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Parte Terza: L'Africa proconsolare Rapporti spaziali e cultuali specifici.

Nei capitoli precedenti sono stati mostrati i differenti modi in cui l'organizzazione spaziale dei luoghi significativi dal punto di vista cultuale e rituale costituisce un elemento fondante delle rappresentazioni religiose del mondo antico. Si tratta di un angolo di osservazione privilegiato per l’analisi di una molteplicità di aspetti correlati, tenendo conto della loro intrinseca complessità. La scelta, in questa parte del lavoro, del contesto geografico dell'Africa proconsularis, dalla romanizzazione alla piena età imperiale, nel II secolo d.C., sarà quindi volta all'analisi di alcuni contesti specifici che consentano di misurare la validità e l'importanza degli interrogativi finora formulati, e che riguardano l'organizzazione spaziale e architettonica degli spazi rituali; l'articolazione di luoghi di culto all'interno di un contesto civico; la concettualizzazione, ove sia possibile rintracciarla, a livello spaziale dei rapporti tra la comunità e i propri dei.

Sebbene verranno presi in considerazioni degli esempi significativi trattati dal punto di vista diacronico, per osservare laddove possibile i cambiamenti e le trasformazioni, ci si soffermerà in modo particolare sull'età imperiale, in quanto in misura maggiore rispetto ai periodi precedenti essa può fornire un modello per la comprensione dei cambiamenti a livello rituale in contesti di contatto e trasformazione.

Le dimensioni dell'Impero, il suo carattere complesso e multiculturale, la novità della grande mobilità delle popolazioni che vi abitavano, il contrasto tra il sistema amministrativo centralizzato/unificato e la tradizione locale, così come quello esistente tra tradizioni ancestrali e nuove strutture e istituzioni, tra centro e periferia, sono infatti tutti fattori che influirono sul funzionamento dei rituali a livello religioso, politico e sociale. Usando le parole di Jean Marie Lassère, specialista dell’Africa romana, ci troviamo di fronte a un paesaggio complesso, misto, dalle molteplici eredità:

(…) Mais, à coté, se découvre peu à peu l'insolite: des aires sacrées; des demeures où l'on accède directement dans un jardin intérieur qu'entourent les pièces de la maison; souvent l'abondance de citernes; parfois, des inscriptions bilingues, ou des divinités aux noms inconnus et aux attributs inattendus. Un examen plus approfondi de cette civilisation, mené au de-là de ses aspects matériels, enrichit cette vision complexe, celle d'un héritage qui, tel celui d'une vieille famille, est plus que double: chacun de ses deux apports est déjà composite, l'un libyque, l'autre punique, l'autre latin, grec, oriental…

ainsi se manifeste la richesse d'une civilisation mixte, d'une latinité qui a dû composer ou s'adapter et dont on comprendra plus tard qu'elle s'en est en fait trouvée renforcée, et peut-être rajeunie465.

Nella letteratura archeologica il rapporto in Africa tra spazialità e culto non è stato trattato in maniera diretta e sistematica, e d’altronde nemmeno l’obiettivo di questa riflessione è quello di scriverne in modo esaustivo. Un proposito tale supererebbe ampiamente i confini che questa ricerca si era posta, limitati ad alcuni casi di studio significativi affrontati con una prospettiva nuova che tenga conto, laddove possibile, delle precisazioni metodologiche e concettuali delineate nella prima parte.

In questo senso alcuni lavori recenti sono stati di fondamentale importanza e ad essi si è ritenuto di poter attingere, per quanto riguarda i dati archeologici e in parte la loro interpretazione; tra questi va ricordato in particolare il recente studio di Meriem Sebaï sulla vita religiosa delle città Africane tra II e II d.c., che calando dei, attestazioni e culti nel loro contesto e in una prospettiva “civica”, presta particolare attenzione ai rapporti tra centri e capitale466.

La scelta dei casi di studio qui affrontati è volta al confronto con il dibattito sulle problematiche del contatto come fattore caratterizzante i fenomeni religiosi o più in generale culturali; come anticipato nella prima parte di questo lavoro si tratta infatti di una riflessione estremamente attuale, che invita a riconsiderare sia la prospettiva comparativa sia le diverse riflessioni sul contatto culturale che, superando i concetti di assimilazione, sincretismo, o contaminazione si rivolgono alle categorie ermeneutiche di bricolage, branchement, transfert culturale467.

