La terminologia connessa ai luoghi di culto costituisce una chiave preziosa, benché non esaustiva, per tentare di comprendere da un punto di vista interno la natura degli spazi, rituali o cultuali. Il termine più utilizzato nella letteratura scientifica è quello di santuario, cui si ricorre spesso per riferirsi non solo al singolo edificio cultuale ma a tutta l'area in cui esso è compreso, che come sappiamo, doveva contenere altri spazi funzionali al culto. Ciononostante in latino il significato più frequente di sanctuarium è molto diverso da quello moderno, in quanto indica generalmente un luogo adatto a conservare documenti privati o confidenziali; nei documenti epigrafici viene invece per lo più usato per indicare un luogo che raccoglie oggetti sacri o spoglie di un defunto410.
A Roma come in Grecia il luogo di culto come funzione principale quella di ospitare la statua della divinità titolare e spesso delle divinità ad essa associate, insieme ad altre immagini divine che potevano essere loro offerte. Esistevano però delle eccezioni, in quanto sappiamo da Ovidio che nella sua aedes sul Palatino la dea Vesta non era rappresentata in nessun modo se non attraverso la fiamma, che ardeva senza interruzione; il tempio di Vesta d'altronde godeva di uno statuto differente
404 Ibid. 7.10. sull’origine sabina del termine, attestata da uno scolio oraziano e sul vocabolario italico relativo ai luoghi di culto cfr. O. de Cazanove, Les lieux de culte Italiques. Approches romaines, désignations indigènes, in
Lieux sacrés, lieux de culte, cit., pp. 31-41.
405 Ad es. lucus Vestae, lucus Streniae, lucus Mefitis; vd. ILS 4181 hasta in aede Bellona in luco dicata est; cfr. F. Coarelli, I luci del Lazio: la documentazione archeologica, in Les bois sacrés, cit. pp. 45-52.
406 F. Coarelli, I luci del Lazio: la documentazione archeologica, cit., p. 47.
407 Cato. Orig. 58: Lucum Dianum in nemore Aricino Egerius Baebius Tusculanus dedicavit dictator Latinus. 408 vd. CIL 8.10627, CIL 10.292, CIL 10.4104.
409 Sen. Epist. 4.41, 1-5; Plin. 12.3-5.
rispetto agli altri luoghi di culto, che prima di essere edificati venivano ritualmente inaugurati. Le fonti specificano invece che il tempio di Vesta era una aedes non inaugurata411. Questo non
significa che tutte le aedes, rispetto ai templi, si trovassero nella stessa condizione; e tale osservazione tradisce quella che appare come una difficoltà, o forse un'assenza di necessità, nel definire i luoghi di culto in modo univoco.
Pur assolvendo, almeno apparentemente, ad una medesima funzione il lessico relativo all'architettura religiosa è assai variegato. La domanda è se il lessico specifico relativo ai luoghi di culto possa rispondere ad una rappresentazione implicita dell'ordine cosmico e divino oppure ancora ad esigenze rituali concrete, che possono chiarire le modalità con cui veniva pensato il rapporto tra le comunità e l'immanenza divina412.
Come dimostrano le etimologie proposte per i differenti termini che designano edifici di culto essi oscillano tra il concetto di spazio definito ritualmente, come templum, e l'idea di luogo di residenza della divinità (aedes) materializzato da un edificio o dalla sua rappresentazione figurata413.
Gli altri termini del lessico che in misura frequenzialmente minore si riferiscono ai luoghi di culto sono fanum, delubrum, sacrarium, che i dizionari presentano generalmente come sinonimi, e
sacellum che si differenzia, secondo Festo, per il fatto di non essere coperto con un tetto414. Fana,
templa, delubra è una nota formula giuridica che indica tre diversi tipi di santuari, in cui templa
sono spazi inaugurati e delubra edifici templari urbani415.
Tale relativa varietà lessicale non sembra tuttavia rispecchiare una differenziazione rigorosa delle tipologie templari, quanto piuttosto costituire un vocabolario flessibile; infatti questi termini hanno usi diversi nella pratica linguistica, e talvolta non corrispondono ai significati che forniscono gli autori antichi.
Se alcune distinzioni tra i sei termini usati dalla lingua latina per indicare i luoghi di culto possono essere individuate con una discreta sicurezza416 la considerazione generale che se ne può trarre è che
nell'uso si trattasse di espressioni in larga parte intercambiabili, in quanto un termine specifico non sembra rimandare regolarmente alla stessa tipologia di struttura.
