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Una campagna senza paesaggio

Daniela Pol

2. Una campagna senza paesaggio

La scollatura che oggi avvertiamo fra ‘agricoltura’ e ‘paesaggio’ è mo- tivata da due cause principali. In primo luogo dal fatto che l’agricoltura non è più un’arte, ma un’attività industriale, che produce beni standar- dizzati e reddito salariato - indipendentemente dai caratteri del contesto e dalle conoscenze locali (Shiva 2007). In secondo luogo perché la man- cata messa in valore del patrimonio territoriale banalizza il paesaggio, ed ostacola la mediazione culturale e simbolica da parte della popolazione (Pecquer 2001). La componente estetica, vista come puro accessorio, è espulsa dal meccanismo della produzione agricola. Ove essa è presente si configura come artefatto mimetico del passato, applicato al territo- rio rurale per vendere sul mercato del turismo l’apparenza della ‘qualità’ estetica. È quello che accade in molti agriturismi toscani che ‘ricreano’ fittiziamente le icone del paesaggio storico, con filari di cipressi che at- traversano senza alcuna razionalità i rilievi collinari, oppure con ristrut- turazioni ‘faccia vista’, con l’esaltazione di archi ed archetti, che richia- mano una dimensione di antichità del tutto fasulla.9

La modernizzazione delle campagne ha sistematicamente cancellato il precedente progetto della lunga durata ed ha organizzato il territorio per rispondere alle nuove necessità dell’agricoltura industrializzata, costruen- do una sua propria estetica, basata sul mito della potenza, della velocità, della riduzione della fatica fisica. Un progetto che nasceva dal comprensibile de- siderio di emancipazione, di accesso alla cultura e agli usi cittadini, che ha avuto ricadute pesanti nell’impalcatura dei territori rurali. Per l’agricoltura del bulldozer tutte le asperità (filari, muretti, siepi, canalizzazioni) sono escrescenze da estirpare, con la finalità di creare una superficie il più possi- bile piana e lavorabile con macchinari standard, pensati per grandi esten- sioni. Anche studiosi, tecnici e operatori del settore agricolo focalizzavano il loro interesse unicamente sul ‘campo coltivato’ avulso dall’ecosistema,

9 Storicamente gli edifici rurali erano normalmente intonacati. Anche se non più legato

al processo produttivo, il desiderio paesaggistico è sempre presente nella società e finisce per riversarsi sull’industria turistica, sulle pubblicità, sui film o sui paesaggi agricoli di cartapesta che riproducono simulacri tradizionali avulsi dal contesto attuale.

ignorando il ruolo delle piante all’interno della coltivazione. Alberi e sie- pi erano viste come “entità separate, come ostacolo alla meccanizzazione e designate semmai come focolai di diffusioni per erbe infestanti, malat- tie e fitofagi delle colture” (Caporali, Campiglia e Mancinelli 2010, 159). Ciò che impacciava l’uso di mezzi meccanici è stato abbattuto o abbandonato, relegando a puri reperti storici le sistemazioni idraulico- agrarie. La distruzione è stata proporzionale alla facilità di accesso dei macchinari. La pianura è diventata in breve una tabula rasa, con alte- razioni pesanti, talvolta irreversibili - complice l’ingente urbanizzazione proveniente dai centri urbani. I contesti collinari o montani hanno resi- stito di più alla trasformazione.10 In questa imponente ristrutturazione

gli agricoltori, da depositari di un sapere e di un’arte, sono diventati ope- rai agricoli, operatori di macchine e dispensatori di fertilizzanti, in un paesaggio semplificato e degradato non più adatto anche alla contem- plazione e allo svago - quale quello cui si riferiva Varrone. Gli agricoltori sono rimasti senza paesaggio, il loro prodotto più prezioso.

Già negli anni ’80 il degrado ambientale, con le conseguenti riper- cussioni economiche, ha generato instabilità in diversi settori (insicurez- za alimentare, abbassamento dell’attrattività turistica, alti costi per l’ac- qua inquinata da trattare, con i problemi sanitari nelle catene alimentali, i movimenti animalisti che rivendicano una vita dignitosa negli alleva- menti, l’erosione del suolo, le alluvioni e così via). L’industria agroali- mentare è uno dei settori che maggiormente influiscono sul cambiamen- to climatico e, al tempo stesso, è una delle attività su cui il cambiamento climatico inciderà in maniera più consistente. L’agroindustria (compreso l’allevamento che è causa di una grande percentuale delle emissioni di gas serra) consuma più energia fossile di qualsiasi altro settore industria- le. L’aumento delle temperature, il diffondersi della siccità, la riduzione delle zone fertili avranno smisurate ripercussioni sulle pratiche agricole.

La fragilità dell’agricoltura industrializzata si associa oggi alla crisi generalizzata del suo modello economico di sviluppo, che attraversa oggi tutto il mondo, dalle rivolte nell’Est Europa, ai movimenti di liberazione

10 Nell’Italia centrale, la superficie collinare era stata suddivisa da siepi, fossati, scoline,

terrazzamenti, ciglionamenti, alberature, formando una maglia articolata e un continu- um vegetale ben documentati, ad esempio, dalle immagini del volo Gai del 1954. Una carta di Henri Desplanques, pubblicata nel volume sui paesaggi italiani del Touring club (1997), mostra la parte collinare della Toscana centrale interessata da sistemazio- ni idraulico-agrarie suddivisa in ciglionamenti nei terreni sabbiosi, terrazzamenti in quelli rocciosi.

nella sponda sud del mediterraneo e nel medio oriente, alle crisi finan- ziarie nord-americane ed europee. Questi orizzonti sono caratterizzati dalla contrazione della redistribuzione delle risorse, assicurate un tempo da un intervento statale che oggi viene sempre più spesso a mancare. Il grande processo di modernizzazione industriale promosso e fondato sulla diade conflittuale capitale/lavoro è ormai collassato (Bevilacqua 2011). La nuova fase di post-sviluppo (Bevilacqua 2008; Latouche 1993 e 2012; Magnaghi 2000 e 2012)11 induce a modificare le forme

di governo del territorio, basate fino ad oggi su procedure gerarchiche e piramidali, verso strumenti interattivi ed integrati che necessitano di un ancoraggio deciso alle risorse locali.

3. Un progetto di territorio integrato per la produzione di una