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Un’ infanzia breve e un precoce avvio al lavoro

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 41-48)

Giuseppe Tamagnini nasce a Frontale, località montana marchigia-na in provincia di Macerata, il 20 settembre 1910, primogenito di una famiglia di artigiani. Il padre, falegname di mobili, trovandosi in grave difficoltà economica per scarsità di lavoro nella sua terra, emigra alla ricerca di una miglior vita. È l’inizio del secolo XX, carat-terizzato dalla grande emigrazione italiana verso “l’America”. Parte nel 1912 verso l’Argentina, alla ricerca di una possibile occupazione, così come hanno fatto in quegli anni tanti altri compatrioti dal sud al nordest dell’Italia. Sei mesi dopo verrà colpito dal tifo e mori-rà l’anno successivo. Così moglie e figli, che si stavano preparando per raggiungerlo in America Latina, rimarranno nella loro modesta Frontale. La madre per sopravvivere inizia a lavorare come sarta.

Chiamato dagli eventi, a sostituire la figura di capo-famiglia è il nonno paterno, falegname e artigiano poliedrico, al quale – ricorda con affetto Tamagnini – piaceva leggere nei giorni di festa e raccon-tare ai nipoti storie di vita. Fu l’unico grande maestro della sua vita, come egli ebbe più volte a ricordare e riconoscere.

Nel piccolo paese di Frontale, frazione che dista cinque chilo-metri dal centro di Apiro, c’era – allora – solo una scuola fino alla quarta elementare. Così Tamagnini, terminata la quarta classe, non può proseguire nel corso elementare superiore1 e, da subito, si

impe-1 L’introduzione dell’obbligo scolastico avviene con la legge Casati (impe-1859) del ‘Regno di Piemonte e Sardegna’, estesa poi nel 1861 al Regno d’Italia. A questa segue la leg-ge Coppino (1877) che, dato il permanere di un crescente livello di analfabetismo, prolunga l’obbligo scolastico da due a tre anni di corso. Solo con la legge Orlando

gna direttamente nell’assistere il nonno nell’attività di costruzione e rattoppo di botti, carretti, tavoli e infissi, operando in loco e girando alla ricerca di consegne nei paesini appenninici limitrofi.

L’esperienza scolastica di Tamagnini, bimbo mancino, è pedago-gicamente emblematica del suo tempo. Così infatti egli la ricorda:

“La maestra Giulia era buona, ma molto severa. Io ero mancino, ma non mi permetteva di scrivere con la sinistra, allora erano bacchettate sulle mani … belle bacchettate sulle mani, e seguivano i ceffoni di mia madre … perché io facevo tutto con la mano sinistra: mi arrivava, sen-za sapere il perché, costante un ceffone dalla mamma. Sicché lo scrivere per me era diventato un’ossessione e, in effetti, non ho mai imparato a scrivere velocemente.”2

Obbedienza, umile sottomissione, deferenza all’autorità: questi i principi storici ritenuti ‘naturali’ – perduranti ancora all’inizio del secolo ventesimo – che famiglia e scuola praticavano e che la gerar-chia sociale, sia religiosa che laica, esigeva a salvaguardia degli assetti religiosi e sociali, dominanti. Infatti i Programmi didattici del mi-nistro Orlando del 1905 (R.D. del 29 gennaio n.43) prescrivevano che la scuola per la formazione civica degli alunni “deve preparare cittadini onesti, amanti del lavoro, rispettosi delle leggi, pronti a servire

(n.407 del 8.7.1904) l’obbligo scolastico viene esteso alle classi della scuola elemen-tare ‘superiore’ (5° e 6° anno), cioè alla frequenza dal nono al dodicesimo anno d’età.

Questa norma durerà in vigore fino alla legge di riforma Gentile del 1923. Quest’ulti-ma eleva l’obbligo scolastico al quattordicesimo anno d’età. Limite che perQuest’ulti-marrà fino all’inizio del successivo secolo, portando l’obbligo scolastico almeno a dieci anni di percorso, cioè al 16° anno d’età, e quello formativo al 18° anno con la legge n. 296 del 27.12.2006, formulata dal governo Prodi.

Cfr., AA.VV., L’istruzione di base in Italia (1859-1977), Firenze, Vallecchi, 1978; B.

Vertecchi, La scuola italiana da Casati a Berlinguer, Franco Angeli, Milano, 2001.

2 Da una intervista a Tamagnini da parte di Lorena Bettini per preparare la sua ‘tesi di laurea’ sull’opera di Tamagnini medesimo, svolta nell’anno accademico 1994-’95 all’U-niversità di Ferrara.

la Patria”3; principi che naturalmente non vanno nella sostanza in-terpretati alla luce della società odierna ma a quella prevalentemente agropastorale di allora, ancorata a modelli e rapporti sociali e fami-liari ancora spesso quasi arcaici, specie nelle terre di provincia.

