Se le divinità sono associate ai luoghi - innanzitutto secondo le loro funzioni, ma non solo - la sintassi religiosa nel territorio della città appare più complessa delle immagini che talvolta si
310 Mars Ultor, antenato della gens Iulia in quanto padre di Romolo e Remo, dio della guerra e vendicatore dei cesaricidi a Filippi nel 42 a.c. Si trattò del il primo tempio consacrato al dio della guerra nello spazio intrapomeriale, e rappresentava il centro del foro di Augusto, costruito accanto a quello di Cesare e dedicato nel 2 a.C. Nel forum di Augusto, che articolava le relazioni tra l'imperatore, la città e gli dei, la statua di Marte, posta sopra un podium in fondo al tempio e la statua di Venere che probabilmente la affiancava, rimandavano rispettivamente ai successi di Augusto contro i Parti e all'ascendenza divina della gens Iulia. Per quanto riguarda Apollo, venuto in aiuto ad Ottaviano contro Sesto Pompeo nel 38 a.c. non solo Augusto tr asferì il culto all'interno del pomerium (un tempio ad Apollo esisteva prima al Circo Flaminio) ma lo costruì adiacente alla sua abitazione. Un processo analogo riguardò anche Vesta, a cui Augusto, eletto pontefice massimo nel 12 a.c. dedicò un signum (calendario e forse una aedes); normalmente la carica di pontifex maximus prevedeva l'obbligo di residenza in una casa ufficiale adiacente al recinto delle Vestali; tuttavia, poco propenso ad abbandonare la sua domus sul Palatino, Augusto dapprima rese parte della propria casa proprietà pubblica, poi in seguito ad un incendio la fece ricostruire come proprietà pubblica
disegnano, allo scopo di semplificare e dare un ordine ben comprensibile. Allo stesso modo la linea di demarcazione atta a separare i luoghi di culto ed il mondo esterno, adibito alle attività umane, tracciando il confine tra l'ambito religioso e quello profano, è molto discontinua.
Un'osservazione preliminare e indispensabile per introdurre un discorso sugli spazi rituali a Roma deve concentrarsi sul fatto che nei discorsi antichi la città è presentata come l'esito di una ritualità precisa: i suoi stessi confini sono in qualche modo consacrati.
Prova ne è la questione del pomerium, e del suo “doppio” il sulcus primigenius, tracciato con l'aratro, entrambi “fossili sacrali” della Roma delle origini311 indelebilmente legato alla lite tra i due
gemelli, figli di Marte e Rea Silvia, rimasta a segnare la memoria della città312. Com'è noto la
tradizione connette strettamente il pomerium all'atto trasgressivo di Remo, che ne decretò la morte per mano del fratello, comportando al contempo l'esclusione dal territorio della città del colle da cui aveva preso gli auspici, l'Aventino, e può esemplificare in modo adeguato l'interesse, per non dire l'ossessione romana per il limite, segnalata da Latte313.
Come un numero considerevole di studi ha messo in luce nel sistema concettuale romano le nozioni di confine e soglia appaiono strettamente correlate non solo al concetto di potere ma anche alle sue svariate pratiche.
Dal punto di vista religioso la stabilità del dominio di Roma era assicurata dal dio Terminus, la cui fermezza garantiva la stabilità di ogni terminus e dei fines dell'orbis romano314. Trattandosi tratta
dell’unica divinità a non aver concesso agli uomini di essere spostata dal Campidoglio per fare spazio al culto capitolino, Terminus garantiva la stabilità e la perennità dell'impero315.
Le estensioni del pomerio registrate ad opera di Claudio e di Vespasiano e la costruzione delle mura aureliane del 271 non sono un risultato diretto della crescita della popolazione di Roma o della necessità di acquisire spazio urbano. Il ruolo del pomerio non era infatti quello di segnalare i confini urbani della città. Gli storici hanno rilevato piuttosto un collegamento tra il limite della città di Roma e il limite del territorio romano nel suo complesso, a testimoniare un legame forte tra il potere
311 Si tratta di una questione complessa, che dato il carattere contraddittorio delle fonti antiche, continua ad essere dibattuta; si veda da ultima S. Sisani, Qua aratrum ductum est. La colonizzazione romana come chiave
interpretativa della Roma delle origini, in T. Stek, J. Pelgrom (eds.), Roman Republican Colonization. New Perspective from Archaeology and Ancient History, Roma 2014, pp. 357-404.
