Giuseppe Pandolf
6. Una nuova estetica per la neoruralità?
Se quindi l’agricoltura capitalistica in transizione ricerca espressa- mente una dimensione estetica del paesaggio, così non può dirsi per alcuni tipi di agricoltura contadina.8 L’agricoltura contadina (o quella
di loisir periurbano), infatti, non è sempre in grado di produrre spon- taneamente, come accadeva storicamente, dei ‘bei paesaggi’. Il frazio- namento fondiario, la mancanza di ordine e di gerarchia, la presenza di manufatti di fortuna, l’uso di materiali sintetici o fuori contesto,
8 L’agricoltura contadina corrisponde parzialmente alla definizione di “neoruralismo
eco-contadino” che Michele Corti (2007) tende a concepire come antitetico al “ne- oruralismo edonistico urbano”; pur riconoscendo contaminazioni possibili tra i due “discorsi”, tendenzialmente l’autore attribuisce un valore positivo alla conversione al “neoruralismo” dei produttori agricoli esistenti o delle loro famiglie, mentre legge con diffidenza l’enfasi posta sul ruolo di nuove figure (neo o post-contadini, aziende bio ecc.) privi di “continuità con la tradizione rurale”. Tale approccio non dà però conto della innovazione agronomica e della rielaborazione delle tradizioni rurali operata dalle “altre agricolture” (Magnaghi 2012).
Figura 7. La cattiva multifunzionalità genera le siepi ‘urbane’ in ambito rurale, in alloro o lauroceraso per recintare (come in questo caso) piscine o resort di lusso mascherando le reti che fiancheggiano le strade extraurbane. Tutelare il caratte- re ‘aperto’ del territorio agricolo diviene oggi una priorità per le comunità locali.
trasmettono talvolta il sentimento della dissoluzione del paesaggio rurale.9
Una spiegazione sul perché sia avvenuto questo cambiamento la possiamo trovare nel fatto che l’agricoltura premoderna aveva a dispo- sizione solo materiali organici o naturali (pietre, calce, laterizi, legno, fronde e paglia) e le infrastrutturazioni della superficie agricola richie- devano molto tempo e onerosi lavori, quindi erano assai ridotte, men- tre adesso sono disponibili a basso costo materiali costruttivi sintetici, che consentono di farne in quantità elevata, così come sono economi- camente eseguibili riporti di inerti o lastricature. Inoltre, l’orticoltu- ra o il piccolo allevamento prossimi alle abitazioni mezzadrili o alle fattorie sfruttavano gli spazi edificati già esistenti per rimessaggio o ricovero di macchinari e utensili. L’agricoltura di piacere, con fondi isolati e naturalmente lontana dalle abitazioni, presuppone sempre e comunque la proliferazione di strutture più o meno precarie come baracche, casupole, ricoveri.10 Lo stesso problema si presenta con la
transizione di molte aziende periurbane verso la produzione di filie- ra corta. L’agricoltura di prossimità si caratterizza per la produzione ortofrutticola, per l’allevamento da carne, latte e derivati e uova: tutte attività che per garantire dodici mesi all’anno di produzione e buona resa hanno necessità di strutture più o meno permanenti quali stalle, tettoie, serre, cassoni di semina, ricoveri provvisionali di fieno e mangimi.11 Inoltre la specificità dei terreni agricoli pe-
riurbani, stretti fra la domanda di espansione e la richiesta di agri- coltura di loisir, innesca dei circoli viziosi che favoriscono forme di accesso alla terra ‘precarie’ o di breve durata temporale, causa prima sia dell’aspetto di provvisorietà che assumono le sistemazioni e le in-
9 Per fare un esempio, recentemente nella redazione del Regolamento Urbanistico di un
Comune chiantigiano quasi tutti i centri urbani maggiori e minori sono stati circondati da ampie aree definite di degrado (“frazionate di influenza urbana”) ed assoggettate a “riqualificazione”, ed in tali aree non casualmente ricadono ampie fasce ortive, agricol- tura di piacere, aziende biologiche o comunque volte alla filiera corta: questo perché l’aerofotogrammetria consegna immagini di parcellizzazioni, usi plurimi (maneggi, ri- coveri, ecc.), e policoltura spinta, del tutto antitetici alla idea che il paesaggio di qualità sia quello ben organizzato e ‘pulito’ delle colture specializzate (seminativi, vigneto e oliveto) da grande azienda.
10 Si tratta di un problema che la stessa LR 1/2005 intervenendo sull’agricoltura si è
posta, cercando un difficile equilibrio tra esigenze agronomiche e tutela del paesaggio.
