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Articolazioni dello spazio rituale e templare in Grecia e a Roma

Tradizionalmente la monumentalizzazione dei luoghi di culto e il loro progressivo grado di elaborazione formale sono sovente evocati quali elementi propri di una civiltà progredita e avanzata dal punto di vista religioso e artistico. Tuttavia, come sappiamo, in tutto il mondo greco-romano la presenza di templi non era strettamente necessaria: alcuni spazi venivano monumentalizzati, altri potevano essere circoscritti da atti rituali in occasioni specifiche. L'orizzonte e il sistema dei luoghi di culto si articolava dunque in modi diversi, benché purtroppo ci sfuggano, almeno nella maggior parte dei casi, le motivazioni profonde di queste scelte.

L’archeologia e l’epigrafia hanno permesso di capire che in molti casi esistevano dei limiti posti tra la proprietà degli dei e quella della città, nettamente evidenziati per mezzo di pietre di confine, dette in Grecia horoi o stelai205; tali limiti, che talvolta marcavano non un'area santuariale ma solamente

hiera chora - terreni riservati alle colture o al pascolo, proprietà comune di cui era vietato lo

sfruttamento da parte di privati ma che potevano essere affittati206 - non venivano concepiti come

inamovibili, quali esito di un intervento divino e di una manifestazione epifanica, ma potevano essere soggetti a fluttuazioni o contestazioni207.

203 M. De Min, Il mondo religioso dei Veneti antichi, in M. De Min, M. Gamba, G. Gambacurta, A. Ruta Serafini (eds.), La città invisibile. Padova preromana. Trent’anni di scavi e ricerche, Ozzano Emilia 2005, pp. 112-121 (113, 120-121) M. De Min, Indizi di organizzazione spaziale e di strutture nei santuari dei Veneti antichi, in G. Cresci Marrone, M. Tirelli (eds.), ALTNOI, Il santuario altinate. Strutture del sacro a confronto e i luoghi di culto lungo la

via Annia. Atti del Convegno (Venezia, 4-6 dicembre 2006) Roma 2009, pp. 189-201 (196-197).

204 Questa connotazione si struttura tramite il confronto con il greco ktizo (fondare) e con ktoina (divisione territoriale), ant. ind. kseti ('abita'), arm. sen (abitato, villaggio) cfr. A. Marinetti, Novità e rivisitazioni nella teonimia dei Veneti

antichi: il dio Altino e l'epiteto sainati-, in … ut ...rosae… ponerentur. Scritti di archeologia in ricordo di Giovanna Luisa Ravagnan, Roma 2006, pp. 95-103 (100-102).

205 Gli horoi possono delimitare anche altri tipi di spazio, come quello dell'agorà di Atene; in questo caso ogni horos posto all'angolo dell'area era inscritto e parlava in prima persona, dichiarandosi horos dell'agorà vd. G.V. Lalonde, M.K. Langdon, M. B. Walbak, The Athenian Agora. vol 19, Inscriptions: Horoi, Poletai Records, Leases of Public

Lands, Princeton 1991, p.27.

206 C. Ampolo, I terreni sacri nel mondo greco, in E. Lo Cascio, D. W. Rathabone (eds.), Production and Public

Powers in Classical Antiquity, Cambridge 2000, pp. 14-19.

207 Syll 3 1009, 6 (=LSAM 5) mostra come la città possa avere priorità sulle terre intorno a un santuario: un

regolamento di vendita del sacerdozio di Asclepios dà l'usufrutto delle terre pubbliche intorno al santuario a condizione che la città di Calcedonia non voglia costruirvi.

