Il sacrificio, il rito fondamentale di gran parte dei sistemi religiosi antichi, non può ovviamente essere ignorato in una riflessione sugli aspetti spaziali del culto451; sebbene una trattazione
approfondita dell’argomento esuli dagli obbiettivi qui considerati, alcune riflessioni si rivelano necessarie per avviare una lettura contestualizzata delle indicazioni spaziali nella concretezza delle pratiche rituali romane, suscettibili di concettualizzare in modi diversi la relazione e il contatto tra uomini e divinità.
I gesti sacrificali erano infatti al centro di tutte le attività pubbliche o private degli antichi. Volendo considerare solo una tra le moltissime definizioni formulate nel corso dei decenni, quella ripresa
446 Tac., Ann. 4, 53.
447 Gaius, Inst 2.5; Ulp. Dig. 1.8.9.1
448 Liv. 9.46.6-7;Tac. Hist. 4.53; Val. Max., 5.10.1; Sen., ad Marc.13.1.
449 Si trattò di exauguratio anche la rimozione della dea Libera in seguito alla causa intentata da Cicerone contro Clodio in De domo sua, cf. supra
450 Liv. 1.55.4; Hoc perpetuitatis auspicio accepto, secutum aliud magnitudinem imperii portendens prodigium est:
caput humanum integra facie aperientibus fundamenta templi dicitur apparuisse. Quae visa species haud per ambages arcem eam imperii caputque rerum fore portendebat; idque ita cecinere vates quique in urbe erant quosque ad eam rem consultandam ex Etruria acciverant. cfr. Cato. Orig. 1. 25.
451 L’argomento è affrontato per le connessioni fondamentali rilevabili tra i gesti sacrificali e la strutturazione simbolica della comunicazione e scambio tra uomini e dei, aperta grazie a canali gestuali e spaziali precisi, sebbene non esplicitati dalle fonti; tuttavia non può essere per ovvi motivi approfondito in maniera esaustiva.
dalle ricerche del centro Louis Gernet di Parigi, il sacrificio si intende quale rito in cui l'offerta è almeno parzialmente distrutta e che permette di fissare i rapporti tra uomini e dei e tra gli uomini stessi452. Da un punto di vista generale, nella complessità e diversità delle sue fasi e delle sue
invocazioni, esso può essere concepito come un canale di comunicazione con gli dei, atto a far passare diversi messaggi e significati attraverso l'intermediazione di un'offerta; le intenzioni espresse attraverso questo canale possono essere multiple, e spaziare dal ringraziamento, all’espiazione, alla richiesta. Si tratta inoltre di una performance rituale che crea coesione sociale, mettendo in scena di fronte alla comunità l'ordine politico e cosmico che la regola. In questa prospettiva infatti lo smembramento del corpo della vittima e la distribuzione delle carni viene a coincidere con i limiti stessi della società umana nell'ambito dello stato, il quale, a sua volta, si organizza intorno ad essa.
A Roma, in particolare, tale ordine si costituisce come una gerarchia che segue un movimento discendente: vi sono gli dei che ricevono offerta, i cittadini romani che dirigono il rito, gli schiavi che compiono le mansioni rituali più pesanti, e infine gli animali e i vegetali che costituiscono l'offerta453. L'istituzione sacrificale non si configura quindi solo come un insieme di atti rituali,
dotati di un proprio significato; essa è, per usare le parole di John Scheid, una vera e propria “fucina concettuale”, che fornisce allo stato i più importanti modelli di valore.
Gli aspetti spaziali inerenti il sacrificio vanno ricercati nei gesti della sequenza rituale, per quanto possa presentare delle variazioni e delle specificità che vanno sempre contestualizzate, e nel quadro concettuale che sancisce insieme una separazione una comunicazione tra mondo umano e divino, strutturato su livelli spaziali diversi ma che possono penetrarsi l’un l’altro.
Il primo dato spaziale è quello attivato dalla processione con cui all'alba le vittime sono portate verso l'altare dai servitori del culto, i victimarii, popae e cultrarii; la processione, così come tutto il sacrificio, è accompagnata dal suono delle tibiae. Con la libagione, che si usa chiamare praefatio, viene definito dal gesto di versare incenso e vino su un braciere portatile, un foculus.