11 Le aziende tradizionali che producono olio e vino, colture essenzialmente volte alla
esportazione regionale o nazionale, necessitano infatti in proporzione di minori superfi- ci edificate e minori infrastrutture, soprattutto nel caso di SAU estese.
frastrutturazioni dei fondi sia della proliferazioni di volumetrie più o meno incongrue (fig. 8). 12
Infine, si consideri anche l’effimera durata di opere e materiali del- la modernità, dal calcestruzzo alle lamiere metalliche ai laminati e film plastici, e il venir meno delle abilità manuali o delle conoscenze tecniche contadine, quel sapere diffuso che produceva muri a secco, recinzioni in legno o frasche, potature adeguate, siepi, manufatti minori in muratura.
12 La pressione della domanda urbana di spazi per agricoltura di piacere droga anche il
mercato immobiliare e fa lievitare i prezzi dei terreni, rendendo più difficile l’accesso alla terra, soprattutto in quelle fasce prossime all’urbano dove maggior senso avrebbe l’agricol- tura di filiera corta. Questo fenomeno si somma alla più robusta attesa edificatoria di chi confida nella espansione infinita dell’urbanizzato. L’ultimo censimento nazionale ISTAT dell’agricoltura 2010, non casualmente, fotografa una realtà nazionale di trasformazione della struttura agricola e zootecnica che, pur continuando a basarsi su unità aziendali di tipo individuale o familiare (96%), nelle quali il conduttore gestisce direttamente l’attività agricola (95%) su terreni di proprietà sua o dei suoi familiari (65,5%), dal punto di vista della struttura fondiaria vede incrementi di oltre il 50% della SAU in affitto e di oltre il 70% della SAU in uso gratuito; poiché in Toscana si è avuta in 10 anni una diminuzio- ne in cifre assolute del numero di aziende agricole (-38%) che però corrisponde ad una diminuzione molto minore della SAU totale (-11%), se ne può dedurre che molti ter- reni delle aziende agricole scomparse si rendono accessibili solo con affitti o comodati. Figura 8. Disordine, materiali poveri ed effimeri: l’agricoltura contadina periurba- na porta spesso queste stimmate.
Non tutte le innovazioni prodottesi a partire dalla critica della mo- dernizzazione agricola, ossia della cosiddetta ‘rivoluzione verde’ fondata su chimica e meccanizzazione (imposta da FAO e FMI in tutto il pia- neta a scapito delle agricolture di sussistenza contadine) contribuiscono quindi univocamente alla creazione di un nuovo bel paesaggio agricolo. Fra i diversi modelli di agricoltura innovativa, pur scontando alcuni li- miti intrinseci, l’‘agricoltura contadina’, tanto nelle forme semiprofes- sionali o hobbistiche quanto in quelle professionali, emerge però come la più coerente con un modello di sostenibilità complesso e integrato (nel quale siano presenti al tempo stesso ambiente, territorio, socialità e nuova identità), pur con gli aspetti problematici legati alla produzione di valore estetico delineati poc’anzi.
Fra i vari filoni dell’agricoltura contadina13 è possibile rintracciarne
alcuni nei quali si evidenzia una particolare attenzione a criteri di soste- nibilità ambientale di materiali e manufatti. Essi possiedono delle pecu- liarità che si traducono in un insieme coerente di caratteri, derivanti da una ratio agronomica e delle tecniche di coltivazione, che possono essere così sintetizzate:
• propensione verso forme e modelli di agricoltura sostenibili (integrata, biologica, biodinamica, sinergica, ecc.) che consentono una maggio- re biodiversità nell’intorno delle colture o al loro interno per l’assen- za di erbicidi, per la tolleranza o la reintroduzione nella unità coltu- rale di siepi, filari, ecc.;
• dimensioni contenute delle singole aree a coltura, sia per la ridotta su- perficie totale dell’unità aziendale sia per la scelta tendenziale di dif- ferenziazione (policoltura) e di chiusura dei cicli al posto delle coltu- re estensive;
• avvicendamenti colturali spinti, consociazioni, rotazioni nei seminativi e nelle colture orticole al posto della specializzazione monoculturale; • minimum tillage (filosofia della riduzione delle lavorazioni ridon-
danti e del connesso dispendio energetico), uso di inerbimenti, di pacciamature, di rivestimenti del suolo al posto delle estese superfici dissodate e denudate per diversi mesi dell’anno;
• recupero-rifunzionalizzazione di sistemazioni tradizionali agronomiche e del suolo (canalizzazioni, terrazzamenti, ciglionamenti, sesti di colture, ecc.); • inserimento di manufatti o opere funzionali alle attività no food o se- condarie dell’unità: aie di cippatura per biomasse, campi solari, aree
attrezzate per ricettività, annessi o strutture per ecodidattica, per agricoltura sociale o per fattoria didattica, bunker o spazi di conser- vazione naturali di alimenti e preparati, ecc.;
• inserimento di manufatti e sistemazioni funzionali alle attività princi- pali dell’unità, tanto di autoconsumo quanto di produzione di sur- plus per la vendita o lo scambio; manufatti tanto più precari e prov- visionali quanto minore è la superficie del fondo:14 stalle e ricoveri
per animali di corte, locali per la vendita diretta in campo, ricoveri di arnesi e attrezzature, spazi di trasformazione-stoccaggio derrate, ecc.. I caratteri specifici di queste forme di nuova agricoltura contadina sostenibile evidenziano diverse tematiche controverse legate alla perce- zione estetica dei paesaggi che esse producono. In questo caso non si tratta tanto di aspetti che rimandano a immagini di desolazione o ab- bandono del paesaggio tradizionale, ma semmai dell’introduzione di ele- menti di trasformazione all’interno del mosaico tradizionale ricomposto dalla pratica agricola.