312 Cfr. Hor. Epod. 7.
313 K. Latte, Römische Religionsgeschichte, Munich 1960.
314 Ov. Fast. 2.667-674; In ambito venetico sono attestati come divinità del confine i Termonios Deivos in un’iscrizione probabilmente incisa su un cippo confinario rinvenuto nei pressi di Vicenza cfr. G. B. Pellegrini, A. Prosdocimi, La lingua venetica, Padova, 1967. pp.382-387.
315 Liv. 1.55.4. stando sempre al racconto liviano un altro prodigio che doveva annunciare la grandezza e la perennità dell'impero fu il ritrovamento nel luogo in cui sorsero le fondamenta del tempio di una testa umana, dal volto ancora intatto, e che i vates presenti in città e quelli venuti dall'Etruria interpretarono come il segno che quella sarebbe stata l'arx dell'impero e il caput del mondo.
dell'imperatore, il successo militare e lo spazio sacro di Roma316. Se i fines possono dunque essere
spostati, questo può avvenire solo a detrimento del territorio non romano, ovvero delle popolazioni vicine. Valerio Messalla Rufo godeva infatti dello ius proferendi pomerii, qui populum Romanum
agro de hostibus capto auxerat317.
Il pomerium costituisce dunque un elemento fondamentale dell'ossatura religiosa e giuridica della città, quale preciso discrimine topografico nello svolgimento dell'attività magistratuale e sacerdotale che conferisce allo spazio interno alcune precise capacités318, nonché un legame con le
prerogative civili e collettive. Si tratta di uno spazio definito ritualmente, a cui gli autori antichi si riferiscono come a una linea o invece a una striscia di terreno, definito con la parola come un
templum319. Il pomerio si trova alla base della distinzione spaziale e giuridica proposta già da Th.
Mommsen tra l'imperium domi e l'imperium militiae320: all'interno del pomerium lo statuto
giuridico-religioso dell'urbs permette al magistrato di detenere l'imperium domi, con la presa degli auspici urbani, mentre all'esterno, nell'ager, egli assume l'imperium militiae. Radunare i comizi centuriati all'interno del pomerium era infatti considerato nefas, poiché l'esercito doveva essere comandato extra urbem321, e ad eccezione della cerimonia del trionfo vigeva il divieto assoluto di
entrare in armi nella città322. Per questo motivo i comizi centuriati si tenevano sul campo Marzio, e
il potere civile doveva essere deposto nel momento in cui, usciti dal pomerium i consoli vi si recassero323, sebbene la distinzione imperium domi/imperium militiae non coincida strettamente con
la distinzione territoriale urbs/ager.
La natura rituale del pomerio poteva essere rinnovata o rafforzata da riti di lustrazione - nei quali possiamo rintracciare, piuttosto che una necessità di purificazione, degli atti di difesa, protezione e
316 M. Beard, J. North, S. R. F. Price, Religions of Rome, cit. pp. 177-178. Secondo Tacito un costume antico permetteva a chi estendesse l'impero di estendere allo stesso modo il pomerium; e i cippi di Claudio, conquistatore della Britannia meridionale e quelli di Vespasiano che estese i domini in Britannia e in Germania recavano una formula che ricordava come, avendo ampliato i territori del popolo romano, gli imperatori estesero e segnarono i confini del pomerium cfr. ILS 244, 14-16.
317 Gell. Noct. Att. 13.14.
318 J. Scheid- T. Holscher, Le droit dans le monde romain, in ThesCRA VIII, Los Angeles 2012 pp. 160-163 (160) 319 cf. Ch. Kvium, Inauguration and Foundation. An Essay on Roman Ritual Classification and Continuity, in J. H.
Richardson- F. Santangelo (eds.), Priests and state in the Roman world, Stuttgart 2011, pp. 65-71.
320 Tale interpretazione spaziale è stata contestata da A. Giovannini, che propone una distinzione basata non su un principio topografico ma sullo statuto dei cittadini sui quali il magistrato esercita il potere, i cittadini oppure invece i membri dell'esercito cfr. A. Giovannini, Consulare Imperium, Basel 1982.
321 Secondo Lelio Felice, citato da Gellio: Centuriata atque comitia infra pomerium fieri nefas esse, quia exercitum
extra urbem imperari oporteat, intra urbem imperari ius non sit; Gell. Noct. Att. 1.27.5.
322 Per questo motivo si pensa che esistesse uno spazio intercalare tra pomerium e sulcus tale da permettere all'esercito di muoversi e proteggere le mura.
