole rinnovamento, ispirato anche dai programmi ministeriali usciti nel ‘23 (Riforma Gentile), in particolare alle idee di Giuseppe Lombardo Radice che poneva una nuova attenzione sull’espressività del fanciullo (diario e disegno dal vero).

I suoi esiti didattici ebbero eco anche fuori dai confini nazionali. Cfr., M. Maltoni, (a cura di), I diari di San Gersolè, Firenze, Il Libro, 1949; I quaderni di San Gersolé, Tori-no, Einaudi, 1959; Il libro della natura (Dai quaderni di San Gersolè), ToriTori-no, Einaudi, 1963; Esperienza ed espressione a San Gersolè, Brescia, La Scuola, 1964.

Sulla Maltoni si veda: Francesco Bettini, La scuola di San Gersolè, Brescia, La Scuo-la, 1936; S. Ciceri Moscucci, Ricordo di Maria Maltoni, in “Scuola e Città”, n. 12, 1964; B. Salotti (a cura di), La maestra e la vita: Maria Maltoni e la scuola di San Gersolè, [Catalogo della mostra], Firenze, Noèdizioni, 2006.

Cfr, le tesi di laurea: N. De Reggi, Firenze Poggi e i bambini di San Gersolè, Univ.

di Firenze; V. Anichini, Esperienze educative e impegno pedagogico nell’opera di Maria Maltoni, idem, a. a. 2002-03.

48 Intervista di A. Scocchera a Giuseppe Tamagnini, cit., p.41.

A seguito di questo incontro con Tamagnini la Maltoni, che “segue la nostra attività, attraverso la lettura del bollettino ed il contatto con alcuni colleghi”, scrive al MCE su invito di Tamagnini medesimo “a condensare le sue osservazioni in un breve scritto”. Ed essa così rispon-de all’invito:

“Cari amici,

dalla nostra recente conversazione ho avuto un acquietamento interiore nei riguardi del vostro movimento perché mi sono accorta che abbiamo gli stessi fini, non usando forse gli stessi mezzi e qualche volta anzi, andandovi con mezzi opposti. Ad esempio io credo soprattutto nella concentrazione dell’alunno in sé stesso, per meglio esaminarsi, per me-glio esaminare gli ambienti e le cose, quindi nel lavoro compiuto in un sempre maggior ordine, in un sempre più raccolto silenzio. Intendo che si possa andare alla compagnia di altri solo quando si sia stati in com-pagnia di sé stessi e si sia raccolto intorno a noi tutto il nostro mondo interiore.

Non saprei e non avrei mai saputo costruire niente nel movimento, nel-la distrazione, nel frastuono (io chiamo frastuono, e intendo interiore, tutto quello che disturba il raccogliersi del pensiero su se stesso). Questo è per me un punto fondamentale e, come è ovvio, è tutto l’opposto della vostra preoccupazione nei riguardi della socialità. Si tratta quindi di vedere chi di noi ha ragione, considerando i risultati, badate i risultati certi e non ipotetici a cui gli uni e gli altri si arriva.

Ho l’impressione, e badate, è solo un’impressione basata su quello che da Voi ho sentito e che di vostro ho visto, che io giunga per la mia via, a lavorare in maggior profondità e completezza; a possedere con l’inte-ro individuo e l’intel’inte-ro ambiente in cui l’individuo vive, le chiavi per dirigermi e dirigere con più assoluta sicurezza cuori e menti là dove è necessario indirizzarli per trovare pascolo adatto ad ogni spirito.

Voi dei nostri alunni non possedete, forse, che frammenti superficiali;

il fondo dei cuori, dove si annida veramente il bene e il male, forse vi resta celato ed è là che l’educatore deve penetrare e vi può penetrare non mai in una numerosa brigata, ma solo, negli intimi accostamenti fra anima e anima, accostamenti che esigono l’ombra e il silenzio e una delicatezza di tatto che non si insegna, ma che con l’esercizio si

acqui-sta. E vorrei dirvi che io ho anche l’impressione (badate, parlo sempre di impressioni) che nella stessa spontaneità, quella stessa maturazione per acquistare il diritto all’autonomia più si avvantaggiano del silen-zio, del raccoglimento, non tumultuoso, nella solitudine, cioè, che del movimento, della conversazione e della non mai interrotta compagnia.

Se bene esaminiamo, la differenza fra i lavori che noi otteniamo mi dà ragione, io sento cioè, leggendo quello che i miei ragazzi mi esprimono di sé, un più virile accento, una maggior penetrazione di osservazione e di riflessione, una più minuta ed efficace espressione, che, intendiamoci, non ha valore che per la progressiva misura dell’uomo futuro che si va formando. Se avessimo il tempo per leggere tutte queste cose scritte da fanciulli che io posseggo, che per me non hanno un valore letterario, ma semplicemente un valore umano, quello che vorrei esprimervi con que-sta mia, balzerebbe anche agli occhi vostri come, con evidenza che non potrei più disconoscere, è balzato ai miei mentre lavoravo.

Poiché, cari amici, io sono arrivata alle mie conclusioni, senza partire da teorie preconcette, formatemi su nessun manuale, se mai, ai manuali sono giunta, chiedendo loro se avevo avuto torto o ragione, ad opera quasi compiuta e poco torto e molta ragione vi ho trovato. È per questo che sono incrollabile nelle mie convinzioni che se sono andate verso il nuovo, o il così detto nuovo, in quanto allo spirito, molto radicate sono ancora nel vecchio o così detto vecchio come mezzo.

E chiudo perché il troppo dire confonde, invece di chiarire e nella ver-bosità si smarrisce la verità.

