• Non ci sono risultati.

3 Spazi rituali specifici: analisi di casi di studio Il complesso di Thinissut

3.4 Le fasi edilizie e il ruolo della statuaria

La successione di varie fasi edilizie all'interno del complesso, responsabili della complessità della planimetria e della disposizione degli spazi, ha costituito un problema con il quale si sono confrontati tutti gli studiosi occupatisi del santuario, da Alexandre Lézine, Marcel Le Glay, Cinzia Rossignoli, Hédi Dridi e Meriem Sebaï, e da ultimo Bruno d'Andrea.

Il primo ad occuparsi di Thinissut, Lézine, proponeva di leggere nelle strutture una prima fase, punica, assimilata dallo studioso per cronologia e funzione alla prima fase del complesso di El- Kenissia, in cui il santuario si sarebbe configurato come una edicola/enclos all'interno di una corte porticata di forma quadrata, le cui dimensioni sarebbero poi state ridotte; l'area sacra a cielo aperto era delimitata da un recinto quadrato di circa 18 metri di lato, che viene a coincidere dunque con i muri perimetrali dei blocchi II e III.

La prima pianificazione del santuario vedrebbe dunque una disposizione regolare e simmetrica, che consiste in una corte quadrangolare con portico munita di un'edicola posta sull'asse longitudinale720,

l'installazione cultuale che D'Andrea chiama M6 (Fig. 5)

In seguito nuove strutture si sarebbero aggiunte al nucleo originale del complesso.

718 Si tratta di una modalità già attestata a Sousse nel III sec a.c., 719 ILAfr 218.

C. Rossignoli mantiene l'idea della corte porticata su tre lati, a cui si avrebbe avuto accesso a sud, occupata sul fondo da due cappelle. In ogni caso i blocchi I e IV sembrano essere stati aggiunti in un momento posteriore, come con certezza i muri di separazione tra L 11 e L19 il vano L12 e la cisterna, che risalirebbero all'ultima fase del complesso.

L'ingresso si sarebbe trovato nell'angolo sud-occidentale del santuario, coincidendo con l'ingresso che in ultima fase sarà quello del blocco III. I rinvenimenti trovati all'interno della favissa, la cui delimitazione muraria è certamente posteriore, suggeriscono l'idea che la zona della corte nell'angolo nord-occidentale fosse deputata allo svolgimento di sacrifici o utilizzata come deposito rituale.

Ad una fase successiva sarebbe da collocare l'iscrizione punica dedicatoria e le due strutture a cui essa fa riferimento, tra la seconda metà del II e il I secolo a.c721.

L’identificazione dei mqdš rappresenta ancora un problema insoluto. Le due strutture sono infatti identificate da A. Lézine e successivamente da C. Rossignoli con le due strutture presenti nel blocco II - secondo la denominazione di d'Andrea M.3 e L.15 - vicino alla quale fu infatti rinvenuta l'iscrizione722.

Cinzia Rossignoli ritiene che l'iscrizione punica commemori la costruzione del grande spazio (sala 4) dedicato a Baal e Tanit, lasciando intendere l'esistenza di un culto antecedente non identificato723.

Dridi e Sebaï, dal canto loro, propongono che alla metà del II a.c., in concomitanza con la costruzione della superficie della zona chiusa, le due divinità fossero state spostate da un'unica edicola presente nello spazio n. 5 (blocco III) in due edicole di nuova costruzione nello spazio 4, mentre l'antica edicola venne abbandonata724 (fig. 3).

Un'opinione divergente è quella di D'Andrea, per il quale i due mqdš non sarebbero identificabili nelle strutture del blocco II; nella sua prospettiva l'iscrizione si riferirebbe piuttosto alla costruzione delle due celle afferenti al blocco I, edificate nel medesimo tempo del portico che le inquadrava sul fondo (Fig. 6). Tale configurazione si avvicinerebbe in modo significativo alla tipologia dei templi di “tipo africano” relativa ai santuari di Saturno ipotizzata da Le Glay725. In una successiva fase

l'aggiunta a sud dell'atrio pavimentato e la redistribuzione degli spazi interni delle celle del blocco I avrebbe riconfigurato questa parte del complesso come un “tempietto longitudinale tripartito” e

721 A. Merlin datava iscrizione e prima fase del santuario all’inizio del I sec. d. C. ; la commistione dei caratteri punici e neopunici non costituisce però un dato certo di datazione, come l’aveva sottolineato E. Vassel, portando l’esempio delle iscrizioni del tofet di Cartagine cfr. E. Vassel, Inscription puniques, pp. 17-19.

