Matteo Massarell
2. L’apprezzamento del georgico in epoca romana e nel Rinascimento
Possiamo dunque affermare che nell’antichità romana era di so- lito preferito un paesaggio costruito con sapienza, coltivato, curato:
un paesaggio dunque georgico piuttosto che bucolico. Una preferenza che riguardava non solo la produzione letteraria, ma anche il pensie- ro generale, tanto che l’apprezzamento per la natura addomesticata è documentato non solo dal fiorire di approcci artistici, ma anche dalla diffusione, a partire dal sec. I a.C., di trattati di res rustica, volti a spie- gare elementi di tecnica agraria, conduzione ideale delle aziende, ecc., opere celebri di autori quali Varrone, Plinio, Columella, Palladius, ecc.. I trattati di res rustica contribuirono a diffondere la preferenza per i paesaggi georgici anche tra gli umanisti dei secc. XV e XVI:4 in
questo periodo, durante il quale in numerose regioni europee i capitali mercantili furono stornati verso l’investimento fondiario in campagna, si diffuse l’adozione di stilemi ispirati all’antichità romana, per esem- pio nella disposizione e tipologia delle essenze vegetali, sia nei giardini sia nei campi coltivati. Come nell’antica Roma, si cercava di migliorare esteticamente tutto ciò su cui arrivava a stendersi lo sguardo.5 Visuali
prospettiche, assi di simmetria, composizione geometrica di aiuole e campi agricoli erano chiamati ad instaurare una coerenza strutturale e formale che investisse tutto ciò che era catturabile dallo sguardo, in un crescente abbattimento dei confini tra gli spazi chiusi dei giardini e la campagna aperta. Brani di paesaggio agrario erano così accolti nei giar- dini stessi, a partire dalle tecniche di coltivazione e dalla disposizione delle piante, con la frequente adozione di modelli romani. Inoltre, le piante del giardino erano prevalentemente le stesse dei campi coltivati, come testimonia la moda della coltivazione di alberi da frutto, anche nani. Nel risultato finale, che univa utile e diletto, il paesaggio agrario conteneva, diluiti, gli elementi del giardino, e questo riproponeva in scala ridotta e concentrata gli elementi del paesaggio agrario circostan- te (Acidini Luchinat, Galletti 1995,25; Pozzana 1990, 9 e 116; v. figg. 1 e 2).
4 Una parte della manualistica rinascimentale, basti citare Leon Battista Alberti, si rifa-
ceva esplicitamente a quella romana antica, con frequenti riferimenti a Vitruvio, Plinio, Varrone, Columella.
5 Questo processo trovò le sue prime coscienti applicazioni soprattutto in ambito fio-
rentino, mediceo in particolare: basti pensare alla villa medicea di Careggi e al suo giar- dino, dove Cosimo il Vecchio cercò di ricreare lo stile di vita in villa tipico degli antichi romani e in parte anche l’uso degli spazi verdi tipico dei filosofi greci, riproponendo l’otium romano e un’atmosfera capace di evocare le ambientazioni delle passeggiate peripatetiche. Non a caso, la selezione botanica favorì le piante sacre alle divinità mi- tologiche o diffuse nei giardini dell’antichità, riprendendoli dalle descrizioni romane, soprattutto Plinio (Colucci 2004, 409).
Figura 1. Giusto Utens, Villa medicea di Castello (olio su tela, 1599 circa), Fi- renze, Museo Firenze com’era (Inv. Sop. 1890/6316). In questo dipinto cele- brativo e solo in parte realistico, si nota l’integrazione, evidentemente voluta e progettata e dunque enfatizzata dall’autore, tra giardino e campi coltivati (notare in particolare le geometrie dei campi agricoli in primo piano, al di fuori dei confini del giardino), determinata da allineamenti e forme geome- triche nella disposizione di elementi vegetali, viabilità, edifici, muri, ecc..
Figura 2. La Villa di Castello a Firenze: l’immagine satellitare mostra l’integrazione (a livello di visuali prospettiche e allineamenti di vialetti, alberature, siepi, ecc.) ancora esistente tra giardino e campi coltivati circostanti.