Come sottolineano infatti le linee di ricerca dell'antropologia e quelle più recenti della ricerca storica, che da questa disciplina ha tratto un grande rinnovamento, non è corretto appellarsi al concetto di omogeneità quando si vogliano studiare ed approfondire i fenomeni culturali e religiosi. Nessuna cultura può infatti dirsi o essere detta omogenea, o tanto meno “pura”. È tuttavia evidente che principi di omogeneizzazione, o di rifiuto dei principi di agglutinazione e sincretismo, abbiano caratterizzato dall'inizio i monoteismi anche nell'organizzazione dello spazio cultuale468. Per quanto

riguarda invece i politeismi, tali sistemi religiosi interagiscono più facilmente al contatto culturale, nelle sue diverse e molteplici contestualizzazioni, tramite strategie di traduzione e di risignificazione; si vengono così a creare figure divine, si associano divinità, si creano pantheon

465 J.-M. Lassère, Africa, quasi Roma, Paris 2015, p. 283.

466 M. Sebaï, La vie religieuse dans les cités de Zeugitane (Ier-IVème siècle de notre ère), Tesi di Dottorato, Paris

Université de la Sorbonne.

467 Si veda ad esempio il convegno tenutosi all'Inalco di Parigi in data 11.10.2013 su La production de sens nouveau

dans le contact culturel: Bricolage et branchements organizzato da S. Bardet (MCF Université Evry-Val de Marne),

M. Vartejanu-Joubert (MCF INALCO).

nuovi e pratiche religiose esclusivamente locali. I politeismi – o, secondo la metafora biologica di cui si serve Corinne Bonnet, gli “organismes panthéoniques” - sono in grado di adattarsi con una grande facilità alla complessità di ambiente culturale e politico, in perpetua mutazione e cambiamento.

Nei confronti del sistema religioso romano, le domande della storia delle religioni “tradizionale” a lungo si sono rivolte esclusivamente ai problemi connessi all'esegesi del pantheon religioso ricercando origini delle diverse divinità e i campi d'azione specifici.

Negli ultimi decenni, grazie alle nuove aperture epistemologiche e metodologiche, lo sguardo si è progressivamente spostato dalle divinità alle comunità umane che le veneravano, riflettendo ad esempio sulle cariche sacerdotali e sul complesso dei riti, nel loro processo di evoluzione e cambiamento in rapporto agli sviluppi storici che riguardavano l'intero bacino del Mediterraneo. In questa prospettiva si è potuto comprendere, ad esempio, come sia errato parlare di “religione romana” per riferirsi a ciò che si delinea in realtà come un sistema multiplo e complesso, sottoposto a trasformazioni significative allo snodo dei passaggi storici fondamentali, come quello che celebra l’inizio della dimensione imperiale. I culti pubblici romani dipendevano inoltre in modo stretto dalla comunità civica, integrandosi perfettamente nel tessuto sociale e politico della città, motivo per cui Roma e le sue colonie adottavano non solo pantheon diversi, ma anche norme differenti per regolare il culto e certamente anche la disposizione dei luoghi di culto. Per tutti questi motivi si può dire che non esista religione 'romana' se non a Roma stessa.

Quello che accade, dal punto di vista religioso, nelle differenti comunità civiche entrate nell'orbita di potere romana, dipende in larga parte dallo statuto che tali comunità assumevano, o piuttosto che era loro concesso. Che fossero nuove fondazioni o promozioni 'onorarie' di centri indigeni o di municipi, assimilate giuridicamente a quartieri di Roma, le colonie dovevano adattare i propri riti pubblici in una forma giuridica romana, che senza dubbio comportò trasformazioni profonde nelle tradizioni religiose delle città, lasciando comunque un margine piuttosto ampio di libertà nella ripartizione di alcuni culti, e ovviamente, della religiosità privata469. Per quanto riguarda i municipi

essi godevano di una libertà maggiore in primis dal punto di vista amministrativo, motivo per il quale i notabili - ordo decurionum o suffeti - potevano in ogni caso decidere di modellare il proprio pantheon religioso sul modello romano, adottando il culto di divinità fondanti come quelle della triade capitolina470.

469 Cfr. J. Scheid, Aspects religieux de la romanisation, in M. Dondin-Payre, M.-Th. Raepset-Charlier (eds.), Cités,

municipes, colonies. Les processus de municipalisation en Gaule et en Germanie sous le Haut Empire romain, Paris

1999, pp. 381-423.