323 Come mostra il caso di Tiberio Sempronio Gracco, che nel 163 a.C. in occasione di un'assemblea dei comizi varcò il pomerium come un normale cittadino, compromettendo il ius; Cic. Nat. Deor., 2.10-11. L'imperium domi non era però limitato dal pomerium, come affermano Cairo 2007 e Y. Berthelet, Gouverner avec les dieux. Autorité
auspices, et pouvoir sous la République romaine et sous Auguste, Paris 2015, pp. 194-195; ci troviamo di fronte non
una una rigida bipartizione quanto piuttosto ad una rappresentazione concentrica, in cui all'esterno del pomerium i due imperia si sommano, mentre al suo interno l'unico possibile è l'imperium domi.
definizione degli spazi324, connessi dunque ai principi di inclusione o di esclusione- e si relazionava
in modo ancora non perfettamente chiaro con la struttura fisica delle mura. Per S. Sisani pomerium e moenia vanno considerate espressioni speculari del concetto romano di città, nella sua doppia natura di urbs e di oppidum. In questa prospettiva il pomerium è espressione dell'urbs che guarda a se stessa dall'interno “confine che si struttura sulla capacità di contenere al proprio interno l'urbs e di preservarne l'integrità giuridica e sacrale”; le mura sono invece pensate in relazione a ciò che sta all'esterno, con la funzione di tenere fuori ed escludere. La sfera semantica del pre/pro, con significato di “davanti” si sovrappone così a quella che definisce l’esterno, con un’equivalenza tra “davanti” e “fuori”; post si riferirebbe invece a “dietro” nel senso di “dentro”, come emerge da termini come procastria, postliminium e nella paretimologia di pomerium da post moerium325. La
dialettica urbs/oppidum può essere così letta come sottesa a una forma ideale della città, connessa al modo di rappresentare una dicotomia strutturale, che al tempo e agli occhi di Varrone comincia a confondersi in un'unica realtà326. Proprio secondo Varrone327 se le colonie di diritto latino
possiedono un pomerium si tratta di una prerogativa che non riflette localmente la topografia dell'urbe328 ma discende dal carattere statale di questi centri, il cui quadro costituzionale informato
sulle strutture giuridiche della madre patria doveva presentare un'articolazione del potere magistratuale analoga a quella di Roma e come tale vincolata al pomerium in quanto strumento di discrimine spaziale dell'imperium329.
Insieme al pomerium un ruolo centrale nella rappresentazione dello spazio urbano era assunto dal
mundus, la cui natura e significato rituale sono di difficile interpretazione. Plutarco mette in rilievo
la funzione di questo pozzo, che situa nel Comizio, facendone il perno del processo di fondazione, a partire dal quale la città prende forma e si ordina, nello spazio in primo luogo, e nella storia330. Nel
complesso testo plutarcheo compaiono, tra loro interconnesse, le tre strutture spaziali fondamentali della genesi della città, il mundus, il solco circolare e il pomerium. Plutarco descrive infatti il
324 J. Scheid, Quand faire c'est croire, cit.,p. 148.
325 CGL 5.525, procastria aedificia quae sunt ante castra vel extra portam;Fest p. 324-325 Lindsay : Postliminium
receptum, Galllus Aelius in libro primo significationum quae ad ius pertient ait esse eum qui liber ex qua civitate in aliam civitatem abierat, in eandem civitatem redit eo iure, quod constitutum est de postliminis).
326
327 Varr. De Ling. Lat. 5.143: quare et oppida quae prius erand circumducta aratro ab orbe et urvo urbsest, ideo coloniae nostrae omnes in litteris antiquis scribuntur urbes, quod item conditae ut Roma, et ideo coloniae et urbes condunutr, quod intra pomerium ponuntur)
328 Da questo punto di vista colonie latine e colonie di diritto romano sembrano diverse vd. M. Torelli, Il modello
urbano e l'immagine della città in S. Settis (ed.) Civiltà dei Romani. La città,i l territorio, l'Impero, Torino 1990,
pp. 43-64.
329 A differenza delle colonie civium romanorum le colonie di diritto latino sono rette fin dall'origine da magistrati investiti in ambito locale di una pienezza di poteri in campo giurisdizionale-civile, penale-censitario e militare direttamente assimilabile all'imperium dei magistrati di Roma. Cfr. D. Kremer, Ius latinum. Le concept de droit
latin sous la République et l'Empire, Romanité et modernité du droit, Paris 2006.
perimetro dell'abitato come un cerchio tracciato intorno al mundus, mentre Dionigi di Alicarnasso fa riferimento ad un perimetro quadrandolare331.
