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Come si avrà modo di mostrare nei paragrafi successivi e nell'approfondire i casi di studio scelti, in ambito punico il problema di una presunta sacralità connessa a luoghi con caratteristiche fisiche o topografiche particolari si presenta nella storiografia di area africana con una certa insistenza. Come spesso accade infatti la rarefazione delle fonti, che rende i fatti religiosi meno trasparenti, corre il rischio di aprire la strada a ricostruzioni costruite su coordinate imprecise ma che aspirano a un'universalità interpretativa dei fenomeni. La disposizione dei luoghi di culto e il processo di 'sacralizzazione' vera o presunta di alcuni tratti paesaggistici rappresenta dunque un terreno adatto alla sedimentazione di queste ricostruzioni. L'impressione, piuttosto netta, è infatti che in misura maggiore rispetto ad altre aree di studio per quanto riguarda l'Africa resistano interpretazioni e prospettive fenomenologiche, 'attratte' da quell'aura di ancestralità che i culti e le divinità di area africana irradierebbero sotto uno strato di romanità solo superficiale.

Se il manuale di Edward Lipiński sulla religione fenicio-punica costituisce un esempio piuttosto eclatante, vanno in questo senso anche le osservazioni più recenti di C. Bonnet, la quale, pur ammettendo la natura ipotetica delle proposte, si riferisce esplicitamente alla letteratura fenomenologica; in particolare la letteratura scientifica si sofferma su direzione spaziale privilegiata, quella verticale, che trova la sua espressione geografico-topografica nei rilievi montagnosi, in cui le tracce di culto, quando presenti, sembrano auto-giustificarsi in virtù di una presunta e 'naturale' sacralità del luogo. Significativo in questo senso è il seguente passo:

“Le choix du lieu de culte n'est pas laissé à l'arbitraire de l'homme: il sera déterminé par une manifestation de la présence ou de l'action divines. Bien qu'on ne trouve pas de récits de théophanies dans le domaine phénico-punique, sans doute parce que le hasard ne nous a pas conservé des textes assez explicites sur la fondation première des sanctuaires, on peut supposer que les sommets des montagnes, où le dieu de l'orage se

manifestait au milieu de nuées et d'éclairs, étaient regardés comme des endroits choisis pas la divinité”582

Lasciando da parte gli esempi cananei del monte Hermon - considerato 'sacro' nella sua interezza, in base all'etimologia che lo riconduce all'arabo arām- h e del Djebel el-Aqra, l'antico massiccio di Saphon che i miti di Ugarit qualificano come santuario di Baal583, in area nordafricana è il

massiccio di Djebel Bou Kourneïn, che domina i dintorni di Cartagine e Tunisi, ad essere rivestito di quell'aura ancestrale legata al “simbolismo della montagna”, presentando secondo Lipiński “les traits caracteristiques d'une montaigne sainte”; le due sommità (della modesta altezza di 576 e 496 m) che ne determinano il profilo caratteristico, e che risultano perfettamente visibili da Cartagine riecheggiano nel nome della montagna e in quello del dio che vi era venerato, in epoca romana Saturnus Balcaranensis, epiteto modellato con ogni probabilità sul punico Ba alʻ Qarnêm584.

Il problema principale con cui si scontra quest'interpretazione è legato, molto concretamente, alle fonti archeologiche ed epigrafiche; nonostante l'epiteto Balcaranensis, che potrebbe rimandare ad un passato punico, non sono state rinvenute attestazioni di Baal, né materiale afferente ad una fase cultuale preromana585.

L'idea della manifestazione della presenza o dell'azione divina in luoghi non tanto salienti dal punto di vista paesaggistico, quanto significativi in relazione ad una simbologia di luogo di passaggio tra piani spaziali e quindi ontologici presumibilmente differenti- le montagne che si avvicinano al piano uranico, le grotte che metterebbero in comunicazione il mondo umano con quello ctonio e infero – trova quindi solo deboli riscontri, che possono essere avvallati facendo ampio ricorso all'ottimismo. Ciò non significa che nella scelta di un luogo di culto elementi simbolici di questo tipo siano da considerarsi a priori esclusi, ma solo che nell'analisi scientifica nulla prova che si possa fare automaticamente affidamento a questo genere di considerazioni; la suggestione deve lasciare il passo all'ammissione di mancanza di dati certi, o della complessità dei tratti rinvenuti. Sarà necessario presentare ora alcune osservazioni sulla continuità tra tofet e aree sacre a cielo aperto romane, che dei tofet sono considerate eredi, la loro dislocazione del territorio e la loro struttura. Nel periodo della romanizzazione vi sono infatti idee preconcette che

582 E. Lipiński, Dieux et déesses de l'universe phénicien, cit., p. 423. 583 A. Caquot, M. Sznycer, Textes ougaritiques, t. 1, Mythes et légendes, cit.

584 La zona del santuario, scavata da Toutain alla fine del XIX secolo, si situava sulla sommità della cima occidentale, un punto piuttosto pianeggiante e strategico dominando il golfo di Tunisi, permetteva di far fronte a Cartagine a nord, alla valle della Catada a est, mentre verso ovest si stendono le colline di Cap Bon, e a sud la gola di Khanget el Hajej, una via strategica verso l'interno di Cap Bon e della Bizacena.

585 Cfr. J. Toutain, Le sanctuaire de Saturnus Balcaranensis au Djebel Bou Korneïn (Tunisie), «Mélanges d’histoire et

resistono nel panorama degli studi punici e in generale africani; problemi che riemergono poi nell'analisi di luoghi di culto specifici o della topografia religiosa di una città. In seguito si tenterà di riassumere il dibattito sulla resistenza alla romanizzazione, o sulle permanenze religiose messo in luce in modo efficace in alcuni contributi recenti586, e di precisare le

possibilità di ricerca e di reinterpretazione dei dati in un panorama il più possibile ridefinito e liberato da categorie ormai superate. Un tratto distintivo del sistema religioso punico-libico spesso è individuato in una “dévotion rayonnante (…) fortifié par le mysticisme punique, porteur d'abord du sens de l'absolu, dont l'aboutissement inattendu est sans doute la doctrine de la grâce selon Augustin”587. Ancora J. Bayet parla di un “esprit d'exaltation et de trascendance, très

différent de la mentalité grecque et latine”588. In affermazioni di questo tipo si individua come

portante l'idea che la religione romana d'Africa fosse votata a un aspetto duplice, insieme agrario e mistico, come sovente afferma Marcel Le Glay589.

Sembra dunque che al di là di ciò che i dati archeologici ed epigrafici consentono di dedurre permanga la convinzione che, in opposizione alla concretezza della religione romana, in Africa il “sacro” si manifestasse “allo stato puro”, scaturendo dagli elementi della natura, come rocce, fonti, grotte, alberi, e fosse ‘simboleggiato’ dagli astri o da animali come quelli spesso raffigurati nelle stele.