722 C. Rossignoli, in S. Bullo,C. Rossignoli, Il santuario rurale presso Bir bou Rekba, cit., pp. 264-265. 723 Ibid., pp. 266-267.

724 H. Dridi, M. Sebaï, De Tanesmat à Thinissut , cit., p. 112.

725 B. D'Andrea I Tofet del Nord Africa, cit., p. 126; M. Le Glay, Saturne africain pp. 126, fig. 4.3; nell’ipotesi delle cinque fasi di H. Dridi e M. Sebaï, che distinguono in tre periodi la terza fase romana, la costruzione degli ambienti del primo blocco viene posticipata al periodo tra il 50 a.c. e 50 d.c.; i due A. considerano infatti la datazione di tutte le statue presenti successiva all'epoca punica.

orientato da nord a sud, che a parere di Le Glay sarebbe dedicato alle diverse interpretazioni della dea Tinnit in età romana, testimoniate dalla statuaria.

Le perplessità che possono essere avanzate nei confronti di questa ricostruzione non sono dirette solo all’ennesima riproposizione del modello teorico del “santuario di tipo africano”, ma riguardano anche il rinvenimento delle statue sedute, rappresentanti un personaggio maschile e un personaggio femminile con polos. La collocazione in antico di questi reperti, che possono con ragionevole certezza essere considerate delle statue cultuali, è da ritenersi nei pressi del loro luogo di rinvenimento, ossia nello spazio della corte n. 4; se gli ambienti del blocco I (sale 1, 2, 3) hanno permesso il ritrovamento di una variegata statuaria femminile, mancherebbe in modo piuttosto singolare una testimonianza cultuale per la divinità maschile, che l'iscrizione punica e l'iscrizione latina relativa alla cisterna non possono far ritenere dubbia.

La corte n. 4, facendo inoltre rinvenire il maggior numero di statue, indica che questo ambiente potrebbe essere stato plausibilmente il centro del santuario di età punica, e rimasto con ogni probabilità il centro cultuale in età romana, quando fu inserita, con ogni probabilità la struttura che accoglie la dea che allatta726. In quello spazio si concentrano infatti le fonti epigrafiche non solo

neopuniche ma anche latine; e a giudicare dal piccolo deposito nel quale sono stati trovati resti di ossa calcinate e frammenti di ceramica, la sala ospitava anche in epoca romana almeno una parte della sequenza sacrificale, mentre una parte di questa doveva svolgersi all'esterno727.

Valorizzando il ruolo spaziale della statuaria nell'interpretazione degli ambienti del complesso, come hanno fatti Dridi e Sebai, è possibile cogliere una varietà di aspetti altrimenti sottodimensionati; se infatti sulla tipologia e sulla datazione dei reperti mancano nella maggior parte dei casi degli elementi determinanti, la loro collocazione può fornire delle indicazioni preziose per un'analisi spaziale che si avvalga con cautela di alcuni principi semiotici. Alcune proposte di lettura in questo senso saranno avanzate nella parte conclusiva.

Se dal punto di vista tipologico va sottolineata la varietà e la ricchezza dei tipi iconografici delle statue cultuali - varietà che indica una molteplicità di modelli di riferimento e, probabilmente, una volontà di integrazione della sfera ellenistica728 - le statue rivelano che l'insieme del santuario è

legato alla sfera divina femminile, declinata plausibilmente in molteplici aspetti e funzioni.

La loro distribuzione può essere letta non solo in rapporto alla vista e all'esperienza sensoriale e ovviamente motoria del fedele all'interno del santuario; da un punto di vista complessivo mostra

726 Ai piedi dello zoccolo che regge la statua furono infatti rinvenute lampade romane, trovate anche lungo il muro ovest della sala 1.

727 Quest’ipotesi è suggerita sia dalla presenza di unguentaria, nello spazio esterno in asse con l’entrata, sia dal deposito di urne nell'area β; potrebbe però trattarsi di una giacitura secondaria.

l'intenzione di esplicitare un rapporto tra le divinità, riflettendo la complessità delle strutture interne729.

Un primo aspetto da considerare a questo proposito è il posizionamento delle statue leontocefale, che sono state rinvenute in numero di almeno cinque, situate all'ingresso della sala 1, e nella 4, nella parte posteriore della struttura M3 e ai lati della soglia che connette l'ambiente con la sala 1, ma nella parte interna.

