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L'individuazione di luoghi specifici atti a esplicitare, in modi diversi, delle modalità di contatto o di comunicazione con la sfera divina costituisce uno dei tratti messi in opera dalle culture antiche, secondo un processo che avviene tramite le pratiche spaziali delle coordinate religiose fondamentali.

L'esigenza di spazializzare l'esperienza religiosa e la relazione tra modo umano e mondo divino, nel Mediterraneo Antico, si traduce in molti casi in una monumentalizzazione del luogo adibito allo scambio rituale o al culto della divinità. Come si è mostrato nella prima parte, l’architettura può essere infatti concepita come come agente attivo nella ritualizzazione e valorizzazione delle azioni in prospettiva ‘sacra’ in cui architetture giocano il ruolo di ambienti ‘trasformativi’.186

Per molto tempo la tendenza degli studi, in ambito sia archeologico sia storico-religioso, è stata quella di vedere nella localizzazione dei diversi luoghi di culto un nesso, più o meno esplicito, con un evento di rivelazione o manifestazione divina, da interpretare a seconda delle coordinate religiose della società in questione, sovente calate in modelli inesatti e attinenti piuttosto alla spiritualità cristiana o comunque monoteista. In altri casi veniva chiamata in causa invece la tradizione o il sincretismo con divinità indigene ancestrali (problema che emergerà nel terzo capitolo).

Più di recente invece le domande relative alle modalità di costruzione si costruisce della topografia religiosa, di assegnazione alle divinità dei loro specifici spazi e delle motivazioni sottese – nonché la domanda centrale: perché esistono i luoghi di culto e quali funzioni hanno? - sono state affrontate con uno sguardo diverso, calato nella prospettiva umana e attento in modo particolare agli aspetti più concreti e pratici. In quest’ottica il processo attraverso il quale i luoghi scelti per il culto vengono scelti, circoscritti e monumentalizzati costituisce un segnale visibile ed efficace di dominio nel paesaggio. Nella stessa prospettiva delle strutture imponenti e splendide erette per venerare gli

186 Cfr. B.D. Westcoat, R.G. Ousterhout (eds.) Architecture of the Sacred, Space, Ritual, And Experience From

Classical Greece To Byzantium , Cambridge 2013; nel volume si interrogano i rapporti di reciprocità tra

architettura e luogo, negoziazione di barriere spaziali e sociali, interazione di spazio e iconografia, e costruzione della topografia sacra.

dei, espressione di significati religiosi e cosmici, sono state evidenziate anche le funzioni pratiche, rispondenti a necessità più concrete, sociali, politiche, economiche187.

L’esperienza della colonizzazione, nelle pur evidenti differenze che hanno caratterizzato i due grandi processi coloniali dell’antichità, quello greco dell'apoikia e la deductio coloniarum romana, è stata individuata da questo punto di vista quale campo privilegiato di osservazione, che risulta strettamente intrecciato all'articolazione del pensiero e della pratica religiosa.

La documentazione relativa offre in molti casi la possibilità di risalire ai primi stadi della fondazione. Procedendo ad una lettura congiunta delle fonti letterarie ed archeologiche greche Irad Malkin ha mostrato come nell’Odissea, sebbene l'installazione di luoghi di culto compaia come uno dei primi atti legati alla fondazione188, si riscontri generalmente un'assenza di riferimenti ad una

sacralità inerente del luogo o ad un valore simbolico dei luoghi di culto189. D’altro canto, come

sottolinea lo studioso, nelle prime fasi della colonizzazione greca gli insediamenti sembrano soggetti ad una divisione territoriale simile, che con una pianificazione urbanistica precisa che distingueva aree deputate alla sfera privata, pubblica o religiosa, rispondeva ad alcune necessità comuni. Ciò suggerisce che fosse l'ecista stesso a scegliere ed imporre il sito del temenos190, poi

riconosciuto quale luogo sacro, basandosi su criteri essenzialmente funzionali e razionali, legati all'appropriazione del territorio.

Come sappiamo dagli scritti di Platone e di Aristotele nella scelta del luogo giocavano senza dubbio aspetti concreti quali la possibilità di essere difeso, ma anche la necessità che fosse salubre e vicino a fonti d'acqua per rispondere ad esigenze pratiche e rituali connesse alla pulizia e alla purificazione; non secondari dovevano essere anche la visibilità e l'imponenza del sito e poi del monumento, per cui Aristotele, nella Politica usa il termine epiphaneia, deprivato in questo caso di qualunque significato religioso191.