Tuttavia è possibile che in alcuni casi nessun tipo di avvertimento o segnale fosse elevato a circoscrivere o delimitare il luogo sacro, come suggeriscono alcune fonti letterarie. Sovente citati a questo proposito, i versi iniziali dell'Edipo a Colono sofocleo mostrano come Edipo ormai cieco e la figlia Antigone, arrivati da stranieri nel borgo ateniese di Colono, vengano ammoniti da un abitante del luogo per essersi inoltrati, senza averlo riconosciuto, in un luogo sacro alle emphoboi

theai, le Eumenidi, sedendosi su una pietra che non era lecito toccare (ἔχεις γὰρ χῶρον οὐχ ἁγνὸν πατεῖν)208. Non possiamo certamente sapere se la scena del testo sofocleo sia immaginata a

fini puramente drammaturgici, o se riproduca una realtà cultuale diffusa, quella del bosco sacro non segnalato da marchi di confine, il cui riconoscimento è demandato alle sole competenze territoriali e rituali degli abitanti. Altre fonti letterarie suggeriscono che nel mondo antico, in Grecia come a Roma, alcuni luoghi fossero associati alla presenza divina in virtù di specifiche caratteristiche. Per quanto riguarda le aree di culto in cui si imponeva una presenza templare il lessico relativo, per quanto irriducibilmente plurale, può fornire delle informazioni utili. Nelle fonti scritte, in particolar modo in quelle epigrafiche, gli spazi riservati alla divinità sono indicati nella maggior parte dei casi con il termine temenos (da temno: taglio, separo), che per Casevitz ha il significato di spazio privilegiato, scelto o riservato rispetto all'insieme del terreno209; in realtà si tratta di un termine che

non appartiene esclusivamente alla sfera religiosa, in quanto designa in principio un terreno sfruttato da qualcuno che ne trae profitto, ovvero sottratto all’uso propriamente pubblico. In Omero e in Erodoto temenos indica una porzione di territorio riservato, ricoprendo successivamente il senso di uno spazio riservato ad una divinità nel complesso di un santuario210. Nel contesto del

santuario temenos può essere lo spazio compreso all'interno del peribolos (che viene designato anche come periphragma, teichos, toichos, oppure thringos) termine che non ha propriamente una connotazione rituale211; lo spazio interno a un temenos viene indicato come aule, (cortile), sekos,

recinto (sepolcrale) alsos (bosco sacro) naos (neos, hieron, hagion, oikos, domos, doma), tempio;

208 Soph. Oed. Col. 1-43.Su invito del padre che le chiede se si trovino in un luogo accessibile o in un bosco sacro a qualche divinità (bebelois / alsesin) Antigone riconosce i tratti visibili e specifici connessi a uno spazio sacro

(choros hieros). Il luogo in cui i due si sono fermati per riposare infatti si distingue per la rigogliosa presenza di

piante di alloro, ulivo e di vite (ad evocare indirettamente Apollo, Atena e Dioniso) tra le quali gli usignoli cantano piacevolmente; tuttavia in quanto stranieri padre e figlia non conoscono e non riconoscono le regole rituali che proibiscono agli uomini di entrare in quel luogo. Sul valore spaziale della pietra, che marca un punto di convergenza dell'intera tragedia, in cui si concentrano concetti ed azioni legati allo spazio politico e a quello rituale si vedano in particolare le note di commento di G. Avezzù e G. Guidorizzi in Sofocle, Edipo a Colono. Milano 2008,pp. 205-208.

209 M. Casevitz, Temples et sanctuaires: ce qu'apprende l'étude lexicologique, in G. Roux (ed.) Temples et sanctuaires.

Séminaires de recherche 1981-1983, Lyon 1984 pp. 81-95 (85-86); cfr. anche K. Latte, s.v. Temenos, in RE 5A.1,

Stuttgard 1934, coll..435-437; I. Malkin, s.v. Temenos, in Oxford Classical Dictionary, Oxford 1996, pp. 1481; cfr.

te-me-no in F. Aura Jorro (ed.) Diccionario micénico, vol II, Madrid 1993.

210 Hom. Od. 6. 293; 8. 363; 11.185; Il. 6.194; Hdt. 4.161

211 IK Ephesos 1520,1-2 (=LSAM 85): to temenos tes a[rtemidos asulon] pas oson eso p[eribolou; hos d'an]

temenos è di fatto intercambiabile con hieron o hagion, i quali possono però indicare anche parti

costitutive di un santuario212, o del tempio stesso, più spesso definito come naos, che può designare

l'edificio templare nel suo insieme, o anche solo la cella, opponendosi alla parte anteriore dell'edificio, il pronaos. Naos a sua volta può confondersi con thesauros, termine che sovente troviamo per indicare un edificio a forma di naos dedicato da una città per conservare le offerte preziose (ad esempio nell'area sacra di Delfi), designato talora anche dal termine oikos (casa, abitazione) assumendo in questo modo il significato di abitazione della divinità213.