470 Benché il culto reso alla triade capitolina sia senza dubbio molto diffuso nelle colonie di diritto romano, è ormai noto che ma non può essere inteso come una prerogativa di queste; nella visione storiografica più tradizionale il culto capitolino e i capitolia hanno costituito il fulcro di indagine per il sistema religioso e per l'organizzazione dei

Tale visione non vuole evidentemente negare, soprattutto per quanto riguarda le prime fasi della conquista, la possibilità ed anzi la probabilità che le popolazioni locali abbiano messo in moto processi di resistenza ad una presenza romana imposta che poteva aver avuto caratteri violenti, sebbene le fonti in nostro possesso non siano in grado di chiarire tali aspetti.

Nel contesto di cui ci interessiamo l'interazione tra la cultura romana e il mondo punico, venuto a sua volta in contatto con i culti numidi, ha come esito comune il riassestamento, in ogni contesto civico, dei diversi pantheon, nuove pratiche religiose e una nuova organizzazione dello spazio rituale: questa si traduce anche in un rimodellamento – può trattarsi di un aggiustamento come di un cambiamento radicale - delle strutture architettoniche, che sottoposte a costante risignificazione diventano portatrici di una polisemia complessa, che non sempre è possibile interpretare471.

Tali processi, che non sono evidentemente automatici né determinabili a priori, rendono evidente l'estrema permeabilità dei sistemi religiosi politeisti a contatto.

Fondamentale in questo senso è anche la traduzione delle relazione tra le divinità nei rapporti spaziali che queste hanno all'interno di uno stesso luogo di culto, o nel posizionamento dei luoghi di culto tra loro nello spazio civico; e proprio le relazioni spaziali possono quindi fornire nuovi elementi di riflessione sulle strategie di contatto e di mediazione tra sistemi religiosi.

Un primo basilare confronto che la società romana dovette affrontare, e che affrontò, com'è noto, in una molteplicità di modi e di atteggiamenti mentali è stato quello con la civiltà greca, il quale interessò anche il modo di concepire e regolare il sistema santuariale; prova ne è la ricezione romana dell'istituzione greca dell'asylia, la richiesta di inviolabilità legata a certi santuari, riconosciuta da re, città e confederazioni. Se come afferma Chaniotis quest'inviolabilità era connessa dunque con un rituale di supplica, realizzati in uno spazio designato472, e risale a una

percezione dello spazio sacro in cui il supplice veniva incorporato, entrava nella sfera di sacralità del luogo e non poteva dunque essere portato via, né gli si poteva nuocere473, nel mondo romano

centri monumentali, anche in relazione alle prescrizioni vitruviane (cfr. ThesCra, s.v. Capitolium) in un'ottica che privilegiava l'assetto urbano come carattere essenziale della parva imago romae desunta da Gellio. La situazione non è però così omogenea, e soprattutto sembrano sussistere delle differenze fondamentali tra colonie repubblicane e colonie imperiali, cfr. M. Torelli, P. Gros, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Roma 1988, pp. 250-252. Per un approccio decostruzionista del valore fondante del Capitolium nelle colonie medio repubblicane si vedano alcuni studi di E. Bispham: cfr. E. Bispham, Coloniam deducere: how Roman was Roman Colonization during the Middle

Republic, in G. Bradley and J.-P. Wilson (eds.), Greek and Roman Colonization. Origins, Ideologies and Interactions, Swansea 2006, pp.74-160.

471 Cfr. ad esempio J. Mylonopoulos, The Dynamics of Ritual Space, cit., pp. 49–79; cfr. anche F. Diez de Velasco,

Mutation et perduration de l'espace sacré, cit., pp. 457-469.

472 A. Chaniotis, Die Entwicklung der griechischen Asylie: Ritualdynamik and die Grenzen des Rechtvergleichs, in L. Burckhardt, K. Seybold, J. Von Ungern-Sternberg (eds.) Gesetzgebung in antiken Gesellschaften. Israel

Griechenlan, Rom, Berlin 2007, pp. 233-246.

473 Alcune città dichiaravano spesso i propri santuari inviolabili, in seguito a un oracolo, in alcuni casi dedicavano l'intera città e il suo territorio a un dio, in modo che la protezione divina garantisse un'inviolabilità. Cfr. K.J. Rigsby,

l'asylum si configura come un rifugio temporaneo dalla legge civile474, il cui riconoscimento

dipendeva da criteri strettamente politici. In questo caso la dinamica rituale appare duplice: da un lato vi è un'interpretazione politica di un'istituzione religiosa, dall'altro la sostituzione di un'autorità religiosa tradizionale con una esterna, politica475.