Ho di voi la più grande stima e vi considero la speranza viva della scuola, ma credo che abbiate ancora bisogno di molto cercare, di molto riflettere, come tutti del resto, fino alla morte e … vorrei dire Oltre.

Maria Maltoni” 49

49 Maria Maltoni, Una lettera al M.C.E., in “Cooperazione Educativa”, n. 3, gennaio 1957, p. 4. Nel rapporto fra la Maltoni e l’MCE si veda: M. Maltoni, Lettera aperta al professor De Bartolomeis, in “Cooperazione Educativa”, n. 4-5, febbraio-marzo 1957, pp. 13-14; Bianca Fassino, Interiorità e socialità, leggendo la lettera di Maria Maltoni, idem, p. 10; Anna Fantini, Risposta alla lettera di M. Maltoni, idem, p. 13; M. Maltoni, Il disegno e la sua efficacia educativa, in “Cooperazione Educativa”, n. 8-9, giugno-luglio 1957, p. 8.

Ancora insoddisfatto dagli esiti da questi contatti ed incontri Ta-magnini si reca a Rimini al ‘Giardino d’infanzia italo-svizzero’, sorto nel 1945 con il sostegno del Soccorso Operario Svizzero ad opera di Margherita Zoebeli50, che prenderà successivamente la denomi-nazione di CEIS (Centro Educativo Italo-Svizzero). Allora comun-que l’esperienza era prevalentemente limitata ad un’attività di asilo assistenziale, funzionavano solo i tre anni di scuola materna. Solo in seguito verrà avviata anche la scuola elementare. Tamagnini co-munque coglie le notevoli capacità d’educatrice antidogmatica della Zoebeli, l’importanza che lei assegna ad una didattica per quanto possibile individualizzata ed insieme socializzata, capace di favorire contestualmente l’operatività e la creatività, una didattica orienta-ta prevalentemente sul Decroly. Proprio alla luce di quesorienta-ta prima impressione positiva egli, in seguito, porterà i suoi studenti a far visita alle classi elementari del CEIS, classi che si distinguevano per una notevole disponibilità di mezzi e di sussidi e praticavano una didattica aperta che tendeva a porre in pratica i principi della nuova pedagogia.

In quegli stessi anni Tamagnini viene a conoscenza anche della Scuola-Città Pestalozzi, creata dal professor Ernesto Codignola; espe-rienza organizzata ‘in comunità’ secondo il modello anglosassone, ispirata ai più avanzati e moderni principi educativi. Come lo stesso

50 Margherita Zoebeli, (Zurigo, 1912 - Rimini, 1996), educatrice e pedagogista svizzera.

Ha operato con il ‘Soccorso Operario Svizzero’ in aiuto a famiglie di operai in difficoltà o a famiglie in fuga dalle persecuzioni naziste, franchiste e fasciste. Si trasferisce dalla Svizzera a Rimini nel 1946, dove fonda e a lungo dirige il villaggio residenziale del CEIS. D’ispirazione socialista. Segue in particolare le idee dello psicologo e psicotera-peuta austriaco Alfred Adler (1870-1937), fondatore con S.Freud e C.G.Jung della psi-cologia psicodinamica. Nel 1938 rientrando dalla guerra civile di Spagna ha incontrato in Francia Freinet. Cfr., F. De Bartolomeis, Il Villaggio di Rimini, in “Scuola e Città”, anno III, n. 5, maggio 1952; AA.VV., Paesaggio con figura. Margherita Zoebeli e il Ceis, Rimini, Ed. Chiamami Città, 1998; Carlo De Maria, Intervento sociale e azione edu-cativa. Margherita Zoebeli nell’Italia del secondo dopoguerra, Bologna, CLUEB, 2012;

Carlo De Maria, Lavoro di comunità e ricostruzione civile in Italia. Margherita Zoebeli e il Centro educativo italo svizzero di Rimini, Roma, Viella Editore, 2015.

Codignola annota:

“Più che una scuola, nel senso tradizionale della parola, è organizzata in comunità di lavoro, un alveare di spiriti operosi ed alacri, in cui tutti, a turno, partecipano a ogni aspetto della vita collettiva, dalle mansioni più umili (pulizia delle aule e dei gabinetti, lavoro in cucina, rigovernatura) alle più alte (organizzazione delle cariche civiche, della disciplina collettiva, dell’amministrazione della giustizia, delle cerimo-nie solenni). Gli alunni, che stanno a scuola dalla prima mattina al tardo pomeriggio, imparano a considerarla come la loro effettiva casa e la loro effettiva città”51.

Tamagnini ne apprezza particolarmente i fini e l’impianto ma insie-me ne rileva le condizioni assolutainsie-mente particolari sia per la ricchez-za di mezzi a disposizione (impensabili allora nella scuola normale) che per il tipo di organizzazione, nonché per il contesto (la scuola era una delle ‘tre scuole’ riconosciute allora ufficialmente in Italia dal Ministero all’Istruzione come ‘sperimentali’) e quindi anch’essa la ritiene non riproducibile – a suo dire – nelle normali scuole statali.

Célestin Freinet nella seconda metà degli anni trenta con alcuni dei suoi alun-ni nella sua ‘scuola cooperativa’ di Vence in Provenza (Francia), da lui fondata nel 1935 e gestita insieme alla moglie Elise. Scuola sperimentale tutt’ora esi-stente, diventata nel 1990 ‘scuola statale’ con uno statuto speciale.

51 Ernesto Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, op. cit., p.95.

La scoperta di un maestro innovativo francese

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 70-78)