Si è detto che temenos e hieron possono in alcuni casi alludere alla stessa realtà, costituendo di fatto due termini intercambiabili, come possono riferirsi a delle parti diverse del complesso, probabilmente il recinto, tutta l'area e l'edificio di culto. Talvolta infatti divieti o prescrizioni possono valere per l'uno e non per l'altro214. Temenos può indicare talvolta il reliquiario degli eroi,

per il quale esistono anche molti altri appellativi: hero(i)on, tumbos (kenos taphos), mnema.

Temenos può anche indicare un boschetto sacro- un alsos - al cui interno si trova un temenos;

oppure altri territori consacrati alle divinità che non sono parti di un vero e proprio luogo di culto. Le pietre di confine e i confini stessi vengono indicati come horoi215; la porta d'ingresso detta

sovente pule, pulai, propulaia può essere indicata anche con il termine protemenos.

Di particolare interesse nell'ambito di una lettura generale del lessico greco relativo agli spazi cultuali risulta la predominanza dei determinanti con alfa privativo; tra i vocaboli che definiscono le qualità di questo spazio troviamo infatti termini quali abebelos, (inviolabile), abaton, adyton, (inaccessibile), apsauston, (intoccabile), atheaton (che non deve essere visto, segreto) asylon (inviolabile), un’aggettivazione che rende conto di una sorta di accumulo di divieti intorno all’area sacra.

La corrente denominazione di alcuni ambienti all'interno dei templi greci come adyton, che secondo l'uso antico non indica principalmente una struttura architettonica del tempio, bensì un ambiente definito da limitazioni d'accesso, veicola sovente l'idea di un uso per azioni rituali, che tuttavia è documentato solo raramente, in città sede di oracoli216. La parte posteriore della cella del tempio di

212 vd. M. Casevitz, Temples et sanctuaires, cit., pp. 81-95; Van Windekens, Dictionnaire étymologique

complementaire de la langue grecque, Louvain 1986; C. le Roy, Un reglement religieux au Létoon de Xantos, in

«Revue Archéologique» 1986, pp. 279-300 dà rilievo al rapporto tra temenos e hieron a partire da una lex sacra dallo Xantho SEG 36, 1221; vd. Anche IG XII (5) 481, SEG 43, 51; 44, 78; 46, 209, IG IV2 (1) 102; abaton può

essere il temenos (vd. ta enelusia, in LSJ 'places set apart from worldly use') ma anche una sua parte. A Epidauro l'abaton viene adibito all'incubazione; vd. anche S. Guettel Cole, Landscape, Gender and Ritual Space: the Ancient

Greek Experience, Berkeley-Los Angeles-London 2004, pp. 59ss.

213 Hdt. 8. 143.

214 Ad esempio il regolamento del culto di Alektrone a Ialysos, cfr. IG XII 1.677.3 (=LSCG 136)

215 Per horos (ouros, orvos, oros, wros) da eruo (tirare, spingere) e lat. urvare, urvus 'ricavare un confine dattorno' da cui urbs; vd. Wowo in F. Aura Jorro (ed.), Diccionario Micénico, vol II.

216 Cfr. M.B. Hollinshead, Adyton, Opisthodoms and the Inner Room of a Greek Temple, in « Hesperia» 68, 1999, pp. 191-262.

Apollo a Bassai, ad esempio, viene menzionata quale adyton e interpretata come un ambiente esclusivamente limitato al culto; in questo caso l'adyton era però separato dalla parte centrale della cella solo tramite colonne corinzie e architravi ionici, che non costituiscono quindi una barriera architettonica; l'accesso era garantito inoltre attraverso le porte laterali del colonnato.

