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il complessino tipografico

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 136-141)

L’introduzione del complessino tipografico in classe, di per sé costi-tuiva allora una palese rottura dell’immagine strumentale oltre che spaziale nella disposizione dell’aula scolastica, il cui arredo era uni-formemente disposto e composto da una cattedra sulla pedana, una lavagna e forse un armadio, le bancate allineate geometricamente di fronte alla cattedra, qualche murale oltre al crocefisso e alla foto del Presidente della Repubblica, immagine quest’ultima che, dopo il referendum costituzionale, aveva sostituito quelle del Duce e del Re.

Il complessino tipografico comprendeva: a) una piccola pressa a te-laio, semplicissima, munita di un sistema di pressione a leva, sicuro ed efficace, di facile uso e senza pericoli per i bambini; con essa si stampava su un foglio del formato di una pagina di libro o quader-no; b) una cassa di composizione; c) una serie di caratteri tipografici dal corpo scelto in rapporto al livello della classe (dal corpo 24 per la prima classe elementare fino al corpo 10 nelle scuole secondarie);

d) un certo numero di speciali compositoi per formare le righe62; e) un rullo a mano ricoperto di gelatina per inchiostrare; f) una placca per stendere l’inchiostro; g) un certo numero di interlinee di vari spessori formate da semplici ed economici listelli; g) delle pinze per operare coi caratteri; h) una spatolina per pulire in particolare i

ca-62 I compositoi, con vite serra caratteri, erano stati inventati dal Freinet per facilitare il lavoro di composizione indipendente per ogni singola riga (diversamente da come si operava nelle tipografie), in modo da poter far lavorare gli alunni in contemporanea e di semplificare il lavoro di composizione, correzione e successiva impaginazione.

ratteri; i) un po’ d’inchiostro tipografico; l) altro accessorio seconda-rio (stracci, alcool, uno specchietto per il controllo ortografico della composizione, bulini incisori e linoleum, …).

In assenza del complessino tipografico o a sua integrazione poteva esser usato il limografo (antenato del ciclostile) sia ad alcool con le relative matrici o addirittura ad inchiostro con le matrici usate per il comune ciclostile. Per le illustrazioni dei testi stampati venivano usati clichès ricavati operando direttamente con i diversi bulini su pezzi di linoleum (materiale allora usato per la pavimentazione delle stanze). Per mezzo del limografo e colorando poi a mano le immagi-ni realizzate, veimmagi-niva stampata l’illustrazione.

L’attività di composizione e stampa rompeva dunque lo schema spaziale consueto e smuoveva quello organizzativo e operativo: i banchi venivano dislocati in modo diverso, veniva introdotto quan-to meno un tavolino d’appoggio per la sistemazione dei materiali e per il lavoro comune, gli alunni si muovevano in un’autonomia responsabile oltre il proprio banco; l’attività della classe, oltre alla composta postazione e ascolto nel banco e all’interrogazione sulla pedana o di fronte alla lavagna, si svolgeva in modalità più libere e varie. Il lavoro comprendeva insieme scomposizione di funzioni e re-sponsabilità in una convergenza di obiettivi operativi e anche talora specificatamente formativi.

Oggi ci può forse sembrare insignificante questo libero sommovi-mento motorio e spaziale degli arredi e di responsabilità degli alunni ma allora, dopo un secolo di rigida disposizione statica dei pochi arredi e degli alunni immobili e in religioso ascolto, non appariva affatto tale, tutt’altro che accettabile, per taluni poteva apparire in-comprensibile, addirittura antieducativo.

Con l’attivazione didattica del complessino tipografico, disposto su un tavolino in uno spazio/angolo autonomo dell’aula, gli alunni infatti si muovono in autonomia per la scelta dei caratteri, la compo-sizione delle righe e la loro sistemazione in una paginetta, la

dispo-sizione della compodispo-sizione sulla piastra del complessino, l’inchio-strazione, la prima duplicazione a rullo, l’esame compiuto insieme dell’esito di prima stampa, l’eventuale intervento correttivo, quindi la duplicazione definitiva e l’esposizione dei fogli appena stampati perché asciughino. Quindi, dopo la composizione dei fogli in un giornalino, la pulizia e il riordino del complesso materiale tipogra-fico…

Tutto ciò costituisce dunque un piccolo laboratorio dentro l’aula tradizionale. Rompe uno schema classico. Richiede altri e nuovi compiti. Impone tempi e regole diversificate, impone nuove mo-dalità relazionali, diversi modi operativi e maggiori responsabilità singole e collettive. Insomma una piccola rivoluzione.