Segue l’immolatio dell'animale, che si configura nell’atto del cospargere la vittima di mola salsa - rimanda alla sua produzione rituale per la città e quindi al mondo umano- versare del vino tra le
452 Cfr. C. Grottanelli, Sacrificio e società nel mondo antico, Roma-Bari 1988, p.24.
453 L'etimologia del termine sacrificium - da sacrum facere, “rendere sacro” ovvero donare agli dei - non coinvolge alcuna idea di uccisione o di eliminazione violenta della vittima. Parallelamente si noterà che l'iconografia del sacrificio generalmente si concentra nel momento anteriore alla messa a morte dell'animale, che quindi non viene di norma rappresentata, cfr. V. Huet, La mise à mort sacrificielle sur les reliefs romains, in J.-M. Bertrand (ed.) La
violence dans les mondes grec et romain. Actes du colloque international, (Paris 2-4 mai 2004), Paris 2005 pp. 92-
119. Le fonti indicano che il significato del termine sacrificium, a Roma, fosse più vasto rispetto a quello che normalmente pensiamo; negli atti dei fratelli arvali si parla di sacrificium per le offerte di vino e incenso, e per atti religiosi di tipo diverso: dai sacrifici animali alla deposizione di offerte sulle tavole all'interno del tempio della dea, o ancora al pasto comune che seguiva l'atto rituale vero e proprio cfr. J. Scheid, Commentarii Fratrum Arvalium qui
corna della vittima, trasferendo così la vittima alla proprietà degli immortali454, e passare la lama di
un coltello dalla testa alla coda. I gesti compiuti sulla vittima sono finalizzati al suo isolamento rispetto al mondo umano, quale preparazione al ‘trasferimento’ al mondo divino.
In seguito all’abbattimento dell’animale, sono gli exta, gli organi interni, ad avere un ruolo fondamentale, sia perché segnalano l'accettazione della vittima da parte del dio - se non presentano anomalie durante l’extispicium segnalano infatti la litatio455 - sia perché, bruciate sull’altare,
costituiscono l'offerta vera e propria alla divinità, mentre il resto delle carni viene condiviso dai partecipanti al rito456. Il ruolo privilegiato degli exta è sottolineato dall'etimologia proposta da Paolo
Diacono che mette in relazione exta con ex-stare, con il significato di “stare fuori da”; exta indicherebbe così la parte tagliata, separata e scelta rispetto alle altre457.
L’estrazione degli exta, e il passaggio dalla vittima, attraverso i gesti e le azioni del sacrificante, al mondo divino, per il quale l’altare costituisce il tramite, rientra a pieno titolo nel dispositivo di comunicazione tra due mondi, terreno e divino, che in questo come in altri riti si sovrappongono, almeno parzialmente, dal punto di vista spaziale.
Per questo motivo risulta fondamentale riflettere sulla terminologia connessa all'atto del porre l'offerta sull'altare. Oltre al verbo più consueto dare, che non presenta una connotazione spaziale, benché sia implicito nel senso stesso del verbo un movimento direzionale, i Romani ricorrevano infatti ai verbi pollucere, composto dal prefisso pro- e dal verbo *luceo, e porricere, composto da
pro e iacio, con il significato di “gettare davanti a sé”; secondo Benveniste porricere significa
invece “spargere sull'altare”458.
La presenza del prefisso pro-(avanti) sembra indicare rispetto a dare una valorizzazione dell'elemento della direzione. D’altronde la distinzione tra le indicazioni spaziali davanti/dietro è certamente una dicotomia significativa nel rito; se il sacrificio agli dei si fa a viso aperto, davanti all'altare, in altri riti la direzione privilegiata è quella opposta: nei Lemuria il pater familias in qualità di officiante doveva gettare per nove volte delle fave nere dietro di sé (aversus)459. Un altro
verbo ricorrente in contesto sacrificale è reddere, restituire; il prefisso re- suggerisce l'idea di
454 J. Scheid, Quando fare è credere, Roma 2011, p. 41.
455 in caso contrario si procede all'instauratio, ovvero all'uccisione di una seconda vittima, che è chiamata succidanea (ovvero “quella che cade dopo”).
456 Si tratta di una differenza profonda rispetto al sistema sacrificale greco, in cui gli splanchna vengono invece arrostiti sull'altare e consumati dagli uomini, mentre agli dei spettano solamente il grasso e le ossa della vittima, ovvero le parti non commestibili. In Grecia le parti nobili vanno al sacerdote, al re o ai primi magistrati mentre il resto viene sorteggiato, in porzioni di uguale peso, mentre a Roma la spartizione delle carni e la loro consumazione distinguevano le componenti sociali e politiche dello stato: senatori, sacerdoti, suonatori di flauto, magistrati godevano del ius epulandi publice, mentre il popolo, che comprava la carne a peso, era escluso dai privilegi e non compare mai nei grandi rilievi sacrificali.
457 Fest. p. 69 Lindsay.
458 E. Benveniste, s.v. porricere in Vocabulaire des institutions indo-européennes, p. 480. 459 Ov. Fast. 5.427-444.
scambio, di apertura di un canale di comunicazione: una divinità è respiciens quando è propizia, risponde o restituisce qualcosa al sacrificante/devoto.
Se il prefisso pro- potrebbe dunque indicare il contatto, o una direzionalità verso il contatto, mentre il prefisso re- esprimerebbe piuttosto la reciprocità, si può suggerire per i due prefissi una diversa qualità diversa dell'azione pur posta in una sua stessa direzionalità.