Guardando al complesso di fonti e dati relativi alla definizione dello spazio e all'accesso dei santuari greci, F. Naerebout delinea alcune deduzioni generali: innanzitutto che uno spazio con una funzione religiosa viene sempre delimitato: i confini vengono tracciati tra to hieron - riservato alle divinità- e

to hosion oppure to bebelon - ciò che gli dei sanzionano, dove gli dei consentono agli uomini di

muoversi liberamente; un temenos non è sempre omogeneo e può essere diviso attraverso confini interni. I temene possono essere temporanei e dinamici, in quanto i loro confini possono essere ridefiniti e mutare dimensione217; inoltre su questi vigono generalmente delle restrizioni, che

possono anch’esse essere permanenti o temporanee, locali o sovralocali.

L'accesso al temenos era vincolato a regole di comportamento, e a un ambito di validità, che può riferirsi a tutta l'area o invece a un particolare settore, che permette di delineare in alcuni casi uno o più confini interni. Le condizioni di accessibilità a un temenos occupano dunque un interno spettro di possibilità, dall'inaccessibilità totale al libero accesso; al visitatore viene sovente richiesta la 'purezza' rituale, disciplinata da indicazioni specifiche sui modi di comportamento che causano l'impurità ed eventualmente la sua durata218. In Grecia queste norme sono esplicitate dalle leges

sacrae sovente disposte ai limiti dell'area cultuale, su pietre di confine o stele poste nei pressi

dell'entrata, o iscritte sulla porta di ingressi per i templi urbani. Talvolta anche le fonti letterarie possono trasmettere delle regole valide per un santuario specifico; in questo senso l'opera di Pausania è ricca di tali indicazioni.219 Le norme che riguardano l’inclusione o l’esclusione e

regolano l’accesso alle aree sacre ricadono direttamente sul carattere di inalienabilità e inviolabilità di un santuario (asylon, asylia), che può divenire per tali motivi un luogo di asilo (hikesia, hiketeia). La sintassi architettonica che esprime una distinzione nello spazio e un accesso regolato tramite un muro di cinta o un peribolo non è una prerogativa che appartiene solo ai luoghi di culto. In un recente saggio di Pierre Brulé il santuario greco viene avvicinato al castello cinquecentesco di Chambord, che suggerisce una struttura in parte comune, dagli elementi di chiusura e protezione,

217 B. Bercquist, The archaic temenos in Western Greece: a survey and two inquiries, in A. Schachter (ed.) Le

sanctuaire grec, Vandoeuvres-Genève 1992, pp. 109-158.; S.E. Alcock, Graecia capta. The landscapes of Roman Greece, Cambridge 1993, pp. 175ss.

218 Tuc. 4.97ss.; un’iscrizione relativa a purificazione dopo profanazione: R. Herzog, Aus dem Asklepieion von Kos, in «Archiv für Religionswissenschaft» 10, 1907, pp. 400-415.

219 vd. LSAM 74, SEG 28, 750; Paus. 2. 27.1. le leggi presentano i termini hosios, oppure themis a indicare ciò che è consentito, e ouch hosios o ou themis o me ---mede/mete----.

con le norme comportamentali correlate, all'imponenza della massa architettonica e all'integrazione di elementi vegetali.

C'est de la même façon que le pèlerin antique, lorsqu’il parvenait à proximité du péribole du sanctuaire, que nous, visiteurs modernes, découvrons à l'entrée de ce domaine privé de l'État qu’est Chambord et son parc des “panneaux” qui nous avertissent solennellement, qu’au-delà de cette limite (enceinte/péribole/porte) certains comportements sont moralement condamnables, légalement prohibés et le délit puni, qu'on n'y fait pas ce qui est admis ou toléré ailleurs, qu'on doit y rouler plus lentement, qu'on n'y chasse pas, qu'on n'y jette pas de détritus, qu'on n'y coupe pas de bois, qu'il est interdit d'y cueillir le lis martagon, et qu'on n'emporte rien à l’extérieur du mur d'enceinte (aucun gibier, bien sur, et ni cèpes ni girolles!). Dans un passé séculaire on aurait pu aussi se voir interdire d'y mener paître son troupeau220.

