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La bellezza del ‘selvaggio’ in epoca moderna e contemporanea

Matteo Massarell

4. La bellezza del ‘selvaggio’ in epoca moderna e contemporanea

È dunque nel corso del Cinquecento e in via definitiva e irreversibile nel Seicento che, a partire dalla pittura e dall’arte dei giardini, l’osser- vazione paesaggistica cominciò a porre in secondo piano gli elementi produttivi. Nel Settecento questo processo è già compiuto, tanto che il paesaggismo romantico focalizza la sua attenzione prevalentemente sugli aspetti reputati ‘selvaggi’ della natura. I caratteri produttivi del paesaggio furono così relegati in una posizione marginale dalla trionfante estetica del pittoresco, che ha contribuito in misura rilevante alla formazione del gusto comune della società contemporanea, con il conseguente scolla-

Figure 3 e 4. Ville della Pe- traia e di Castello a Firenze, piante aromatiche (salvia) e agrumi in vaso, essenze utilizzate ancora oggi come piante ornamentali, secon- do la tradizione risalente all’antichità e ripresa nel Rinascimento.

mento tra paesaggio, oggetto di attenzione estetica privato di caratteri produttivi agricoli (e magari desertico o selvaggio), e territorio agrico- lo, percepito solo come ambito produttivo (Baldeschi 2011, 21-26; Gisotti 2008, 17-18; Luginbühl 1995, 318). E così la scissione tra bellezza e aspetti produttivi è un dato evidente della cultura contempo- ranea (fig. 5).

La sfida per il prossimo futuro è quindi superare la dicotomia tra pro- duttività da un lato e bellezza dall’altro: solo in questo modo potranno essere evitate le derive vissute già dalle precedenti civilizzazioni, quando la sfera produttiva e quella contemplativa sono state separate. Una sfi- da che la società contemporanea sembra pronta ad accettare: bellezza e contemplazione sono considerati in misura crescente come valori fonda- mentali nel processo di identificazione collettiva e personale con i luoghi, come dimostrano i numerosi movimenti in difesa di bellezza e salubrità del territorio, oltre che la definizione stessa di ‘paesaggio’ delineata dalla Convenzione europea. Non si può infatti non notare l’incalzante desiderio di un paesaggio bello e utile al tempo stesso, come documenta per esem- pio la crescente richiesta di coltivare orti e giardini nelle fasce periurbane o all’interno dei centri urbani, negli ambiti verdi interstiziali degradati, Figura 5. Filippo Napoletano, La merenda sull’erba (olio su tela, 1619), Fi- renze, Galleria degli Uffizi (Inv. 1890 n. 557). Nel corso del Seicento, a partire dalla pittura, si afferma definitivamente la preferenza per i paesaggi bucolici, selvatici o comunque non coltivati, ameni e rasserenanti, alla base del pae- saggismo inglese e infine della predilezione contemporanea per i paesaggi reputati ‘selvaggi’.

come su balconi e finestre di palazzi e grattacieli. L’attuale situazione di crisi strutturale dell’economia potrebbe essere adatta a garantire l’inte- grazione fra funzionalità ed estetica già auspicata dai trattatisti antichi di res rustica, maestri di stile paesaggistico e governo del territorio con la loro ricerca di un’adeguata sintesi tra utilitas e venustas. A differenza di quanto previsto nell’antichità classica e nel Rinascimento, non dovran- no essere tanto le élites socio-economiche a determinare e gestire questo processo, quanto l’intera collettività, che, nel suo crescente desiderio di prendersi cura dei propri territori e paesaggi, palesa obiettivi di produ- zione agricola, di diletto e contemplazione estetica, di adeguata gestione delle risorse naturali. D’altronde, gli ambiti agricoli non producono solo alimenti, ma permettono lo svolgersi di numerose attività, alcune tra- dizionalmente collegate con la ‘campagna’, come la vacanza, il relax, la pratica di attività all’aria aperta, la meditazione e la riflessione, ecc., altre affermatesi (o ri-affermatesi) in anni più recenti, quali la gastronomia, la riscoperta di certe identità locali, la didattica, lo sport.

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