Tali trasformazioni comportano, come anticipato in apertura, delle novelties o retro-innovazioni (Magnaghi 2012; Ploeg 2011) che si ri- fanno alla tradizione innovandola: non sono cioè una semplice ripropo- sizione di forme e sistemazioni agrarie pre-moderne (fig. 9).
Nelle ‘altre agricolture’ contemporanee si supera, infatti, anche la scienza agronomica pre-modernizzazione, che per quanto forte fosse la sua ricerca di un rapporto con la saggezza e il conoscere ‘sapienziale’ della civiltà contadina era comunque spesso fondata su lavorazioni in- tensive del suolo, su forti concimazioni, sulla estirpazione dai coltivi di piante spontanee, ecc..15
L’elemento di maggiore rottura con il passato tradizionale, ma anche con il passato recente della agroindustria, consiste certamente nella so- stituzione al lavoro umano, meccanico o animale, del ‘lavoro della na- tura’. La natura viene messa al lavoro in vari modi: con funghi, batteri o con i residui vegetali della pacciamatura; con le erbe spontanee negli inerbimenti guidati (aggiornamento del tradizionale sovescio); con gli insetti utili e gli antagonisti naturali in sostituzione dei trattamenti chi- mici; con il pascolo brado di animali al piede delle colture arboree in sostituzione di sfalci e lavorazioni meccaniche.
14 Collegato a questo aspetto c’è il connesso problema del diritto edificatorio di annessi,
secondo la LR 1/2005.
15 In Toscana un mirabile esempio di scienza agronomica del periodo precedente alla
Le ‘nuove agricolture’ non consegnano ‘ricostruzioni del passato’ ru- rale, come invece è facile trovare dopo la ristrutturazione a fini turistici e commerciali di borghi e borghetti agricoli trasformati (o talvolta edificati ex novo) secondo una mimesi pedissequa di un passato banalizzato e di maniera, fatto di facciavista fasulli in pietre e laterizi e di viali in cipressi alla Cecil Pinsent persi nel nulla. Le nuove agricolture, sostenibili e attente alla lezione del paesaggio tradizionale, richiedono che assieme alla costru- zione del territorio rurale vi sia la definizione di una nuova estetica del pa- esaggio, così come è sempre avvenuto nella storia. I campi inframmezzati da siepi e strisce inerbite non possono essere apprezzati con i canoni clas- sici, che della campagna toscana apprezzavano gli ordinati giardini rurali e i pittoreschi poderi mezzadrili. Le nuove agricolture per essere apprezzate esteticamente richiedono un gusto contemporaneo che sappia valorizzare anche alcuni aspetti di disordine, spontaneità, irregolarità, frutto della ap- plicazione dei nuovi criteri agronomici ispirati alla sostenibilità.16
16 Questa ricerca è ancor più necessaria se giustamente leggiamo “nei fenomeni di ’ri-
popolamento rurale’ e nei nuovi patti città campagna che restituiscono centralità al modo di produzione contadino nel produrre cibo sano, qualità ambientale e Figura 9. La ‘buona’ multifunzionalità genera in questo caso restauro dei terraz- zamenti storici con muri a malta di calce e sistemazioni policolturali razionali a cavalcapoggio, in un mosaico con sistemi forestali che garantisce anche una di- screta permeabilità ecologica.