• Non ci sono risultati.

L’esperienza del tirocinio all’Istituto Magistrale

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 63-70)

La cattedra di tirocinio, soppressa nel 1923 dal ministro Giovanni Gentile, viene reintrodotta nel ’45 dalla ‘Commissione di revisione dei programmi elementari’ diretta di fatto dall’americano Carleton Washburne 31. Viene così rivalorizzato l’aspetto operativo, metodo-logico didattico, dell’azione docente nella Scuola Elementare, aspet-to che era staaspet-to non solo svalutaaspet-to ma negaaspet-to dalla riforma idealistica di Gentile del ’23.

In questa nuova esperienza Tamagnini si trova pienamente a suo agio. Per questa cattedra non ci sono nei primi anni del dopoguerra precise indicazioni e vincoli programmatici. Il docente titolare della cattedra di ‘esercitazioni didattiche’ si può quindi muovere in assolu-ta libertà pedagogica. Così egli utilizza quesassolu-ta libertà culturale e pro-fessionale per impegnare i suoi studenti nelle letture dei pedagogisti moderni, ad iniziare dal Dewey e dagli autori che facevano capo a quelle che il Codignola in un libro – uscito in quegli anni – chiama-va “Le Scuole Nuove”. In proposito egli ricorda:

31 Carleton Wolsey Washburne, (Chicago, 1889 – Okemos, 1968), è stato un pe-dagogista statunitense fautore dell’educazione nuova che si rifaceva al Dewey, auto-re del cosiddetto Piano di Winnetka. Partecipando con le truppe USA allo sbar-co in Sicilia e alla sbar-conseguente campagna militare nella nostra penisola, in ragione della sua significativa esperienza pedagogica in America, viene incaricato dall’Am-ministrazione Alleata (1944-’46) di seguire la defascistizzazione della scuo-la italiana. Dal 1946 al ‘48 è direttore dell’U.S.I.S. a Miscuo-lano per l’Italia del Nord.

Cfr., C. Washburne, Le scuole di Winnetka, Firenze, La Nuova Italia, 1952; Coscienza sociale e democrazia nell’educazione, in “Scuola e Città”, anno III, n. 7-8, luglio-ag. 1952, pp. 265-271; Le scuole di Winnetka, idem., n. 9, sett. 1952, pp. 296-307. Cfr., C.W.

Washburne, Winnetka. Storia e significato di un esperimento pedagogico, Firenze, La Nuova Italia, 1960; Renzo Valli, Il Piano di Winnetka, (1952), Firenze, Sansoni, 1961.

“In parte distribuivo io i libri, in parte assegnavo una bibliografia e, siccome ero anche direttore della ‘Biblioteca comunale Federiciana’ di Fano, feci acquistare alla biblioteca un certo numero di libri di peda-gogia e li mettevo a disposizione dei ragazzi. Poi attorno ad un certo problema i ragazzi facevano una ricerca che relazionavano successiva-mente in classe. Questo lavoro cominciò a dare i suoi frutti perché le re-lazioni mettevano in luce altri problemi e su questi quindi si discuteva.

Quello che andavamo scoprendo con le nostre ricerche era molto diverso da ciò che vedevamo durante le visite alle scuole …”32

In quest’opera di vera ‘rivoluzione cultural-pedagogica’ Tamagni-ni poteva inoltre contare sul concorso dei nuovi programmi didattici del ’4533 e sul contributo dei Consigli per la modernizzazione della scuola elementare 34, le cui indicazioni si ponevano non solo in

aper-32 Intervista di L. Bettini, cit., p.35.

33 Il ministro Guido De Ruggiero con la collaborazione degli Alleati il 28.07.1944 istitu-isce la ‘Commissione per la revisione dei programmi della Scuola Elementare e Mater-na’. Vi fa parte determinante il pedagogista americano Carleton Washburne. Nascono così nel 1945 i Programmi di studio per la Scuola Elementare, (D.M. del 9.02. n.459 e D.L.gt 24.05. n.549) che resteranno in vigore per un decennio, cioè fino al 1955.

Questi programmi introducono diversi aspetti innovatori d’ispirazione deweyana;

innanzitutto annullano sul piano educativo la distinzione tra scuole urbane e rurali, maschili e femminili. Influenzati dal Washburne, indicano un’azione didattico educa-tiva non più autoritaria e competieduca-tiva, ma comunitaria, basata sull’autogoverno (quale forma ideale di disciplina tesa alla socialità), sulla responsabilità insieme individuale e collettiva, finalizzata all’educazione al senso civico dei bambini, base della formazione democratica. Al posto dell’impianto nazionalista e razzista sollecitano una dimensione umana di fraternità e fondano l’insegnamento religioso non sul catechismo ma sul Vangelo. Purtroppo in assenza di un’azione ministeriale conseguente di formazione-aggiornamento docente, tali programmi rimangono di fatto sulla carta, disattesi se non ignorati da Direttori Didattici e ovviamente dai maestri e dalle maestre.