Nel Rinascimento la valorizzazione estetica e paesaggistica dei luo- ghi avveniva non solo per evocazione e ripresa cosciente e coerente dei modelli romani, ma anche per ristrutturazione degli elementi materia- li superstiti della civilizzazione agraria antica, in un dialogo costruttivo tra riflessione storica e progetto. Emblematico di questa tendenza è ad esempio il caso della piana di Firenze, dove si ebbe un utilizzo anche sce- nografico della centuriazione romana, base di una partitura territoriale comprendente coni ottici che inquadrano le ville signorili poste nell’am- bito pedecollinare (Poli 1999, 112-113; Poli 2008, 25). Oppure è il caso di Bologna, nei cui dintorni, soprattutto a partire dal Cinquecento, si moltiplicarono le ville di delizia dell’élite socio-economica cittadina con risistemazione delle aree circostanti. Dopo secoli di relativo abban- dono, fu così operata una radicale bonifica dei terreni, riprendendo le tracce dell’antica centuriazione romana, le cui maglie ortogonali furono evidenziate da eleganti rettifili di pioppi e utilizzate per determinare l’an- damento di canaline di scolo e colture: tra queste furono preferite quelle raccomandate dagli autori di res rustica, come ortaggi e soprattutto viti e alberi da frutto, che andarono a decorare anche i giardini delle ville (Cinti 2004, 275-280).
L’apprezzamento per una natura coltivata, addomesticata, georgica, piuttosto che selvaggia, incolta, incontaminata, bucolica è rintracciabile anche in varie relazioni dei viaggiatori del Grand Tour relative ad alcuni paesaggi italiani.6 Emblematico è soprattutto il caso della Campania,
che molti visitatori tra Sette e Ottocento osservavano come se fosse una campagna antica, con le sue alberate già segnalate da Plinio il Vecchio e le viti maritate ad alberi che disegnavano i festoni citati da Virgilio e Orazio. Il corrispondente visivo di queste descrizioni è la pittura di Jacob Philipp Hackert, pittore di corte di Ferdinando IV a Napoli nella seconda metà del Settecento. Non tutti erano entusiasti di riscontrare somiglianze effettive tra i paesaggi dell’Italia dell’epoca e quella antica,7 6 Molti viaggiatori “[…] ricercavano nel paesaggio agrario della penisola i caratteri
ascrivibili al mondo rurale classico” (Agostini 2009, 15). Un notevole numero di visi- tatori, comunque, apprezzava soprattutto i paesaggi evocatori di scenari idilliaci, come le cascate di Tivoli, oppure desertici e improduttivi: non a caso la Campagna romana fu celebrata da innumerevoli letterati e artisti.
7 Con ironia, Thomas A. Trollope rilevava come le campagne toscane fossero coltivate non
per rispondere a esigenze produttive, bensì a canoni estetici nei quali si inverava di stagione in stagione la tradizione colturale antica: “L’Italia della classicità continua a coltivare le vigne come al tempo delle Georgiche e a maritarle nella maniera più acconcia e pittoresca a gelsi e a olmi, facendo degli eccellenti festoni e un vino mediocre” (in Brilli 2004, 464).
ma i paesaggi italiani erano spesso osservati per la loro capacità di evo- care certi caratteri descritti dagli autori dell’antichità romana (Agostini 2009, 9, 15 e 79-83; Baldeschi 2011, 29-30 e 40; Marcone 2011, 205). In alcuni casi, i colti visitatori decisero di trasferirsi in via defi- nitiva nei luoghi che li avevano colpiti, comprando case, ville, giardini e terreni, trasformati per farli somigliare ai loro ideali estetici. Si venne così a delineare una crescente spaccatura tra la concezione estetizzante dei paesaggi italiani, diffusa soprattutto tra i nuovi arrivati dall’estero, e i moderni approcci orientati alla produzione agricola: è questa scis- sione ad arrivare anche ai giorni nostri, ponendo seri dilemmi alla pia- nificazione paesaggistica e territoriale. In Toscana, tale dicotomia era particolarmente evidente già nel Sette-Ottocento, quando i granduchi lorenesi promulgarono leggi e promossero studi volti ad intensificare la produzione agricola toscana, così da rispondere alle richieste di una po- polazione in forte aumento e garantire crescenti profitti ai proprietari terrieri (Gisotti 2008). L’interesse degli agronomi toscani per l’estetica delle coltivazioni e del paesaggio restava sullo sfondo rispetto alle con- siderazioni sull’utilità, la produttività, la convenienza economica e, di- remmo oggi, la ‘sostenibilità’ di certe scelte agronomiche. Tuttavia erano le regole implicite nella conduzione mezzadrile del podere, tipica del tempo, a favorire comunque un risultato estetico. D’altronde, come già avevano intuito alcuni scrittori di res rustica (basti leggere alcuni passi di Varrone),8 la disposizione più corretta e funzionale delle piante e delle
infrastrutture agrarie determina il miglior risultato estetico possibile, poi apprezzato paesaggisticamente da artisti e cittadini in villeggiatura.