Come segnalato dalla bibliografia relativa la tipologia delle figure potrebbe trarre ispirazione dalla rappresentazione egiziana della dea Sekhmet, con cui in Egitto venne identificata Astarte, che con Tinnit sembra avere un rapporto particolarmente stretto730, e diffusa anche nel mondo fenicio

punico. Alfred Merlin aveva proposto un confronto diretto con l'immagine raffigurata sul R di un denario datato al 47-46 a.c., accompagnata dalla legenda GTA, intesa come l'abbreviazione dell'epiteto G(enius) T(errae) A(fricae), e con una statuetta dello stesso tipo rinvenuta nella c.d. cappella Carton di Cartagine.731

La natura di Tinnit, come si è ricordato nella presentazione generale della ritualità punica del tofet, è ancora lontana dall’essere chiarita nei suoi aspetti generali e specifici; ed anche precisi contesti cultuali che potrebbero fornire delle indicazioni relative alle specificità locali e topiche della dea, che dobbiamo plausibilmente presumere, non permettono di decifrarli. Allo stesso modo la comparazione con altre regioni, come l’Oriente da cui la dea trae origine, può essere tenuta in considerazione per arricchire il quadro di elementi. In uno studio di Maria Cruz Marìn Ceballos che prende in esame anche l'iconografia precedente, si mettono ad esempio in luce le trasformazioni nella Palmira ellenistico-romana dell'appellativo gd (corrispondete al lat. fortuna, gr. tyche) che compare in riferimento a Tinnit in un'iscrizione di Nora e che è stato messo in rilievo da Cristiano Grottanelli732. Secondo la studiosa infatti Gd passa dall'idea di destino a quella di protezione dei

luoghi e degli individui. Genius, gad, daimon - in riferimento al daimon karkedonion dal giuramento di Annibale di cui narra Polibio733 - apparterrebbero in questo senso ad uno stesso

quadro concettuale, connessa all'idea della protezione734.

729 H. Dridi , M. Sebaï, De Tanesmat à Thinissut, cit., p. 135.

730 M. Marìn Ceballos, La Diosa Leontocéfala de Cartago, in Arqueólogos, Historiadores y Filólogos. Homenaje a

Fernando Gascó. Santander 1995, pp. 827-843 (832-833). cfr. anche infra.

731 A. Merlin Le sanctuaire de Baal et Tanit , cit, pl. III.3 ; RRC I, 472 n. 460.4; cfr. S. Bullo Il santuario rurale

presso Bir Bou Rekba (Thinissut), cit., p. 251

732 Rés 1222 (ICO Sardegna 25), datata al IV-II a.c. Cfr. C. Grottanelli, Astarte-Matuta e Tinnit-Fortuna, in «Vicino Oriente» 5, 1982 pp. 103-116, fa di Tinnit una dea del destino; sottolineando come Astarte sia legata all'aurora e Tinnit alla fortuna propone una diade parallela alla coppia romana Matuta/Fortuna dal Iv sec.

733 Pol. Hist. 3.11.1-8.

734 Marìn Ceballos fa notare che il termine daimon all'epoca di Polibio quale entità intermedia tra divinità e uomini, potrebbe indicare una personificazione della forza divina sul destino di uomini e cose, cfr. M. Marin Ceballos, La

Associando alla sfera di Tinnit gli esemplari statuari di Thinissut, il numero e la posizione dei quattro esemplari in frammenti non possono indicare per questi manufatti un ruolo di statue di culto quanto piuttosto una funzione di protezione, in relazione alla soglia nella sala 4, e della facciata nord della piccola edicola che si trova al suo interno. In questo modo è dunque plausibile leggere nel carattere leonino delle figure, anziché una funzione apotropaica ipotizzata da Rossignoli, una funzione di protezione dello spazio centrale, più antico ma vitale anche in epoca romana, per cui ben si addice il ruolo di 'sentinelles', proposto da Dridi e Sebaï; nella loro prospettiva inoltre l'installazione non sarebbe anteriore alla terza fase del santuario (seconda metà del I a.c., prima metà del I d.c.)735.

Un interrogativo riguarda inoltre la funzione delle sfingi con seni prominenti rinvenute nella sala 2, ai lati dell'edicola e all'interno della più grande tra le due strutture della sala 4, dove sono state rinvenute anche quelle che sono state considerate le statue di culto delle divinità titolari. Sappiamo che le sfingi sono iconograficamente connesse con Ba’al Hammon; due sfingi alate, di cui una acefala e l'altra munita di copricapo conico, sorreggono il trono della divinità maschile seduta, identificata da Merlin come Baal Hammon736. Sebbene sia plausibile ipotizzare una differenza

funzionale tra le sfingi e le statue leontocefale, le prime potrebbero aver rivestito un ruolo almeno in parte analogo alle seconde, enfatizzando inoltre l'idea di sovranità.