34 I Consigli per la modernizzazione della scuola elementare vengono elaborati da Giu-seppe Luigi Ferretti e pubblicati a Palermo per l’Amministrazione Alleata nel 1943.

Giuseppe L. Ferretti, (1880 – 1950), personalità siciliana anticonformista e antifa-scista, prof. alla Scuola Normale, poi docente di pedagogia all’Università di Catania e di Palermo. Cfr., G. Ferretti, Scuola e democrazia, Torino, Einaudi, 1956; V. D’Ales-sandro, G. F. e il rinnovamento della pedagogia, Firenze, 1959; L. R. Patané, G. F. e il fascismo, in Scuola e città, XXV, (1984), pp. 97-101.

to contrasto con quelle precedenti ma pure in aperta contesa con le stesse pratiche didattiche assolutamente uniformi e tradizionaliste in atto nella scuola e ampiamente indicate dall’autorità scolastica. Pra-tiche autoritarie e appiattenti che l’autarchia culturale del ventennio fascista non solo aveva favorito ma imposto nella formazione della cultura e della mentalità docente.

Tamagnini ricorda che nella quasi totalità delle classi visitate allo-ra insieme ai suoi studenti nella sua attività di tirocinio si presentava un’aula fornita solo di cattedra sulla pedana, accanto era sistemata la lavagna, disposto di lato forse un armadio-scaffale e un cestino, i banchi erano realizzati per coppia di alunni e incolonnati (le ban-cate rigidamente allineate) e forniti di calamai incastrati nella parte anteriore del piano di scrittura, alle pareti era appeso forse qualche vecchio tabellone sanitario e/o geografico, con la presenza talora del-la bacchetta suldel-la cattedra a disposizione deldel-la maestra/o e destinata al palmo delle mani di qualche bambino/a. Vigeva insomma una pratica didattica consueta e sedimentata, per lo più autoritaria, pres-soché immobile nel tempo: lettura collettiva con richiami personali per il controllo manuale del segno, studio passivo sul libro di testo (fonte pressoché esclusiva del sapere e della verità), dettato ortogra-fico e dettatura di regole e nozioni, esercizio-problema, compiti da eseguire a casa, ripetizioni a memoria, interrogazioni sulla cattedra e alla lavagna, prove scritte collettive, ricopiatura ripetitiva di un testo per gli errori o per punizione, silenzio assoluto con le mani dietro la schiena o gli avambracci appoggiati sul piano del banco, sguardi e richiami ripetuti, castighi diversi fra i quali in piedi o in ginocchio dietro alla lavagna o addirittura fuori della porta dell’aula, giudizi in voti numerici. E confesso che anche il mio ricordo personale di alunno della scuola elementare di quegli anni del primo dopoguerra non è diverso da tale quadro35.

35 Si veda ad esempio in proposito il testo di Albino Bernardini, Le bacchette di Lula, Firenze, La Nuova Italia, 1969.

Anche la pedagogista Tina Tomasi, a proposito del clima postbel-lico e a conferma di un tale clima, annota:

“Appare da subito evidente che la resistenza manca della forza e della coesione necessarie per imprimere il nuovo corso, sperato e sognato nella clandestinità. La stanchezza e il desiderio di una vita tranquilla, non importa quale, si diffondono rapidamente […] al clima eroico si sosti-tuiscono il grigiore della vita comune attenta alle difficoltà quotidiane […] e lo scetticismo circa la realizzazione di grandi ideali”36.

Se questo giudizio era valido per la società nel suo complesso risultava ancor più evidente se riferito alla scuola di base, dove l’at-teggiamento supino e ossequiente della ‘maggioranza silenziosa’, controllato e favorito dalla Amministrazione scolastica e dalla Chie-sa, risultava essere allora, e per molti anni ancora, una situazione generalizzata. Dovremo arrivare al post ’68 e all’inizio degli anni ’70 per registrare un risveglio diffuso anche nella scuola.37 D’altro canto, dopo la prima ventata innovativa con il secondo ministero di Alcide De Gasperi – espulsi i social-comunisti dal Governo e salito al Mini-stero della Pubblica Istruzione il democristiano Guido Gonnella – si andava affermando il primato culturale della famiglia sulla scuola pubblica e il peso conservatore della Chiesa di Pio XII sull’Italia tut-ta. In questo clima generale di restaurazione le visite alle classi con i suoi allievi confermavano al Tamagnini l’ignoranza didattica dei docenti verso i programmi del ’45 e risultavano quindi deludenti gli esiti rispetto ai fini innovativi per i quali erano stati redatti. Ernesto

36 Tina Tomasi, La scuola italiana dalla dittatura alla Repubblica (1943-1948), Roma, Editori Riuniti, 1976, p.74. Si veda anche dell’autrice: Idealismo e fascismo nella scuola italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1972.