Comunque Tamagnini precisa a proposito dell’introduzione del complessino in classe che:

“La tipografia in sé e per sé non comporterebbe e non realizzerebbe alcuna sostanziale e decisiva modernizzazione della scuola se venisse usata alla stregua di un qualsiasi sussidio didattico nello spirito dei comuni procedimenti più o meno tradizionali; per dare i suoi veri frutti e rivelarsi per quello strumento prezioso di fecondo rinnovamento e di liberazione che noi decantiamo deve anzitutto inserirsi in una classe in cui sia già stato almeno approssimativamente risolto il problema dell’individualizzazione dell’insegnamento e del lavoro in gruppi, e in secondo luogo deve essere integrata da una corrispondenza interscolasti-ca assai vasta per mezzo della quale venga valorizzato il lavoro della classe ed alimentato permanentemente l’interesse63.

Ed infatti egli puntualizza:

La tipografia non può portare i suoi frutti se non usata nello spirito del testo libero: il ‘giornalino’ che si stampa dev’essere l’espressione libera del mondo del bambino e della sua personalità, non può essere legato a

63 G. Tamagnini, La tipografia a scuola, in “Circolare-Bollettino della C.T.S.”, n. 7, 4 dicembre, 1951., p.3.

nessun interesse predeterminato, a nessun svolgimento programmatico, a nessuna esercitazione scolastica: deve riflettersi fedelmente in esso la vita del bambino con la sua varietà di stimolo e di interessi e, sia pure, con la sua frammentarietà. […] Il bambino viene a scuola con un suo patrimonio di conoscenze più ricco di quanto normalmente si sia dispo-sti a credere, e quel che più conta viene a scuola già con una sua, sia pur embrionale, personalità. Se si vuole partire dal concreto è necessario che il maestro conosca quella personalità e faccia tesoro di quelle conoscenze già in atto; ma questa conoscenza implica un contatto diretto ed uno studio attento di ogni singolo bambino, cosa possibile soltanto se si mette il bambino – e non lo ripeteremo mai abbastanza – nelle condizioni migliori per manifestarsi […] Solo così sorgeranno in lui gli stimoli che lo porteranno ad un certo momento ad esprimere per iscritto quello che, per mancanza di tempo, non potrà raccontare a voce”64.

Queste considerazioni valevano per l’inserimento della tipogra-fia dalla terza alla quinta classe della scuola elementare, quando gli alunni possedevano già gli strumenti della letto-scrittura, come si era tentato nell’anno scolastico 1951/52. Nell’anno scolastico suc-cessivo viene impostata anche la sperimentazione dell’introduzione della tipografia nella prima classe elementare. Si trattava di includere lo strumento all’interno di un’articolazione complessiva del ‘meto-do naturale’, nei processi didattici fin dall’iniziale apprendimento della letto-scrittura. Siamo così di fronte ad una innovazione più radicale e impegnativa. Tamagnini in proposito scrive perciò una serie di articoli nel Bollettino della CTS per affrontare il problema dell’apprendimento, da attivare in prima classe in ragione dei mo-derni principi della psicopedagogia, secondo un impianto graduale di una letto-scrittura fondata, egli sottolinea, sull’esperienza diretta e libera del bambino.

64 G. Tamagnini, Problemi di didattica: il testo libero, in “Cooperazione Educativa”, anno II, n. 12, ottobre 1953, p.5.

“La didattica della classe prima costituì quindi uno spartiacque di notevole significato fra l’educazione formativa e l’istruzione concepita come mero addestramento”.65

Si veniva così rivoluzionando fin dai primi approcci dell’appren-dimento grafico espressivo l’impianto relazionale e didattico secon-do le pratiche di un ‘metosecon-do naturale’. L’uso del complessino viene così ad assumere un valore formativo, ben lungi dall’essere semplice strumento della pura composizione grafica e di duplicazione tipo-grafica di un testo.

Al di là della tecnica strumentale, legata all’uso del complessino tipografico, sono interessanti le modalità dell’approccio relaziona-le ad esso correlate, didatticamente proposte e perseguite, relaziona-le qua-li, superato oggi lo strumento tipografico tradizionale con le nuove tecnologie riproduttive e informatiche, mantengono però una indi-scutibile permanente attualità psicologica e formativa. Mutano nel tempo gli strumenti, cambia la tecnologia ma permangono la qualità delle relazioni e dei valori della didattica cooperativa.

65 A. Pettini, Origini e sviluppo della cooperazione educativa in Italia (Dalla CTS al MCE:

1951-1958), Milano, Emme Ed., 1980, pp. 47-48.

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 136-141)