In particolare ciò su cui è importante riflettere sono le esigenze alle quali risponde l'assegnazione di divinità specifiche in determinati contesti topografici, e le modalità con cui le nuove associazioni di divinità in uno stesso luogo di culto possono aiutare a ricostruire alcuni tratti delle “teologie” africane, da cui emerge la creazione di tratti distintivi propri, non ereditati automaticamente o per fusione dalla realtà culturali di partenza.

Conformemente alla logica e alla pratica religiosa politeista, infatti, a Roma i luoghi di culto riuniscono ed associano più divinità, accogliendo talvolta anche divinità 'straniere'. Non si tratta evidentemente di un'accumulazione casuale, ma di un'organizzazione sistematica, che riflette un sistema di pensiero coerente, in cui, come ha mostrato J. Scheid, funzioni ed azioni sono espresse da divinità secondarie in rapporto ad una divinità principale476. Inoltre, la definizione degli dei, che a

Roma avviene attraverso il riconoscimento della loro funzione, piuttosto che attraverso una personalità visualizzata e individualizzata “alla greca”477 permette di coglierne forse in misura

maggiore la componente spaziale.

Nell'ambito dei politeismi antichi, e in particolare del ritualismo romano, possiamo dunque guardare al complesso delle pratiche religiose, riti sacrificali, processioni, lustrazioni, come ad una 'traduzione' in dati spaziali del pensiero religioso, indicatore dell'ordine gerarchico del mondo e della società. Contenendo l'insieme delle relazioni con la sfera divina esplicitate dal rito, lo spazio, in senso lato, si costituiva nell'antichità come il riferimento fondamentale di tutte queste rappresentazioni.

Concependo il rapporto con le divinità come strettamente ancorato al mondo terreno, e in modo particolare alla realtà civica, la sfera religiosa romana si fondava su una sorta di “metafisica concreta”, dominata dal ritualismo, dall'orthopraxia, da enunciati espressi dal vocabolario gestuale dei riti, sulla quale si articolavano i rapporti tra la comunità e i suoi dei478.

474 vd. Tac. Ann. 3.60.1-3.

475 Un altro cambiamento significativo può essere rintracciato nella disposizione degli oracoli, tra cui gli oracoli Sibillini cfr. D.S. Potter, Prophecy and History in the Crisis of the Roman Empire, Oxford 1990, pp. 95-140. 476 J. Scheid, Les dieux du Capitole, pp. 93–100.

477 H.S. Versnel, Faith, Hope and Worship: Aspects of Religious Mentality in the Ancient World, Leiden 1981, p. 16:

The gods of the early Romans, unlike those of early Greeks were never actually visualised and individualised. Deprived of individual personality their identity was primarly defined by their function; they rarely possessed shapes either, in a plastic or in a psychological sense.

478 L'espressione è di J. Scheid, Quand faire c'est croire, cit., p. 38, a cui si rimanda per l'interpretazione dei gesti rituali connessi al sistema sacrificale celebrato dagli arvali in onore di dea Dia a La Magliana.

Certamente il tentativo di cogliere la relazione tra lo spazio e i concetti legati al divino, in un ambiente semiotico comunque fluido, e in assenza di numerosi elementi d’analisi o semplicemente non trasmessi, non permette di uscire dall’ambito pur affascinante delle ipotesi. Non di meno l’interrogativo, in virtù dell’interesse dei molteplici piani d’analisi che interseca, merita di essere posto.

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Il contesto storico-religioso dell'Africa proconsolare

Il problema della trasformazione religiosa delle città africane in città di tipo romano, attraverso la municipalizzazione o con la promozione al rango di colonia, può essere affrontata da molteplici punti di vista: analizzando per quanto sia possibile i luoghi di culto e i culti pubblici, così come cercando di interpretare il comportamento religioso di singoli o di gruppi all'interno del contesto civico. L'approccio che guarda ai templi deve confrontarsi in molti casi con i dati forniti dalla sola archeologia, a cui può aggiungere elementi d'analisi preziosi l'epigrafia, nei casi fortunati in cui i complessi abbiano permesso di rinvenire iscrizioni significative.