Se per il Platone delle Leggi è in modo particolare la posizione centrale dell'acropoli di una città a rendere il luogo adatto per la sede di tutte le divinità tutelari, anche la posizione periferica dei santuari extraurbani sembra collocarsi nella logica di una strutturazione urbanistica pianificata e molto funzionale192. Anche per Vitruvio la condizione importante per l’installazione di santuari è la

posizione salubre, dunque la vicinanza di fonti d’acqua, per assicurare la pulizia193. Le fonti

letterarie tuttavia fanno riferimento soprattutto a condizioni meno funzionali, quali la specificità

187 M. V. Fox (ed.), Temple in Society, Winona Lake1988. 188 Hom. Od. 6.9-10.

189 I. Malkin, Religion and Colonisation in Ancient Greece (Studies in Greek and Roman Religion), Leiden 1987. 190 Il termine temenos è scelto dall’autore per evitare una confusione tra ‘santuario’ e ‘tempio’: cfr. infra p. 65. 191 Arist. Pol. 1331 a, 24ss.

192 Plat. Lex 745b.

193 Vitr. De arch. 1.2.7 Naturalis autem decor sic erit, si primum omnibus templis saluberrimae regiones aquarumque

topografica o ecologica di un luogo, il fatto che esso si distingua nel paesaggio, entrando così nel contesto psicologico, che ne fa spesso un luogo di felicità e di pace, il livello estetico, che si esprime sovente nella vegetazione lussureggiante194. Trattati antichi e fonti poetiche e letterarie

mostrano quindi uno scarto nella qualità dei criteri considerabili e apprezzabili per la scelta di un luogo di culto.

Il rapporto con lo spazio rituale e cultuale si struttura in modo diverso a seconda delle epoche e delle culture. La necessità di costruire e monumentalizzare un luogo di culto, per quanto diffusa, non può essere considerata infatti una costante. Una forte attitudine 'costruttivista' è evidenziata nelle fonti testuali per i luoghi di culto del Vicino Oriente antico; un esempio eloquente è rappresentato dalla tavoletta bilingue da Sippar, testo cosmogonico facente parte di un rituale per la purificazione del tempio di Ezida a Borsippa, in cui ogni atto creativo è indicato da un verbo di costruzione195. Analoghe cosmogonie 'costruttiviste' compaiono in altri testi associati alla

riparazione di templi: nel poema teogonico e cosmogonico babilonese Enuma Elish il dio Ea marca la sua regalità attraverso la costruzione: sul corpo del padre Apsu egli stabilisce la sua dimora, il suo rifugio (1.71-77); lo stesso Marduk, dio poliade di Babilonia, è responsabile di una intensa e complessa attività di costruzione: costruisce Babilonia, le case dei grandi dei, la controparte nei cieli (mi-ih-rit), a metà strada tra i cieli e Apsu (5.119-30).

I dati mitici che assegnano agli stessi dei un ruolo attivo nell'edificazione sia delle proprie dimore, sia delle città in cui abiteranno gli uomini, mettono in luce l'importanza dell'attività di costruzione e monumentalizzazione per la cultura Vicino orientale: il tempio, che non è marcato da un lessema speciale, ma designato da un nome generico col significato di 'casa'-'palazzo'196, che costituiva anche

un centro politico e di potere economico, era il fulcro di un complesso sistema di nozioni connesse alla visione della creazione come attività, un costruire o dare nuova forma a un ordine precedente197.

In altre culture lo spazio rituale viene concepito molto diversamente, e non viene avvertita l’esigenza di monumentalizzare il luogo di culto, considerazione che risulta innanzitutto valida, e in modo molto peculiare, per le società non sedentarie. Alla popolazione aranda Achilpa (traslitterata anche Tjilpa) aveva dedicato attenzione Mircea Eliade, basandosi sul resoconto degli etnografi Specer e Gillen, per dimostrare come anche un popolo primitivo e nomade poteva organizzare la

194 Cfr. P. Brulé, Comment percevoir le sanctuaire grec?, cit. p. 214. Per le fonti antiche cfr. ad ex. Plat. Phaedr. 230 b- c; Soph. Oed. Col. 9-20.

195 A. Heidel, The Babylonian Genesis. The Story of Creation, Chicago-London 1951, p. 62, 1-9: make, build,

construct, lay fundations.

196 Nelle lingue semitiche a indicare il tempio è il termine generico per 'casa' [bêt- beit, bait] ; il tempio è dunque la casa della divinità.

197 Cfr. M.J. Boda, J. Novotky, From the foundations to the crenellations. Essays on Temple Building in the Ancient

propria vita intorno a un centro cosmico198. Se le forzature dell'interpretazione eliadiana, basate

fondamentalmente sull'uso alquanto libero della fonte etnografica, sono state lucidamente rilevate da J.Z. Smith - il quale sottolinea come gli aspetti messi in luce dallo studioso rumeno siano legati comunque non ad un tempo storico ma ad un tempo mitico, quello del sogno - nondimeno questi forniscono un esempio importante di un rapporto in cui attraverso lo spazio i miti che riguardano gli antenati si trovano in relazione continua al presente199.