Templum è il termine più utilizzato dalle fonti e quello il cui senso è più generale, malgrado il suo
originario significato augurale; in letteratura è utilizzato spesso per riprendere in un modo diverso,
411 Gell. Noct. Att. 14.7.7:Inter quae id quoque scriptum reliquit non omnes aede sacras templa esse ac ne quidem
Vestae templum esse.
412 Cfr. le considerazioni di J. Cl. Margueron, L'organisation architecturale du temple oriental: les modalités de la
rencontre du profane et du sacré, in Le temple lieu de conflit, cit., pp.35-60.
413 S. Estienne, Statues de dieux “isolées” et lieux de culte, cit., p. 81. 414 Fest. p. 422 Lindsay Sacella dicuntur loca diis sacrata sine tecto. 415 vd. Lex Ursoniensis; CIL 2.5439.
416 Si vedano a questo proposito le osservazioni condotte da J. Scheid e A. Dubourdieu su un ampio corpus letterario ed epigrafico in A. Dubourdieu, J. Scheid, Lieux de culte, lieux sacrés, cit., pp. 59-80.
dunque come sinonimo, un edificio di culto già precedentemente citato. Nella maggior parte dei casi
templum precede o segue il genitivo del nome di un dio417, mentre nel suo senso di spazio
inaugurato è usato anche in relazione a edifici non religiosi, come i Rostri, i Comizi e la curia418.
Inesauribile fonte di discussioni e ipotesi interpretative il significato augurale e rituale di templum è un elemento di particolare interesse in un'analisi che si rivolga alla spazialità in rapporto ai fatti religiosi. La storia del termine templum e i suoi usi permettono quindi di scorgere una molteplicità di significati, che affondano le radici nella tradizione augurale romana.
Com'è noto templum indica originariamente un'incisione o delimitazione dello spazio operata a fini divinatori419. Il templum è quindi connesso allo schema augurale disegnato dal sacerdote durante il
rito, che inscrivendo le linee del campo visivo nel suolo, si configura come uno spazio concettuale prima che fisico420.
Secondo la nota e problematica notizia di Varrone sono tre i modi in cui si declina il templum: ab
natura, ab auspicando, ab similitudine421; i rispettivi luoghi di queste tipologie sono il cielo, la terra
e il mondo sotterraneo. Se il templum ab natura, cioè la porzione di cielo che è possibile abbracciare con lo sguardo, trova un corrispettivo sotterraneo nei templa ab similitudine, come dimore rispettive di dei celesti e catactoni422, il templum in terra è definito ritualmente, con parole
specifiche (conceptis verbis) a scopo divinatorio.
Il latino templum indica la linea virtuale che l'augure romano tendeva trasversalmente rispetto a un'altra linea già fissata mentalmente realizzando una quadripartizione del campo di osservazione in settori orientati.
Il rito della inauguratio descritto da Livio a proposito della proclamazione di Numa Pompilio a re di Roma illustra con cura le azioni necessarie a definire un templum423. In questo rituale, l'augure
procede in una sequenza di gesti tesi a marcare e dichiarare ritualmente uno spazio nel quale mettere in pratica una serie di comportamenti e doveri religiosi. Questi consistono nell'osservazione e nell'interpretazione di vari segni, tra cui la comparsa e il movimento di diversi tipi di uccelli, fulmini, suoni catturati nel vento, signa considerati indicazioni della volontà di Iuppiter. Nel racconto di Livio evinciamo l’augure procedesse ad una divisione orientata dell’orbe terrarum, in
417 Per le occorrenze nella letteratura del termine templum cfr. A.Dubourdieu, J.Scheid, Lieux de culte, lieux sacrés, cit. p. 66.
418 Cic. Verr. 2.3.223; Cic Inv. 2.52; Liv. 27.52.10.
419 Il termine templum viene infatti ricondotto alla radice *tem, da cui anche il greco temno.
420 J. Rykwert, The idea of a town: the anthropology of urban form in Rome, London 1976, p. 45; E. Ghey, Beyond the
temple: blurring the boundaries of “sacred space” in J. Bruhn, B. Croxford, D. Grigoropoulos (eds.) TRAC 2004, Proceedings of the Fourteenth Annual Theoretical Roman Archaeology. (Conference of Durham 26-27 march 2004), Oxford 2005, pp.109-118.