L'esistenza di una fossa sul Palatino è messa in luce da Ovidio332; si tratta di una fossa atta a
ricevere fruges e zolle di terra portate dalla campagna, e che secondo il racconto una volta riempita venne “sigillata” con un altare, sul quale si accese il novum focus, il primo fuoco. Nella versione ovidiana manca però il rapporto tra la fossa e il solco, né viene menzionato il pomerium.
Per Varrone e Macrobio il mundus è una sorta di pozzo sigillato consacrato a Dite e Proserpina, mentre secondo Festo la divinità dedicataria sarebbe stata Cerere333. I due autori si riferiscono
certamente alle stessa realtà cultuale, in quanto il numero di volte all'anno in cui il pozzo sarebbe stato aperto (mundus patet) coincide; Festo specifica le date, che sono il 24 agosto, il 5 ottobre e il 9 novembre, riportando inoltre un passo di Catone il Vecchio, il quale per testimonianza autoptica di coloro che avevano potuto scendervi, riferisce che la forma del mundus sarebbe stata simile a quella del mundus celeste, e da questa avrebbe preso il nome. Se secondo le fonti antiche, tra cui Cicerone e Plinio, caelum e mundus sarebbero due termini almeno parzialmente intercambiabili334, sia
Plutarco che Catone connettono il nome del pozzo alla forma della volta celeste. Servio fa risalire il
mundus, o piuttosto i mundi, a una tipologia rituale connessa alle divinità infere.
Alcuni ritengono che le are sono proprie delle divinità 'supere' (superorum deorum), i fuochi di quelle di mezzo, vale a dire delle divinità marine (medioximorum id est
marinorum), mentre i mundi sono propri di quelle infere (inferorum)335.
Tale tripartizione sembra corrispondere anche all'epitome di Festo, in cui si dice che
altaria sunt in quibus ignis adoletur. Altaria ab altitudine dicta sunt: quod antiqui in aedificiis a terra exaltatis sacra faciebant. Diis terrestribus in terra; diis infernalibus in effossa terra
È possibile che a partire dal mundus - che secondo la testimonianza riportata negli scholia
bernensia era funzionale ad alcuni rituali divinatori che avrebbero permesso di conoscere
331 Plut. Rom. 11.3; Dion. Hal. 1.88.2. 332 Ov. Fast. 4.819-836.
333 Macr. 1.16.16-18; Fest. p. 144-146 Lindsay. Per il carattere ctonio del mundus cfr. F. Coarelli, Il Foro romano.
Periodo arcaico, Roma 1983; cfr. anche A. Magdelain, Le pomerium archaique et le mundus, in Id., Jus, Imperium, Auctoritas, études de droit romain, Rome, 1990. pp. 155-191.
334 Cic. Tim. 2. 4-5.
l'ammontare del raccolto dell'anno336 - il termine si sia generalizzato ad indicare ogni fossa in cui
sacrifici o altri riti venissero compiuti per le divinità 'infere' o ctonie337.
Qualunque fosse l'origine rituale e cultuale del mundus possiamo riconoscere la rilevanza che esso ha rivestito nella tradizione anche tarda quale punto di riferimento delle leggende di fondazione, ma anche come canale di comunicazione con il mondo divino; un canale che connette il mondo 'di sotto' con la spazialità orizzontale della città, e inoltre, in virtù della sua forma, con il mondo celeste. Il carattere culturale e simbolico di questa realtà rituale, che si evince nei discorsi degli antichi centrale dal punto di vista orizzontale e verticale, nonché di apertura e collegamento tra due dimensioni, quella celeste e quella sotterranea, non sembra poter essere messo in discussione. Lungi dal voler recuperare le teorie fenomenologiche assegnandovi il valore di centro cosmogonico è possibile vedere nel mundus un point de repère importante dell'urbs, tale da costituire insieme alle realtà cultuali cui si è fatto riferimento una parte sostanziale del tessuto spaziale e rituale di Roma.
Culto domestico e modello della domus
A Roma gli dei non erano presenti solo dello spazio pubblico della città, dove avevano i propri luoghi di culto, ma anche all'esterno di essa, nell'ager. Non vi è luogo, nella mentalità romana, che sfugga al controllo o al patrocinio di una divinità, come dimostra la presenza diffusa nell'epigrafia dell'invocazione al 'dio o dea' cui pertiene la protezione di ogni luogo specifico (deus sive dea in
cuius tutela hic locus est) o i frequenti riferimenti al genius loci338.