La figura leonina, non rara in Africa, ritorna più volte nella statuaria di questo complesso santuariale; anche per quanto riguarda la statua della dea stante su leone, solo parzialmente integra, rinvenuta nell'angolo nord-orientale della struttura cultuale della sala 1, l'iscrizione latina spinge a pensare che raffiguri Caelestis o Ceres, e che Merlin propone di leggere come un'influenza dell'Atargatis siriana737.

Sappiamo che a Caelestis viene tradizionalmente attribuita una natura prevalente di dea madre, come ricorre da ultimo nello studio di A. Cadotte, per il quale “En Afrique même… son culte fut l'objet de nombreux syncrétismes, en raison surtout de sa nature de déesse mère, qui favorisa des rapprochements avec d'autres divinités”738. D’altronde nella prospettiva di Le Glay, fondante per

quanto concerne gli studi africani, la dea Nutrix, spesso associata in epoca romana a Saturno, costituirebbe interpretatio di Tinnit, rivelandone e precisandone le funzioni di nutrice739.

Tuttavia la continuità tra Tinnit e Caelestis, in questo come in altri contesti, non solo non è scontata, ma addirittura dubbia740; d'altro canto l'elemento demetriaco, che possiamo ascrivere a Ceres, è

735 S. Bullo le data invece al III a.c., cfr. Ead. Il santuario rurale presso Bir bou Rekba, cit, pp. 253-254. 736 Ibid. pp. 39-42

737 A. Merlin, Le sanctuaire de Baal et e Tanit, cit., pp. 47-48. 738 A. Cadotte, La romanisation des dieux, cit., p. 65.

739 Cfr. M. Le Glay, Saturne Africain. Histoire, cit. 740 Cfr. infra.

presente a Thinissut nella moneta ritrovata nella sala 3, e, per il tratto materno, nella statua della dea che allatta, precedentemente collegata a una Tinnit-madre.

Un'associazione tra Ceres e Tinnit potrebbe d'altronde essere suggerita anche a Thuburbo Maius, per cui è stato ipotizzato un tofet di fase punica741, a partire da un frammento lapideo contenente un

formulario simile a quello normalmente indirizzato a Baal Hammon e Tinnit, che non compaiono però nell'iscrizione; inoltre l'iconografia di un cippo in forma di edicola distila posta su uno zoccolo - rinvenuto all'esterno del santuario e attribuito da Merlin a Baal/Saturno- Tinnit /Cerere742 - reca

sotto l'ingresso del naos un animale interpretabile come un maiale o un cinghiale, animale sacro a Demetra /Cerere743.

Rispetto a quella eventuale di una Demetra/Ceres nutrice, che potrebbe essere considerata in questo specifico contesto templare interpretatio di Tinnit in luogo di Caelestis, la presenza di Atena, pienamente ellenistica nella tipologia, risulta meno facilmente interpretabile, se non tramite l'attributo che porta, il gorgoneion744; disposta a sud dell'accesso alla grande edicola di questo

ambiente, potrebbe anch'essa mettere in luce una necessità apotropaica di protezione. Con certezza la sua attestazione nel santuario prova l'integrazione in uno stesso ambiente, e dunque in uno stesso contesto rituale, di modelli e di prospettive provenienti da contesti culturali diversi e in contatto. Nella varietà di modelli e di tipologie la statuaria di Thinissut mostra una certa coerenza di motivi, che tesse dei legami tra le divinità. Questa visione risponde in modo coerente al contesto giuridico al quale il santuario afferiva, quello di una civitas peregrina, che prevedeva il diritto di scegliere di mantenere le proprie divinità (le cui antiche statue di culto sarebbero rimaste nel santuario) ma anche di onorarne altre di nuove.

3.5

Aspetti spaziali e semiotici salienti

Oltre a una eventuale revisione o discussione di alcuni dati, sui quali non è comunque possibile pronunciarsi in modo definitivo, rimane da capire se altri elementi possano permettere di di avanzare nell'interpretazione del contesto rituale, tenendo presenti le specificità di un quadro in cui elemento punico e romano sono saldamente intrecciati e in cui la frequentazione presenta prove di sostanziale continuità. Non chiare sono ovviamente la committenza e l’origine della progettualità del santuario, che attraverso svariati piani costruttivi venne a integrare la zona del tofet.

741 B. D’Andrea, I tofet cit.

742 Collocato a un centinaio di metri a sudovest rispetto al santuario periurbano di Saturno e poi trasformato in chiesa cristiana il santuario è solo ipoteticamente attribuito alla coppia, sulla base di dati piuttosto fragili; cfr. la discussione in D'Andrea, I tofet del Nord Africa, cit. pp. 142-143.