421 Varr. De ling. Lat. 7.2.
422 Il riferimento di Varrone è a Enni. Scaen 98 Jocelyn: Acherusia templa alta Orci, salvete, infera. 423 Liv. 1.18.
cui assumono una particolare rilevanza le linee di veduta che abbracciano lo spazio, permettendo di identificare e fissare punti di riferimento e direzioni: la volta del cielo viene divisa da oriente a occidente, con una linea ideale, scindendo in questo modo le regioni meridionali (a destra) da quelle settentrionali (a sinistra)424.
Secondo la lettura di Linderski l'azione rituale si svolge come se due luoghi mentali si unissero in un'entità che viene trattata come se esistesse realmente nel mondo fisico; i due templi e i due piani, celeste e terrestre, costituirebbero così un “inseparable whole”425.
Da un punto di vista religioso lo spazio augurale, così com'è descritto da Livio, è definito dall'idea che viene proiettata sullo spazio terrestre.
Derived from the augur’s perception of the sky and earth, this idea-location reflects the boundaries, shape and other features of the real landscape; at the same time, as the result of the ritual process, it gives sacred form to the topography itself426.
Si noterà che i confini del templum sono definiti in modo verbale, nel momento in cui vengono dichiarati, effati; effari sembra dunque passare dal significato di 'dire' a quello di 'delimitare'427.
Hinc effata dicuntur, qui augures finem auspiciorum caelestum extra urbem agris sunt effati ut esset; hinc effari templa dicuntur: ab auguribus effantur qui in his fines sunt.
La concezione di spazio inaugurato, consacrato e organizzato modella la struttura del tempio di tradizione etrusco-italica – almeno fino all’età alto-imperiale - elevato su alto podio, accessibile da un unico ingresso frontale, in cui la pars antica è occupata dal pronao, la postica è invece sede delle celle, dove dimorano le divinità. Secondo D’Alessio esso è intimamente legato all’idea stessa che i romani avevano dello spazio celeste, del mondo iperuranio e della sua proiezione in terra, e
424 Dopo aver condotto Numa sulla cittadella, al seguito di un augure, e fatto sedere il futuro re su una pietra con lo sguardo rivolto a meridione, l'augure procede ad una divisione orientata dell'orbe terrarum. In questa divisione a: a capo scoperto, e reggendo con la destra il lituus, un bastone ricurvo e privo di nodi, l'augure divide la volta del cielo, specificando che le regioni a destra erano quelle meridionali e quelle di sinistra le settentrionali. Poi fissa mentalmente un punto davanti a sé, un punto di riferimento, il più lontano a cui potesse giungere con lo sguardo:
Inde ubi prospectu in urbem agrumque capto deos precatus regiones ab oriente ad occasum determinavit, dextras ad meridiem partes, laeuas ad septentrionem esse dixit; signum contra quo longissime conspectum oculi ferebant animo finiuit . L'augure passa in seguito il lituus nella sinistra, tocca con la destra la testa di Numa Pompilio, e
prega Iuppiter di manifestare un segno entro i limiti tracciati (ut tu signa nobis certa adclarassis inter eos fines
quos feci). È all'apparizione degli auspici, precedentemente specificati, che Numa è finalmente dichiarato re.
425 J. Linderski, The augural law, in Aufstieg und niedergang der romische Welt, II. 16.3, Berlin-New York 1986 , pp. 2146-2312 (2278-2279).
426 W.M. Short, Thinking Places, Placing Thoughts: Spatial metaphors af Mental activity in Roman Culture, in « I Quaderni del ramo d'oro on-line » 1, 2008, pp.106-129, (126).
427 Si vedano in proposito le osservazioni di M. Bettini, Wighty words, Suspect speech: fari in Roman Culture, in «Arethusa» 41, 2008, pp. 313-375.
dunque alle attente prescrizioni in materia della normativa giuridico-religiosa e ai condizionamenti imposti dalle specifiche funzioni cultuali428.
Diverso è il caso del secondo termine maggiormente usato nelle fonti latine, aedes, che ha il significato originario di 'casa, abitazione' a un solo ambiente. Esso viene utilizzato per lo più al singolare – al plurale è raro e viene di norma accompagnato da un aggettivo che lo qualifichi in senso religioso, come aedes sacrae, sacratae, o dedicatae429 - preceduto o seguito dal nome della
divinità a cui l'edificio era dedicato. La sua etimologia indica in modo piuttosto chiaro il fatto che l'aedes sacra non solo appartenesse alla divinità, ma fosse percepita come la sua abitazione. È significativo il fatto che siano sempre denominati aedes i templi dei Lari e dei Penati pubblici, le divinità tutelari del cuore dello Stato, che avevano il loro corrispettivo, in forma privata, nelle cappelle private delle varie domus dei cittadini romani430.