Il quadro storico e geografico dell'Africa romana offre una grande varietà di percorsi utili ad indagare alcune modalità di costruzione, organizzazione e gestione rituale dello spazio, in un contesto di profondo mutamento politico e religioso che potremmo evocare per ora semplicemente come 'romanizzazione'. Attraverso i secoli infatti la regione del Nord Africa affronta una strutturazione religiosa dinamica, in tensione costante tra nuove e antiche tradizioni, attraverso processi di interferenza, scambio, differenziazione, distinzione, stratificazione e integrazione nel paesaggio religioso, che influenzò, moltiplicandoli, attributi divini, onomastica, architettura religiosa e rituali479.

Per quanto riguarda la dislocazione dei templi nel territorio, la loro struttura, i principi spaziali che ne regolavano la costruzione e la fruizione dal punto di vista cultuale, alcune idee in larga parte preconcette resistono nel panorama degli studi punici.

Il fatto, incontestabile, che non sia possibile generalizzare e semplificare il processo di contatto e l'osmosi religiosa come un confronto tra due realtà e due culture facilmente distinguibili, la “cultura africana” e la “cultura romana”, non pregiudica il tentativo di una riflessione sulle specificità, eventualmente sulle differenze, suggerite dalle fonti a proposito dell'organizzazione ma anche della

479 V. Gasparini, Tracing Religious Change in Roman Africa, in A Companion to the Archaeology of religion in

costruzione concettuale dello spazio, che si pone quale elemento fondamentale nella trasmissione delle rappresentazioni religiose480.

Sappiamo che con l'affermarsi del potere romano in epoca repubblicana e in misura ancora maggiore con l'espansione d'età imperiale, veicolata dall'occupazione militare e dall'amministrazione provinciale, anche le structures du quotidien cambiano.

La religione di Roma viene diffusa, declinandosi, nei diversi contesti, secondo alcune consuetudini e tratti locali, e dunque venendo a creare sistemi religiosi e pantheon in parte tradizionali, in parte nuovi e specifici; a partire dalla propria origine, dunque, ogni città si forgiava al contempo una identità romana. Nonostante il carattere talvolta violento, dal punto di vista militare, del processo di romanizzazione, non possiamo affermare che le trasformazioni del culto nel contatto tra politeismi, e l'integrazione religiosa delle popolazioni conquistate furono esito di conflitti di tipo religioso. Dobbiamo dunque interrogarci, per quanto sia possibile, sugli aspetti spaziali connessi al lento e complesso processo di cambiamento della vita religiosa - che è anche istituzionale e collettiva - delle comunità romanizzate, che coincise, come sottolinea John Scheid, nello sviluppo del modello civico, e nell'organizzazione in città, secondo il modello politico e giuridico romano. Da questo punto di vista alcune osservazioni generali aiuteranno a non perdere di vista i dati concreti del contesto storico nella sua evoluzione.

Lo statuto delle città libere o federate è quello veniva garantita una più ampia libertà sul piano politico e religioso. Tale libertà doveva comunque essere regolamentata e sottostare ovviamente ad alcuni precisi limiti o divieti riguardanti la pratica religiosa, ad esempio quello del sacrificio umano, presumibilmente emanato di epoca tiberiana481. La necessità di dotarsi di collegi pontificali e di

auguri fu conseguente all'inizio della gestione collettiva del culto e dei templi, implicando la responsabilità economica e la diretta partecipazione delle élite municipali e di coloro che rivestivano ruoli pubblici. La decisione in merito allo statuto dei luoghi di culto, al calendario dei culti pubblici, e alla loro dislocazione sul territorio era demandata al Senato, mentre magistrati e decurioni dovevano provvedere alla denominazione latina delle divinità e scegliere quella che sarebbe stata ufficiale.

La grande libertà delle colonie e dei municipi esercitò una profonda influenza sulle strutture locali, poiché la sfera religiosa - o almeno quella pubblica, a noi più nota - doveva essere praticata in una forma giuridica romana; tale obbligo incise senza dubbio in modo profondo sulle tradizioni religiose locali, trasformandole. Ciò non significa che le città africane riproducessero esattamente i

480 J. Scheid, Les espaces rituels et leur exégèse, cit., pp. 61-71, (61); Id. Romulus et ses frères. Le collège des frères

arvales, cit., pp. 669-676; pp. 751-755.

481 Tertull. Apolog. 9.1-6. Per una discussione su questa testimonianza cfr. P. Xella, Sacrifici di bambini nel mondo

fenicio e punico. Le testimonianze in lingua greca e latina 1, in «Studi Epigrafici e Linguistici sul Vicino Oriente

culti di Roma, poiché come sappiamo erano differenti le norme che regolavano l'universo religioso e cultuale al di fuori della capitale, l'unica città per la quale si possa parlare propriamente di