‘Pino’ aveva presto imparato dal nonno l’arte di trattare il legno con abilità, e le cose sembravano andar bene, ma nel 1926 il vecchio muore. Ancora adolescente, lui si trova dunque da solo a proseguire nell’attività di falegnameria per poter aiutare la madre e la famiglia a sopravvivere. Deve affrontare mestieri e avventure varie. Allora le condizioni di vita sugli Appennini marchigiani, come nel resto di gran parte della penisola, erano alquanto stentate. Pertanto nel 1930 inoltra, appena ventenne, la domanda per entrare come volontario nelle truppe coloniali.

Dal 1930 al ’32 svolge il servizio militare obbligatorio di leva, nella regione libica della Cirenaica, dove si era appena conclusa la lunga lotta libica di resistenza anticoloniale, capeggiata dal senussita Omar al-Mukhtar4.

Congedatosi, si trasferisce a Bengasi, dove, per mantenersi, svolge per un intero anno l’attività di autista di piazza. Insoddisfatto però per la scarsa gratificazione economica, ritorna alla sua Frontale. Qui riprende il ‘vecchio’ mestiere di falegname, affinando la sua attività professionale insieme ad altri artigiani del settore. Ma il lavoro pur-troppo continua anche qui a scarseggiare. Così dopo solo un anno

3 Cfr., E.Catarsi, Storia dei programmi della scuola elementare (1860-1985), Firenze, La Nuova Italia, 1990; A. Santoni Rugiu, Ideologia e programmi nelle scuole elementari e magistrali dal 1859 al 1955, Firenze, Manzuoli, 1980.

4 Omar al-Mukhtār (1861-1931) è stato un imam e capo guerrigliero libico cirenaico.

Ha guidato negli anni venti la resistenza anticoloniale contro l’occupazione militare italiana. Sconfitto, venne impiccato dal regime fascista. Caduto il fascismo, in Libia è diventato un eroe nazionale.

Cfr., A. Romei, Il leone del deserto. La guerriglia libica di Omar Muktar contro i fascisti italiani. La storia, la realtà e i dialoghi del film di Moustapha Akkad, Roma, Napoleone, 1985; N. Labanca, La guerra italiana per la Libia 1911-1931, Bologna, Il Mulino, 2011.

di permanenza nel suo paese natale nel settembre del ’34 prende la sua bicicletta e da Frontale si reca direttamente a Roma, si rivolge a casa di un amico che da alcuni anni si era trasferito alla ricerca anche lui di lavoro nella capitale. Neppure a Roma però era facile allora trovare occupazione. Comunque, data la sua duttile esperienza, sa adattarsi. Riesce così a sopravvivere svolgendo tanti piccoli lavoretti occasionali di sistemazione di arredi domestici in legno. Finché trova da impiegarsi stabilmente in un negozio di mobili, dove insieme al trasporto si occupa del loro montaggio e sistemazione direttamen-te nelle case dei clienti. Questo nuovo lavoro gli consendirettamen-te di avere diversi pomeriggi liberi. Pertanto, girando a Roma per il centro del-la città, nota del-la presenza di diverse scuole private destinate sia agli adolescenti che agli adulti, ai quali proponevano corsi accelerati di recupero scolastico. Tale possibilità solletica il lievitare di una aspira-zione da tempo repressa.

Assicuratosi un impegno lavorativo sufficiente a mantenersi, de-cide perciò di impegnarsi per cercar di recuperare quegli studi che da bambino e adolescente gli erano stati preclusi nella sua terra.

Così ricorda che nel novembre del ’34:

“Sono andato all’Istituto Giacomo Leopardi che si trovava a piazza del Gesù, ho parlato con il preside che mi ha fatto un sacco di domande sulle scuole frequentate, sugli studi, sulle mie intenzioni e ad un certo momento mi fa un discorsetto che mi smonta proprio, mi dice: - Guardi noi facciamo dei corsi accelerati, ma questa è una scuola che recupera, per chi è già andato a scuola, per chi magari è rimasto indietro in qualche materia, che ha sospeso lo studio per varie ragioni, intende riprenderlo e non vuole perdere altri anni … ma non abbiamo studenti che partono da zero, ma lei che cosa ha fatto? La scuola elementare – rispondo.

Allora sbarra gli occhi … aveva una bella barba … E aggiunge: – Ma solo la scuola elementare?