La comunicazione veicolata dalle strutture architettoniche, che sancisce una o più norme a regolare l’accesso e la frequentazione, è dunque un dato comune a luoghi salienti, perché connotati dal potere religioso o politico. Le specificità del luogo di culto comprendono dunque oltre ai tratti architettonici peculiari che comunicano una varietà e gradualità di delimitazioni cui corrispondono norme comportamentali, sono da ricercarsi nelle attività cultuali e rituali in senso più ampio, dedotte dalla concezione degli spazi e dalla loro disposizione.

1.1

Organicità del tempio greco

La particolarità degli edifici templari greci, in rapporto ad altri luoghi di culto del Mediterraneo antico, è quella di essere delle strutture articolate. Se nei rapporti con lo spazio esterno il tempio greco infatti somiglia a una scultura a tutto tondo, che pur avendo un lato privilegiato, si trova nei confronti dell'ambiente che lo circonda in un rapporto attivo, di scambio, l’articolazione interna suggerisce una gradualità funzionale e concettuale legata alle differenti attività e gesti che avevano luogo negli ambienti interni.

Sfortunatamente l'uso concreto degli spazi del tempio è noto solo in parte e in alcuni casi, poiché le fonti letterarie danno raramente informazioni a riguardo.

Nella diversità degli edifici cultuali e dei complessi santuariali vi sono elementi destinati a esaudire delle funzioni rituali precise; già nel 1967 B. Bercquist proponeva di individuare questi elementi, e di comprenderne la configurazione e nonché la ragione profonda che la poneva in essere 221. Tra

220 P. Brulé, Comment percevoir le sanctuaire grec?, cit. p. 20.

questi elementi quelli maggiormente valorizzati sono l'altare (bomos, eschara), e il recinto,

temenos. Oltre a questi il colonnato esterno, detto in greco pteron, ha un'importanza primaria, tanto

che associato all'altare è l'elemento più frequente, se non essenziale, di un complesso santuariale. L'altare, che può situarsi anche all’esterno del tempio stesso222, assicura la visibilità del rito

sacrificale, sia da parte dei fedeli sia da parte della divinità, la cui statua cultuale, riposta nella cella ma visibile dall'esterno attraverso la porta aperta, si trovava nello stesso asse. Dal punto di vista semantico il ruolo dell’altare, indispensabile allo svolgimento di qualsiasi culto, è quello di consentire una comunicazione efficace con le potenze sovrumane, che permettesse o migliorasse il contatto con esse.

Elemento di analisi fondamentale è infatti quello che collega l’architettura religiosa greca, e poi romana, non solo alla ritualità in quanto tale ma più precisamente all’ambito sacrificale. Pietra angolare della vita civile e religiosa delle società antiche è il sacrificio a strutturare l'ordine del tempio, dell'altare, dell'interno complesso santuariale. Il rapporto tra parti del tempio e sfera sacrificale è stato proposto , se pure in modo non totalmente condivisibile, da G. Hersey, che affronta la questione del ruolo delle divinità nel processo di formazione dell'architettura e della relazione che lega concetti religiosi e prodotti della civilizzazione. Enfatizzando la centralità del sacrificio in quanto atto violento, e sottoponendo talvolta l’etimologia a vere e proprie forzature, la prospettiva di Hersey fa del tempio non solo il luogo del sacrificio ma anche in un certo senso il suo prodotto, nel quale gli elementi tettonici rappresentano una sostituzione di oggetti e materiali, anche organici, riconducibili alla pratica sacrificale. In questa prospettiva rientrano gli elementi strutturali e decorativi degli ordini architettonici e i loro nomi, che propongono sostituendole le varie parti di un corpo, come la base di colonna, basis (piede, andatura), che suggerisce un’origine nella processione che accompagnava le vittime all'altare, mentre altri suggeriscono l’idea di cibo e di nutrimento (come i dentelli, odontophoroi), o rimandano al gocciolamento e deflusso di liquidi223.