Come sinonimo di aedes è attestato anche il termine delubrum, sebbene il suo significato originario risulti oscuro già agli autori antichi. Facendo derivare delubrum da deluere Servio propone due diverse spiegazioni: la prima vede nel delubrum un luogo di culto, come il Capitolium, in cui più divinità sono riunite sotto uno stesso tetto (quia uno tecto diluitur), mentre la seconda individua invece un luogo situato ante templum, in cui scorra dell'acqua431; il sostantivo liber, corteccia, viene
evocato invece per far derivare il nome del luogo sacro dalla statua cultuale di legno che si sarebbe trovata all'interno (delibratum avrebbe dunque il senso di decorticatum)432. In modo piuttosto
curioso Varrone fa derivare invece delubrum da deus, così come da candela si ha candelabrum (locum in quo figerent candelam, candelabrum appellatum, ita in quo deum ponerent nominatur
delubrum433).
Il termine fanum riveste un particolare interesse dal punto di vista religioso in quanto, come si è già detto, è in relazione ad esso che si costituisce l'aggettivo profanus. Profanus, secondo Varrone ciò che sta davanti e quindi al di fuori del fanum, si determina in rapporto a fanum non opponendosi dunque all'aggettivo sacer434. In origine il termine indicava probabilmente il luogo liberato e
428 A. D’Alessio, Fascino greco e attualità romana: la conquista di una nuova architettura, in E. La Rocca - C. Parisi Presicce (eds.), I giorni di Roma. L’età della conquista. Catalogo della mostra (Roma, Musei Capitolini, 13 marzo- 26 settembre 2010), Milano 2010, pp. 49-64 (53).
429 Cfr. A. Dubourdieu, J. Scheid, Lieux de culte, lieux sacrés, cit., p. 69.
430 Ai piedi del Palatino è l'aedes Larum, l'aedes Larum Permarinum in Campo (Liv. 40. 52.4), l'aedes Penatium sulla Velia (Varr. De ling. Lat. 5.54)
431 Serv. Ad Verg. Aen. 2.25 432 Fest. p. 64 Linday. 433 Varr. In Macr. Sat. 3.4.2.
434 Macr. Sat. 3.3.4 profanum id proprie dici ait quod ex religioso vel sacro in hominum usum proprietatemque
conversum est; M. Morani, Lat. Sacer e il rapporto uomo-dio nel lessico religioso latino, in «Aevum», 15, 1986,
delimitato attraverso le formule rituali (effatus)435, mentre l'aggettivo sacer si può riferire a ciò che
sia stato inoltre dedicato e consacrato.
Gli usi dell'aggettivo infatti sembrano talvolta contraddittori. Secondo l'etimologia varroniana
profanus potrebbe riferirsi a un oggetto o a un animale portato di fronte al fanum per essere offerto,
dunque prima di essere consacrato436, indicando con profanata il cibo da consumarsi all'interno del
santuario437. Trovarsi di fronte al santuario potrebbe significare però anche il non potervi avere
accesso. Festo suggerisce infatti che qualcosa è profano perché non è portato in un santuario per scopi religiosi (profanum est, quod fani religione non tenetur) e cita Plauto nel dire che ‘sacro’ e ‘profano’ sono separati nettamente l'uno dall'altro. Livio fa uso del termine per indicare un atto deliberato di desacralizzazione, in particolare la decisione da parte degli Ateniesi che statue, cariche sacerdotali e riti stabiliti da Filippo dovessero essere rimossi (profanarentur)438Anche Ovidio fa uso
del termine in quest'accezione in riferimento a un arco temporale, il festum.
Al di là delle sue origini e della sua etimologia, possiamo constatare che le attestazioni di fanum sono le più frequenti, e in particolar modo al plurale, per indicare in modo molto generale un insieme di edifici di culto. Fanum aveva generalmente il significato di sede di un culto, luogo sacro, all'interno del quale si poteva trovare un bosco sacro, il tempio o altre strutture; il senso proprio desunto dalla celebre formula di Livio439 (fanum.. id est locus templo effatus) è quello di luogo
delimitato da un tempio440. Si tratta di un termine che non compare spesso per indicare gli edifici
cultuali di Roma, quanto piuttosto i templi situati all'esterno della cinta muraria delle città, come il
fanum Dianae sull'Aventino, e per designare dei santuari federali come quello etrusco di Voltumna a
Volsinii, o quello di Apollo a Delos.