– Sì –

Poi mi dice: - Beh, forse con la buona volontà ce la potrà fare, però con

il latino come la mettiamo? Non ha fatto proprio niente di latino? – – No, sa alle elementari … –

– Ma niente, niente? –

– Beh, qualche cosa sì, perché quando io ero piccolo servivo la messa, la messa era in latino …. –

Allora si è messo a ridere e mi ha detto: - Senta, l’età della ragione ce l’ha … quindi veda lei, io le faccio tanti auguri. –

E così mi iscrissi …”5

Il giovane ma provetto falegname Tamagnini inizia così la sua nuova avventura da studente privatista anche se poco più che appe-na alfabetizzato. Avventura certamente singolare e azzardata. Ma la pulsione del desiderio e dell’aspirazione in lui erano forti.

Aveva già 24 anni quando si iscrisse al corso di preparazione per l’Istituto Magistrale. Scelta di studi da lui allora compiuta perché era un percorso più breve rispetto agli Istituti Tecnici e, forse, apriva una più rapida opportunità di lavoro, anche se – come confessa – “non è che io avessi passione per fare l’insegnante, per l’amor del cielo, la odiavo la scuola …”6.

Va ricordato che allora a seguito della riforma Gentile del ’23, l’Istituto Magistrale era infatti strutturato in due parti, il corso infe-riore della durata di quattro anni e quello supeinfe-riore di tre.

Tamagnini ovviamente affronta prima il corso inferiore, seguen-do le lezioni serali da novembre al giugno successivo. Compito diffi-cile da sostenere alla luce della sua breve e oramai lontana esperien-za scolastica. Alla mattina è al lavoro. Al pomeriggio solitamente, quando non ha impegni da lavoro, si documenta e studia. Alla sera frequenta il corso serale di tre o quattro ore.

Di quegli anni di studio-lavoro così Tamagnini ricorda:

5 Intervista a Giuseppe Tamagnini da parte di Lorena Bettini, testo tratto dalla sua tesi citata, alle pp. 15-16.

6 Intervista di L. Bettini, cit., p.16.

“Alla notte in genere studiavo, al mattino andavo a lavorare e al po-meriggio se avevo qualche ora libera andavo per le librerie vecchie per cercare libri usati.”7

I libri, infatti, in genere li cerca e li acquista di seconda mano a prezzi scontati. Prende duecento lire al mese e con quelle deve pa-gare l’affitto della camera, versare la quota per la frequenza al corso serale, acquistare i libri, provvedere a tenersi pulito e l’importo che gli rimane è la riserva per mangiare. Era una vita veramente dura, la sua, e tirata all’estremo: fra impegno di lavoro e insieme di studio, una sopravvivenza fisica ed economica che mette a dura prova la sua caparbia volontà. Comunque a giugno affronta l’esame e … lo supe-ra. Quindi, nonostante la spossatezza fisica e le difficoltà di vita per l’oneroso impegno, decide di affrontare a settembre del medesimo anno, la prova d’esame del corso magistrale superiore.

Impiega i suoi tre mesi d’estate procurandosi dei nuovi libri.

Prende però, questa volta, delle lezioni private e si immerge in un impegno di studio quotidiano totale e senza tregua.

A settembre del 1935 affronta e supera la prova d’esame, ottenen-do quindi l’ambito diploma magistrale. Tale quasi insperato traguar-do segna così una vera svolta nella sua vita. Successivamente, infatti, riesce ad impiegarsi – da diplomato – al Catasto di Roma, dove viene occupato nella trascrizione delle compravendite nei registri ca-tastali. Allora non esistevano le fotocopiatrici né tanto meno le altre diavolerie dattilo-riproduttrici elettroniche, tutto nella riproduzione era affidato, come da secoli, agli amanuensi.

Non pago del diploma magistrale e, stimolato dai soddisfacenti risultati ottenuti, s’iscrive al corso per la maturità scientifica (suo sogno) e supera anche questo esame. L’intenzione, spinto dal suo percorso operativo di vita a Frontale, era di iscriversi alla facoltà uni-versitaria di ingegneria. Ed è con tale obiettivo che aveva appunto

7 Ibidem, p.17.

affrontato l’esame al Liceo Scientifico. Ma, informatosi, scopre pur-troppo che il corso universitario d’ingegneria richiedeva l’obbligo alla frequenza, obbligo che certo non si poteva conciliare con il suo parallelo impegno di lavoro (irrinunciabile per potersi mantenere).

Amareggiato si vede quindi costretto a rinunciare a questa sua viva aspirazione.

Un esempio ‘modello’ di classe negli anni della dittatura con il maestro in di-visa del regime fascista.

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 41-48)