La valorizzazione della violenza sacrificale che ricondurrebbe ogni tempio al proprio fondamento cruento, in un rimando simbolico al sangue e gli altri umori sacrificali non è accettabile nei suoi presupposti224; tuttavia, considerata la centralità del rituale del sacrificio quale mezzo di

comunicazione tra uomini e dei di cui ogni tempio era anche teatro, l'idea che il linguaggio architettonico del tempio classico si riconduca almeno in parte ad un universo organico,

222 G. Roux, L'autel dans le temple, in R. Étienne, M.-Th.Le Dinahet (eds.), L'espace sacrificiel dans les civilisations

méditerranéennes de l'Antiquité. Actes du colloque ténu à la Maison de l'Orient (Lyon, 4-7 Juin 1988), Paris 1991,

pp. 297-302.

223 cfr. G. Hersey, Il significato nascosto dell'architettura classica, cit., cap. 2, Architettura e sacrificio.

224 Evocando la violenza quale “regolatore sociale spontaneo”, atto a riportare ordine all'interno della comunità, fondando la comunità stessa e le sue istituzioni, questa concezione rimanda pericolosamente alle posizioni girardiane, ed eliadiane

riconducibile ad un linguaggio corporeo presenta indubbi elementi di interesse, che vanno pensati quali variabili che compongono il significato dell’architettura templare.

La corporeità rientra in altro modo nel discorso architettonico e nel sistema simbolico del tempio. Sappiamo infatti che secondo Vitruvio il corpo umano e le sue proporzioni sono riferimento e modello dell'opera architettonica perfetta225; negli ordini dorico e ionico le colonne sono ricondotte

a modelli corporei, rispettivamente virile, femminile, mentre per il corinzio il capitello rievoca l'elemento vegetale, associato nel racconto eziologico vitruviano alla tomba di una kore, con probabile riferimento estetico alla freschezza della sua giovinezza e della sua figura226.

Le forme a immagine e misura d’uomo partecipano in modo sostanziale a quel dinamismo che l'architettura greca ha celebrato in modo peculiare, che si differenzia da quell’ordine assoluto di elementi orizzontali e verticali che caratterizza l’organizzazione spaziale e architettonica in Egitto227.

Tale modo di organizzare uno spazio privilegiato come quello templare è stato interpretato quale sintomo di un'aspirazione tipicamente greca a concretizzare una moltitudine di significati esistenziali, che per tramite del pensiero filosofico, platonico in particolare, possono essere ricondotte in qualche modo alle idee, perfette e incorruttibili228.

1.2

Il tempio Romano: il dominio del paesaggio?

A Roma, analogamente al sistema architettonico complessivo e all'organizzazione urbanistica e spaziale nel suo senso più generale229, la concezione del luogo di culto si differenzia da quella greca.

225 Vitr. 1.2.4 Item symmetria est ex ipsius operis membris conveniens, consensus ex partibusque separatis ad

universae figurae speciem ratae partis responsus. Uti in homonis corpore e cubito, pede, palmo, digito ceterisque particulis symmetros est eurythmiae qualitas, sic est in operum perfectionibus.

226 Vitr. 4.1.1; 4.1.4-6; 4.1.7. non pare però accettabile la connessione che l'autore vede tra quest'ultimo ordine e il carattere funebre dell'architettura delle origini, per cui il riferimento è a R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla

fondazione del mondo Milano 1983 pp. 108-109.

227 Secondo Ch. Norberg Schultz, Il significato dell'architettura occidentale, Milano 1974, p. 50 nel tempio greco si realizza infatti un corpo plastico, una forma veramente “organica”, che agisce in relazione ad altri edifici e al paesaggio, comunque in una logica ortogonale, che può essere intesa come simbolizzazione dell'intelligenza organizzativa umana.

228 Ibid. p. 80 “il pensiero classico intese i fenomeni individuali della vita giornaliera come manifestazioni di idee o di archetipi. Platone presenta le idee come concetti assoluti, e ne deduce che l'uomo deve considerarle l'ideale della perfezione, ossia il traguardo delle sue aspirazioni”.

229 Alla fine del VI secolo nel Lazio il paesaggio cultuale è già denso, e la monumentalizzazione dello spazio sacro si