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Terminata questa breve digressione sul lessico attinente alla sfera del 'sacro' e alle sue possibili traduzioni in ambiti culturali diversi, vediamo ora come queste radici lessicali prendano (relativa) concretezza nella terminologia legata a spazi rituali e luoghi di culto.

Come si vedrà in seguito l'area cultuale maggiormente nota in ambito punico, è quella conosciuta come 'tofet'; il termine è però allogeno e non compare in alcuna iscrizione proveniente da questi ambiti cultuali. Le stele iscritte provenienti dai tofet fanno raramente riferimento al luogo in cui sono state deposte, veicolando invece informazioni succinte relative ai dedicatari o alle divinità destinatarie del 'voto', sulla natura del quale, com'è noto, non danno alcuna indicazione; riportano piuttosto formule votive ripetitive, ma non prive di interesse, di ringraziamento alla divinità, che “ha ascoltato la voce” del dedicante. Se questo è il quadro generale vi sono però delle eccezioni. Dal tofet di Cartagine proviene infatti una stele, che non solo si rivela interessante per la menzione di quattro divinità - con Tinnit e Baal Hammon che compaiono al secondo e al terzo posto ma nella quale si indica come luogo di deposizione del voto il kdš b'l hmn; le possibilità interpretative rispetto a kdš sono due: la prima è che il termine corrisponda all'area del tofet, e indichi nel dio il principale titolare dell'area562, la seconda che via sia un riferimento ad una parte specifica dell'area,

forse delimitata attraverso segnacoli, o anche a un qualche tipo di struttura architettonica.

Meno attestato, una sola volta in area punica, a Cartagine, è <SR(T); un'iscrizione proveniente da Eqron si riferisce al contenuto di una giara come a qdš l srtʻ 'cosa santa per il santuario'563, e in

diversi recipienti si ritrova l'iscrizione paleo-ebraica qdš.

A partire dallo spettro di significati di qdš, riferibili all'ambito della purezza rituale, gli studiosi sono pressoché concordi nell'associare al derivato mqdš un richiamo ad una divisione dello spazio tra sacro e profano, ad un'operazione di delimitazione del territorio riservato al dio, che in quanto tale è dotato di specifiche caratteristiche, in virtù del suo essere sacro564; in alcuni casi ci si è spinti ad

affermare che per tali ragioni il santuario serberebbe la memoria di avvenimenti primordiali, fondatori, che creano uno spazio qualitativamente diverso, e perciò isolato dal resto del mondo565.

Si assiste così al rifiorire nella letteratura storico-religiosa di un'accezione, non neutra come potrebbe sembrare, del concetto di “taglio” e di separazione, in virtù della quale si evocano con disinvoltura varie tradizioni mitologiche antiche, principalmente greche ed egiziane, secondo le

562 KAI 78.

563 S. Gitin, Seventh Century B.C.E. Cultic Elements at Ekron, in A. Biran J. Aviran (eds.) Biblical Archaeology Today,

1990. Proceedings of the Second Internationa Congress on Biblical Archaeology (Jerusalem 1993), pp. 248-258.

564 P. Xella, QDS. Semantica del “sacro” ad Ugarit, cit., pp. 9-17; H. Casalles, Ch.B. Costecalde, P. Grelot, Sacré (et

sainteté), in Dictionnaire Biblique, X Paris 1985, col. 1342-1483, in particolare C.B. Costecalde, . La racine qdš et ses dérivés en milieu ouest-sémitique et dans les cunéiformes, ibid. col 1346-1393.

quali con la separazione primordiale di un tutto indistinto, Uranos e Gea – così come Geb e Nut nella cosmologia eliopolitana - ha inizio la riproduzione sessuale, le generazioni degli dei, un primo ordinamento del mondo566.

A contrastare l'attuale presenza e finanche prevalenza di tali prospettive nel panorama scientifico storico-religioso relativo all'ambito punico è necessario ricordare che le fonti in nostro possesso non consentono di percorrere una strada che, sulla base di pochi termini cultuali, legittimi il ricorso a concetti e griglie interpretative esito di tradizioni culturali diverse, come quella egiziana e quella greca, o la cui matrice sembra essere ancora una volta fenomenologica.

Secondo E. Lipiński, la cui prospettiva non sembra immune ad alcune istanze della fenomenologia, la differenza tra bt e mqdš oltre che semantica, sarebbe giustificata dal punto di vista spaziale, nell'attestazione a Gozo567 e Ras el-Haddaga568 di mqdš bt, dove mqdš indicherebbe quella

determinata parte del tempio (bt) che corrisponde al Qodesh ha-Qodashim םישדוקה שדוק ebraico. Una distinzione simile, propone Lipiński, si troverebbe in una dedica latina di Khamissa (Thubursicu Numidarum) datata al III secolo d.c., in cui un tempio è costruito cum sancto suo per una divinità forse identificabile in Mâ-Bellona569. In questo senso potrebbe essere letta anche

un'iscrizione proveniente invece da Leptis Magna si riferisce a un [ ] t hmqds, ḥ ṣ tradotto da Lipiński come “parvis du sanctuaire”570.

Un'iscrizione proveniente da Mactar rende conto di un altro raro lessema che può verosimilmente connettersi all'ambito dello spazio rituale, al centro di un breve dibattito apertosi alla fine del XIX sec.; l'iscrizione ha come protagonista Quinto Vibio Salaga, il quale dopo aver provveduto a tutte le spese per un idurio (idurionem), afferma di aver eretto un monumento funebre (mensam) per sé e i suoi parenti571.