L'impressione complessiva di una disamina dei termini principali connessi agli edifici di culto, di cui non si presenta che un breve cenno, non lascia spazio a certezze assolute riguardo ad una loro classificazione. Piuttosto che insistere sul loro significato assoluto può essere utile riflettere sulle sfumature di significato che essi portano con sé, soprattutto quando sono in relazione gli uni con gli altri. Come hanno messo in luce Annie Dubourdieu e John Scheid l'esempio degli ottantadue edifici restaurati da Augusto, che sono detti templa nelle Res Gestae e nell'appendice alla stessa opera
aedes, invita a riflettere non tanto sulla loro sinonimia quanto sulla loro complementarietà; termini
435 Hinc fana nominata, quod pontifices in sacrando fati sint finem; hinc profanum, quod est ante fanum coniunctum
fano.
436 Varr. De Ling. Lat 6.54.
437 Nel De Agricoltura Catone fa riferimento a un pasto sacro dedicato a Mars Silvanus; Cat. Agric. 50.2. 438 Liv. 31.44; cfr. anche Cic. Har. Resp. 9: Loca sacra et religiosa profana haberi.
439 Liv. 10.37. 15.
440 F. Castagnoli, Il tempio romano: questioni di terminologia e di tipologia, «Papers of the British School at Rome»52, 1984, pp. 3-19. Termini analoghi e vicini al latino fanum si riscontrano nelle diverse lingue italiche (fíísnu in osco,
fesn in umbro, e in peligno), nel senso di santuario, luogo di culto nel suo insieme cfr. O. de Cazanove, Les lieux de culte Italiques, cit., pp. 39-41.
che si riferiscono alle medesime realtà cultuali possono farlo infatti da punti di vista diversi441. Se
templum evoca in modo particolare il luogo di culto nel suo inscriversi nello spazio, aedes indica
piuttosto l'edificio come proprietà della divinità, ed è in virtù di questo precipuo valore che il termine è usato in modo maggioritario da un autore interessato all'aspetto esterno e strutturale dei templi come Vitruvio.
La necessità, veicolata dal termine, di operare in senso rituale sullo spazio può valere tanto per renderlo adatto ad ospitare la residenza di un dio, e quindi un luogo di culto, quanto per assicurare stabilità ad una istituzione puramente civica, come la fondazione di una città o la costruzione di luoghi assembleari fondamentali al buon funzionamento delle istituzioni. Come accennato nell'introduzione, gli atti rituali tesi a sacralizzare alcuni spazi sono considerati efficaci in quanto demarcazioni simboliche che svolgono un ruolo fondante nella coesione interna di una società.442
Si è potuto vedere precedentemente che prima di ogni delimitazione materiale i confini del templum si creano a partire dalla definizione verbale. Questa definizione, l'effatio, è associata anche alla
liberatio, ovvero all'allontanamento in un determinato spazio di ogni presenza divina già insediata,
sia questa nota o meno. Nella mentalità romana ogni luogo è pieno di dei, e soprattutto i tesca, i luoghi agresti, sono occupati da divinità insediatevi spontaneamente443. Per questo motivo secondo
Cicerone la liberatio riguarda, oltre al templum, anche altre realtà spaziali, come i campi (agros) in cui vengono presi gli auguria:
Divorumque iras providento sisque apparento, caelique fulgura regionibus ratis temperanto, urbemque et agros et templa liberata et effata habento.
La preoccupazione di liberare dalla presenza di divinità non gradite e poi di delimitare accuratamente con formule precise gli spazi nei quali poter svolgere attività civili e religiose444
imponeva talvolta una rigorosa terminatio per mezzo di segni di confine, ai quali era connesso un valore tanto civile quanto religioso. Lo spazio della città affiora quindi a partire dai suoi confini, che erano anche personificati “Audi Iuppiter, audite Fines”, la formula riportata da Livio445.
Anche il tempio inteso come edificio sacro, residenza della divinità, è inizialmente una sorta di costruzione verbale: la consultazione augurale – inauguratio - interpella la divinità, che in caso di assenso permette di procedere alla constitutio aedis, che precede la dedicatio e consecratio.
441 A. Dubourdieu, J. Scheid, Lieux de culte, lieux sacrés, cit., p. 71. 442 G. De Sanctis, Spazio cit., p. 164.
443 Varr., De Ling. Lat. 7.10.
444 A. Valvo, Lapides profaneis intus sacrum, Osservazioni intorno a CIL I2 1486, in «Aevum» 61, 1987, 113-122, p.