37 Cfr., M. Barbagli, M. Dei, Le vestali della classe media, Bologna, Il Mulino, 1969; M.

Barbagli, Sistema scolastico e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, 1969; C. Betti, F.

Cambi, Il ‘68. Una rivoluzione culturale tra pedagogia e scuola. Itinerari, modelli, frontie-re, UNICOPLI, 2011; M. Boato, Il lungo 68 in Italia e nel mondo, Brescia, La Scuola, 2018.

Codignola infatti, ancora nel ’50, denuncia che la scuola italiana...

“... coltiva le peggiori inclinazioni alla passività, aborre dall’effettiva indipendenza del giudizio, lascia inoperose le attività creatrici, pro-muove lo spirito gregale e conformistico”.38

Così anche Tamagnini infatti ricorda quegli anni:

“Noi vedevamo come non si doveva fare scuola, in senso negativo era sempre valido, ma di positivo non c’era niente da prendere, soprattutto perché la metodologia era sempre così tradizionale, ma oltre a ciò anche perché la situazione era molto artificiosa, innaturale … un gruppo di persone estranee lì a guardare, mentre la maestra stava davanti agli scolari.”39

Quando dalla visita di classi elementari gli studenti rientravano all’Istituto Magistrale con l’insegnante di tirocinio disposto all’a-scolto, si apriva solitamente una discussione. Ogni volta emergeva evidente la discrepanza fra quanto proposto nelle letture indicate dal professor Tamagnini e quanto visto fare uniformemente da maestre/i e alunni nelle diverse classi visitate. Risultava evidente un contrasto fra la scuola reale e le letture e le proposte delle ‘scuole nuove’ presen-tate dal Tamagnini medesimo.

Anch’egli si trova dunque in una situazione d’imbarazzo, perché pure lui si muove su un piano sostanzialmente teorico non sapendo dare concrete risposte e indicare precise proposte ai suoi studenti, con suggerimenti capaci di conquistare la loro partecipazione effetti-va e non solo scolastica. Come poterli convincere del fatto che un’al-tra scuola diversa e ‘attiva’ era concretamente fattibile anche nelle loro realtà? Vive dunque il contrasto non solo fra teoria e pratica ma

38 E. Codignola, La scuola-città Pestalozzi, in “Scuola e Città”, n. 10, ott. 1950, p. 408.

39 Intervista di L. Bettini, cit., p.38.

pure fra i suoi ideali di libertà e solidarietà, esaltati nella Resistenza, e l’assenza di una didattica coerente con tali modelli etici e principi sociali. Il suo cruccio allora si traduce nel ricercare e trovare almeno fuori da Fano e provincia un’esperienza che dimostrasse che quanto leggevano fosse non solo teoricamente interessante ma praticamente possibile, concretamente fattibile e, se pur eccezionalmente, messo concretamente in atto.

Sono anni, quelli del primo dopoguerra, di un suo intenso onere cultural-professionale. Tamagnini, oltre al lavoro all’Istituto Magi-strale di Fano, dal 1948 al 1952 ricopre l’incarico di Direttore della Biblioteca “Federiciana”40. Importante incarico che poi abbandonerà in ragione dell’intenso e responsabile impegno assunto nel promuo-vere e dare vita al movimento didattico-pedagogico – sulle tracce e le indicazioni di Freinet – della C.T.S..

40 La Biblioteca “Federiciana” è una istituzione storica italiana con sede a Fano, fondata nel 1681 da Domenico Federici. Dal 1861 passò dai Padri Filippini al Comune di Fano. Oltre al Sistema bibliotecario promuove attività culturali, mostre e convegni.

Cfr., Franco Battistelli (a cura di), Biblioteca federiciana, Fiesole, Nardini, 1994.

Alcuni esemplari di pubblicistica sull’opera di e su Célestin Freinet. È ora ampiamente diffusa non solo in Francia ed Italia ma in tutto il mondo. Fino alla formazione della C.T.S. e alla pubblicazione di Aldo Pettini, Le tecniche Freinet (Rimini, Studio Editoriale ODCU, 1952) e poi per iniziativa di Ta-magnini la pubblicazione del libro di Elise e Célestin Freinet, Nascita di una Pedagogia Popolare (Firenze, La Nuova Italia, 1955) Freinet era del tutto sconosciuto non solo nella scuola ma pure nelle Università del nostro Paese.

Alla scoperta di pratiche educative nuove,

Nel documento della Cooperazione Educativa in Italia (pagine 63-70)