Il termine idurio, ancora inedito, venne interpretato da Paul Gauckler come riferibile a una sorta di mausoleo572, mentre R. Mowat congetturava una derivazione da idus, facendo riferimento a un

passo dei Saturnali di Macrobio in cui il verbo etrusco iduare viene associato al significato di ‘dividere’573; visto il contesto funerario dell'iscrizione Mowat propone di vedervi una suddivisione,

o più precisamente una porzione di terreno, situata nel mezzo di uno spazio consacrato alla

566 Ibid. pp. 682-683. 567 ICO, Malta 6.2. 568 Trip. 76.1.

569 ILAlg 1. 1241; cf. S. Gsell, Histoire Ancienne de l'Afrique du Nord , I, Les conditions du développement historique,

les temps primitifs, la colonisation phénicienne et l'empire de Carthage, Paris 1913, p. 120; Cl. Lepelley, Les cités de l'Afrique romaine au Bas-Empire, II, Notices d'histoire municipale, Paris 1981, p. 211, n. 5.

570 Iscrizione in G. Levi Della Vida, M.G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni puniche della tripolitania (1927-1967) Roma 1987 n° 76 (6), 2; E. Lipiński, Dieux et déesses, de l'universe phénicien, cit., p. 418.

571 CIL 8.23422: Q(uintus) Vibius C(aii) f(ilius) Salaga, conlatis omnibus impensis in hunc / idurionem, mensam mihi

et meis posui.

572 P. Gauckler, in Bulletin de la Société nationale des antiquaires de France, Paris 1895, p.228 573 Macr. Sat. I, 16: idus… dies qui dividit mensem; iduare enim etrusca lingua dividere est.

sepoltura, consentendo l'accesso alle due metà574. Ph. Berger sottolineava invece come idurio

potesse costituire una trascrizione di un termine semitico, heder o hadrat, atto a designare un recinto sacro575.

Negli anni '60 la scoperta a Mustis, nella Numidia proconsolare, di un'iscrizione su un altare dedicato a Liber Pater Augustus da parte di Marcus Cassius Felix, sacerdote del dio, fornisce fortunosamente una nuova attestazione del termine, in un contesto diverso, non funerario; l'iscrizione rende noto infatti che per decreto municipale Cassius Felix restituì un idurio (idurionem

restituit), facendo anche costruire una statua (signum fecit) e un altare (aram posuit)576; la sequenza

sembra dunque indicare degli atti fondamentali all'installazione di un luogo di culto.

A questo nuovo contesto si confà la proposta di Berger, che vede nell'idurio un limite o un recinto, entro il quale collocare gli elementi citati nell'iscrizione, la statua di culto e l'altare. Secondo A. Beschaouch la restituzione del recinto potrebbe essere un atto riferibile alla restaurazione di un culto o di un luogo di culto, per il quale lo studioso propone un'origine semitica veicolata dall'uso del termine punico, se come tale è accettato577.

La corretta trascrizione e declinazione in latino di un termine allogeno, per Beschaouch, costituisce un dato estremamente significativo e singolare, poiché indicherebbe la scelta consapevole di non servirsi dell'equivalente latino templum nel suo “originale” significato di recinto sacro. Tuttavia va notato che in Africa il termine templum non è accertato con certezza in questo senso. Le attestazioni fanno spesso riferimento ad altri elementi architettonici, come fondamenta, colonne, portici578, o si

servono di verbi costruzione (instituo, facio); talvolta invece la natura di edificio del templum è chiarita da aggettivi che ne definiscono lo stato di danneggiamento (conlapsum, etc.579), da perifrasi

(a solo580) o che fanno riferimento a caratteristiche tipiche di un edificio (ad esempio alla sua

vetustas). Anche in assenza di riferimenti di questo tipo non è possibile comunque affermare che

nelle iscrizioni con templum si voglia evocare un recinto non costruito, dunque una sorta di area a cielo aperto, sul modello dell'idurio, nell'accezione sopra accolta581.

574 Cfr. R. Mowat, in Bulletin de la Société nationale des antiquaires de France, Paris, 1896, p. 251. 575 Ph. Berger, in «Compte rendu de l’académie des inscriptions et belles lettres», 1895, p. 193 576 AE 1992, 1815.

577 In questa prospettiva il culto andrebbe associare a Liber Pater come interpretatio del punico Shadrapa; cfr. A. Beschaouch, Qu'est-ce qu'un "idurio"? Spiritualité punique et culture latine en Afrique romaine, in «Mélanges de l’école française de Rome-Antiquité» 102, n. 2, 1990, pp. 639-646 (642).

578 A fundamentis: CIL 8. 23861 ; columnis: CIL 8. 14378; 579 Conlapsum: CIL 8. 27356; vestustati corruptum ILAfr., 495 580 CIL 8 23859;

581 A latere si ritiene opportuno notare che non è inoltre condivisibile la posizione di Beschaouch (A. Beschaouch,

Qu'est-ce qu'un "idurio"?, cit., p. 643 n. 22) quando afferma che l'iscrizione non può riferirsi a un'area a cielo

aperto in virtù della presenza di un altare e di una statua, poiché sappiamo che tali elementi sono frequentemente presenti in questo tipo di spazi rituali.

Nonostante la vaghezza dei suoi contorni, a cui eventuali nuove attestazioni potrebbero conferire solidità, il termine può essere annoverato nel lessico specifico afferente alla realtà rituale punico romana, come una partizione segnalata - oppure no, è impossibile saperlo - da indici di definizione, quali un recinto o dei cippi oppure no,destinata ad accogliere degli elementi di culto o dei monumenti funebri. Le sue scarse attestazioni, rispetto ad altri termini, potrebbero indicare comunque un uso ristretto o strettamente locale, o giustificato da elementi cultuali che ad ora ci sfuggono.