743 Ceres è associata a Caelestis in un'iscrizione proveniente da Henchir Belda, CIL 8.27430= Cadotte 2007, n. 288= M. G. Lancellotti Dea Caelestis, Studi e Materiali per la storia di una divinità, cit., B 57 (p. 123).

744 La bibliografia sul gorgoneion è amplissima; ricordiamo qui solamente J.-P. Vernant, La mort dans les yeux, Paris 1985; C. Marconi, Temple Decoration and Cultural Identity in the Archaic Greek World, Cambridge 2007.

Un primo dato è quello topico/topografico. La posizione in cui era situato, l'altura affacciata sul golfo di Hammamet e sulla dorsale montuosa tunisina, conferiva senza dubbio una forte pregnanza paesaggistica al santuario, la cui interpretazione è in gran parte compromessa, almeno per quanto riguarda l’articolazione plano-volumetrica, in quanto lo stato delle rovine, già all’epoca di Merlin non consentiva di apprezzare la dimensione ottica e percettiva.

L’esperienza dello spazio esterno del santuario è solo immaginabile a partire dalle fondamenta e dalla struttura rilevata sul campo. Certamente il complesso doveva presentare una certa imponenza, enfatizzata dal posizionamento sulla sommità dell’altura, che necessariamente sovrastava i centri urbani da cui il complesso doveva essere visibile, certamente Siagu, situato come abbiamo visto a circa un chilometro di distanza, e la civitas peregrina di Tanesmat, le cui vestigia ancora non sono state rinvenute.

Il contesto archeologico nel momento del suo rinvenimento, privo di vie di accesso, rende il santuario apparentemente scollegato da una pianificazione urbanistica. D’altronde la posizione e la monumentalità del complesso ben si accordano con l’idea del santuario extraurbano, che doveva accogliere la frequentazione proveniente da diversi centri, da cui si poteva guardare al santuario da lontano. La posizione sopraelevata e la visibilità che ne consegue, se non possono essere ricondotte

tout court ad una scelta privilegiata per la dislocazione di uno spazio cultuale, denota una presa di

posizione saliente nel territorio.

Le fonti esaminate indicano infatti in modo chiaro che la romanizzazione non abbia comportato l'abbandono o la massiccia ricostruzione del santuario, che fu invece ampliato verso ovest blocco I ) e sud (blocco IV).

L’esistenza di un tofet precedente alla fondazione del santuario pone il problema della sua memoria culturale in quanto, se fu inglobato che l’ampliamento del complesso templare limitò verosimilmente l'accesso al lato della collina dove erano state deposte le urne.

Per quanto riguarda lo spazio interno, la ripartizione degli ambienti, che nelle fasi della costruzione non furono semplicemente giustapposti ma videro una rifunzionalizzazione anche sostanziale, mette in luce un forte dinamismo, che doveva essere percepibile anche a livello di forma esterna del santuario, complemento di quella assimilazione e valorizzazione di culti ancestrali di cui sembrano parlare i rinvenimenti statuari. La presenza e interazione di partizioni strutturali e compositive, giustapposizione di ambienti con diverse forme e destinazioni funzionali rende il complesso un terreno estremamente interessante, sebbene le lacune della documentazione non consentano di presentare un’interpretazione globale e soddisfacente della ritualità connessa.

Mancano elementi sufficienti a strutturare un confronto preciso tra due concezioni, quella punica e quella romana, probabilmente vicine per quanto riguarda la modalità di percepire e costruire la

presenza divina all'interno del luogo di culto, e che potrebbe risultare prezioso per comprendere ed integrare alcuni aspetti della ritualità poco chiari, in quanto noti dalle sole fonti archeologiche. Possiamo dunque chiederci: con quali modalità una configurazione di questo tipo articola, mette in relazione e gerarchizza, graduandoli in una scala, diversi aspetti rituali, inerenti le divinità, i fedeli, le azioni e i movimenti da essi compiuti, gli oggetti deposti?

Per quanto riguarda il piano degli dei un elemento di riflessione importante può però essere tratto dall'iscrizione punica proveniente dalla sala 4. Che si tratti di una nuova installazione o di uno spostamento, come pensano H. Dridi e M. Sebaï, l’ingresso di Baal Hammon e Tinnit nella grande edicola, suggerisce una modalità ufficiale di assegnazione di uno spazio per certi aspetti assimilabile alle abitudini romane in fatto di consacrazione. Sappiamo infatti che in ambito romano con la dedicatio colui che si era fatto carico della costruzione del tempio abbandonava il suo diritto di proprietà alla divinità, mentre tramite la consecratio l'edificio passava alla sfera sacra,