Il tratto significativo che emerge dalla distinzione davanti/dietro precedentemente ricordata può essere individuato nella necessità di favorire o invece evitare il contatto visivo tra colui che compie il rituale e l'entità divina, che, nel caso del sacrificio, può essere “presente” nella forma della statua cultuale.
Tuttavia deve far riflettere il fatto che non è l’immagine cultuale ad essere necessaria, bensì l’altare, l’unico elemento realmente essenziale allo svolgimento del rito, anche in assenza di tempio460.
Secondo le indicazioni vitruviane l'altare è normalmente rivolto a est, verso il sole nascente, e la sua collocazione rispetto alla città, come per i templi, si deve adattare alle necessità cultuali legate alle divinità maggiori461. Per le altre divinità altari e templi devono invece accordarsi all’usus
sacrificiorum462, devono cioè essere disposti in modo corretto rispetto alle pratiche sacrificali, ed
essere dunque situati a un livello inferiore rispetto alle statue di culto poste nel tempio; in questo modo il contatto visivo tra i fedeli, che si recano al tempio come supplici o per offrire un sacrificio, si instauri su livelli differenti.
Arae spectent ad orientem et semper inferiores sint conlocatae quam simulacra quae fuerint in aede, uti suspicientes divinitatem, qui supplicant, et sacrificant, disparibus altitudinibus ad sui cuiusque dei decorem componantur. Altitudines autem earum sic sunt explicandae, uti Iovi omnibusque caelestibus quam excelsissimae constituantur, Vestae Terrae Marique humiles conlocentur. Ita idoneae his institutionibus explicabuntur in meditationibus arearum deformationes. Explicatis aedium sacrarum compositionibus in hoc libro insequenti de communium operum reddemus distributionibus explicationes.
460 Non è necessario che l’altare sia monumentalizzato, può essere anche una struttura provvisoria, fatta ad esempio di zolle di terra: vd. Ov. Met. 15.573-576, Cod. Theod. 16. 10. 12.
461 Divisis angiportis et plateis constitutis arearum electio ad opportunitatem et usum communem civitatis est
explicanda aedibus sacris, foro reliquisque locis communibus. Et si erunt moenia secundum mare, area ubi forum constituatur, eligenda proxime portum, sin autem mediterraneo, in oppido medio. Aedibus vero sacris, quorum deorum maxime in tutela civitas videtur esse, et Iovi et Iunoni et Minervae, in excelsissimo loco unde moenium maxima pars conspiciatur, areae distribuantur. Mercurio autem in foro, aut etiam ut Isidi et Serapi in emporio; Apollini Patrique Libero secundum theatrum; Herculi, in quibus civitatibus non sunt gymnasia neque amphitheatra, ad circum: Marti extra urbem sed ad campum; itemque Veneri ad portum.
È importante inoltre notare come nel sistema vitruviano le altezze degli altari differiscano a seconda delle divinità; quelli costruiti per Giove e per gli dei celesti devono essere il più possibile alti (excelsissimae constituatur), mentre per la Terra e il Mare, nonché per la dea Vesta, strettamente legata, se non vincolata, al suolo di Roma, non dovranno alzarsi molto a terra (conloceretur
humiles).
A favorire la creazione dello spazio rituale sacrificale doveva contribuire anche la musica, considerata parte integrante del sacrificio: se nell'ultima fase della Repubblica e in età imperiale ogni solennità religiosa si svolgeva infatti alla presenza di musici, per i riti sacrificali la presenza di
tibicines era indispensabile, tanto da risultare degna di nota ogni eccezione463. Dal punto di vista
interno dei partecipanti al sacrificio il suono delle tibiae, isolava dai rumori esterni, coprendo allo stesso tempo suoni considerati di cattivo augurio464. Dal punto di vista esterno il suono,
propagandosi, dilata in modo considerevole lo spazio sacrificale, allo stesso tempo segnala a distanza lo svolgersi del rito.
I gesti sacrificali e la strutturazione simbolica della comunicazione e scambio tra uomini e dei, per come può essere ricostituita dalle fonti, che non sono esplicite a riguardo, aprono dei canali gestuali e spaziali precisi; all’isolamento transitorio spaziale e temporale del gesto sacrificale, corrisponde una gestualità atta a isolare e trasferire la vittima a un’altra sfera, che la statua di culto, quando presente, situa in una direzionalità ascensionale, che corrisponde peraltro alla concettualizzazione tendenzialmente celeste della sfera divina che emerge dalle fonti letterarie.
La presenza divina tra gli uomini, che sappiamo essere pensare quale politopica e poliedrica, può essere così ricondotta a una norma, forse a una semplicificazione, nel canale spaziale-comunicativo del gesto rituale.
463 Svet. Tib. 70.6 segnala ad esempio come Tiberio avesse offerto vino e incenso nella Curia dopo la morte di Augusto, senza che fossero presenti tibicines.