Allo stesso modo gli spazi privati, che la prospettiva moderna considererebbe senza esitazione 'profani', come le abitazioni, erano sottoposti a tutela e protezione di specifiche divinità, di cui i Penates, situati nella parte più interna della casa, sono l'esempio più noto339.
La questione dei culti domestici assume una particolare rilevanza all'interno di un discorso sullo spazio rituale, in quanto essa investe luoghi che nella mentalità moderna sono esclusi da un'attività cultuale vera e propria. La posizione peculiare dei sacra privata, sacra gentilicia, o ancora delle
336 Schol. Bern ad Verg. Ecl. 3.105, p. 174 Hagen.
337 Il dibattito più recente sulla varietà delle pratiche cultuali e sacrificali ha messo in luce l'inadeguatezza di quell'opposizione binaria celeste/ctonio suggerita in passato in particolare dagli studiosi della religione greca, tra dei olimpi percepiti nella loro dimensione celeste di ouranoi, e dei chthonioi, legati alla chthon, il suolo fertile, che per estensione connessi anche al sottosuolo e al regno infero. le divinità maggiori sono polivalenti chiamate ad agire in diverse sfere e in differenti regioni del cosmo.; cfr. vd. R. Schlesier, Olympian versus Chthonian religion, in «Scripta Classica Israelica» 11, 1991-1992, pp. 38-51; S. Scullion, Olympian and Chthonian, in «Classical Antiquity» 13, 1994, pp. 75-119; R. Hägg, B. Alroth, Greek Sacrificial Ritual. Olympian and Chthonian.
Proceeding of the Sixth International Seminar on Ancient Greek Cult (25-27 April 1997) Stockholm, 2005; G.
Ekroth, The Importance of sacrifice: new approchaches to Old method, in «Kernos » 20, 2007, pp. 387-399. 338 Nel contesto dell'Africa romana al genius loci forse locale vengono affiancate/assimilate divinità romane come nel
caso di Minerva cfr. M. Bénabou, Le syncrétisme religieux en Afrique romaine, in L. Serra (ed.) Gli interscambi
culturali e socio economici fra l'Africa settentrionale e L'Europa Mediterranea. Atti del Congresso Internazionale (Amalfi 1983), Napoli 1986, pp. 321-332.
339 A. Dubourdieu, Les origines et le développement du culte des Pénates à Rome, Rome 1989; Id. s.v. Le culte
feriae familiares, deriva dal fatto che, avendo luogo nella domus e riguardando la familia, si
svolgevano sotto l'autorità del paterfamilias e non di un sacerdote o di un magistrato340. Per quanto
siano stati considerati dalla storiografia dei culti minori, possiamo essere certi che il culto delle divinità domestiche sia rimasto vitale anche in epoca tardo imperiale. Nell'Editto con il quale nel 392 d.C. Teodosio dichiarò crimen qualsiasi devozione al culto tradizionale, le uniche divinità esplicitamente nominate sono proprio quelle 'domestiche', i Lares, i Penates e il Genio341. La
collocazione domestica e privata di queste entità divine, che si riflette tuttavia anche a livello pubblico, ne fa un caso di studio interessante, che se non può essere approfondito in questa sede vale la pena citare, allo scopo dio aggiungere un tassello al mosaico dei rapporti religiosi e spaziali della Roma antica.
I Penates, nominati senza eccezione dalle fonti al plurale - indice che fossero concepiti esclusivamente come una collettività342 - sono infatti qualificati e definiti in modo peculiare a partire
dallo spazio che occupano, ovvero il fondo nascosto, segreto perché non accessibile alla vista, della casa come della città. Come sottolineato già da Cicerone343 il termine penus in latino appartiene ad
un campo semantico che rinvia alla localizzazione interna, indicando la riserva, per lo più di cibo, delineata dall'idea di interiorità344. Secondo Y. Thomas pur essendo strettamente legati allo spazio
domestico, chiuso da una sorta di linea ideale, i Penati definiscono il perimetro dell'enclos piuttosto che la superficie racchiusa al suo interno, e dunque la casa dove abita la famiglia piuttosto che la famiglia in sé345, tanto da indicare per metonimia la casa stessa346.
340 L'opposizione pura e semplice tra culto pubblico e culto privato, benché esistente già in antico, non è sufficiente a chiarire la natura di questi tipi di diversi di devozione; infatti come spesso accade le fonti, principalmente Festo