Tuttavia, anche culture sedentarie come quella paleo-veneta o venetica, allo stato attuale delle conoscenze archeologiche, non sembrano aver monumentalizzato i propri santuari rendendoli chiaramente distinguibili nel paesaggio200.

Sebbene l'organizzazione degli spazi rituali nel Veneto preromano rimanga un capitolo ancora in gran parte ignoto, la quasi totale assenza di strutture edificate in materiale durevole è un elemento che ha colpito gli specialisti di archeologia e lingua venetica. A fronte delle evanescenti prove di strutture cultuali, estremamente rare, una distinzione e circoscrizione spaziale è presumibile almeno negli antichi insediamenti venetici nei pressi di Padova, Vicenza e probabilmente Oderzo, dove sono stati rinvenuti cippi confinari con dedica201. Benché i centri veneti abbiano conosciuto uno

sviluppo urbano già tra il VI e V secolo, le aree santuariali non raggiunsero esiti architettonici rilevanti202. Tale condizione viene generalmente giustificata, ancora una volta, ricorrendo all'idea di

una religiosità “legata al mondo naturale”, in cui a delimitare l'area sacra concorrevano elementi paesaggistici; d’altro canto nell'assenza o nella provvisorietà delle strutture cultuali si può anche

198 Nella cultura Tjilpa questo sarebbe rappresentato dal palo creato dal mitico antenato Numbakulla a partire dall'albero della gomma, che permetterebbe alla popolazione di orientarsi nei loro movimenti, connettendola al cielo, dove l'antenato, secondo il mito, era sparito, dopo essersi arrampicato sul palo cfr. M. Eliade, The sacred and

the profane: The Nature of Religion , New York 1953

199 Nel tempo ancestrale dei Tjilpa, 'Dreaming Time', gli antenati trasformano con le loro attività uno spazio primevo e indifferenziato nella topografia attuale, una moltitudine di luoghi storici, nei quali gli antenati rimangono accessibili: ogni aspetto del paesaggio rappresenta quindi una traccia degli antenati cfr. J.Z. Smith, To Take Place, cit., pp. 10-13, 33-35.

200 vd. A. Marinetti, G. Cresci Marrone, Ideologia della delimitazione spaziale in area veneta nei documenti

epigrafici, in G. Cantino Wataghin (ed.) Finem dare. Il confine tra sacro profano e immaginario. A margine della stele bilingue del Museo Leone di Vercelli. Atti del Convegno Internazionale (Vercelli, 22-24 maggio 2008) Vercelli

2011, pp. 287-311.

201 M. Gamba, G. Gambacurta, A. Ruta Serafini, Spazio designato e ritualità: segni di confine nel Veneto preromano, in Saturnia Tellus, cit., pp. 49-68; sulle iscrizioni di confine A. Marinetti, Aspetti della romanizzazione linguistica

nella Cisalpina orientale, in G. Urso (ed.) “Patria diversis gentibus una?” Unità politica e identità etniche nell'Italia antica. Atti del convegno internazionale (Cividale del Friuli, 20-22 settembre 2007), Pisa 2008, pp. 147-

169 (168-169); L. Malnati, Monumenti e stele in pietra preromani in Veneto in AKEO. I tempi della scrittura.

Veneti antichi, Alfabeti e documenti, catalogo della mostra (Montebelluna e Cornuda 2001-2001) , Cornuda 2002

pp. 65-72, pp. 128-130, L. Capuis Per una geografia del sacro in Veneto preromano, in A. Comella, S. Mele (eds.),

Depositi votivi e culti dell'Italia antica dall'età arcaica a quella tardo-repubblicana. Atti del convegno di studi (Perugia 1-4 giugno 2000), Bari 2005, pp. 497-516, (509).

202 L’assenza di strutture templari è stata tuttavia valutata quale elemento coerente con l'assenza di città pietrificate o inaugurate, cfr. L. Capuis, Religiosità veneta e religiosità etrusca. Appunti per una ricerca, in «Archeologia Classica» 43, 1991, pp. 1199-1211 (1201, 1204-1205).

ipotizzare una scelta identitaria, da leggersi in relazione all'area etrusco padana e alle sue specifiche modalità di strutturazione dei luoghi di culto203.

Questa peculiare condizione dei santuari venetici non impedisce tuttavia che la divinità fosse pensata e ancorata strettamente al luogo di culto. Ad un radicamento della divinità in questo senso farebbe pensare infatti l'epiteto sainati, attestato con una certa frequenza a Este per la dea Reitia, ma presente anche ad Altino; tale aggettivo è stato infatti recentemente connesso per via etimologica e comparativa al concetto di 'risiedere', che indicherebbe in questo senso la divinità del luogo, topica e poliade204.