• Non ci sono risultati.

La questione del Tofet

2.1 Le divinità del tofet

A partire dalle numerosissime iscrizioni votive scolpite a suo nome nelle stele Baal Hammon è considerato senza eccezioni la divinità principale del Tofet, insieme alla dea Tinnit, che compare però in misura minore rispetto al dio. Di origine orientale Baal Hammon si differenzia rispetto ad altri dei attestati come Ba'al in Siria e nella penisola cananea per il suo epiteto specifico, su cui sono state elaborate diverse ipotesi, a partire dall'associazione con l'egizio Ammon. Se è dall'Oriente che provengono le più antiche attestazioni del teonimo - da Sam'al (Zinçirli) in Turchia, Tiro e Palmira619 - la documentazione occidentale è assai più numerosa, segno del fatto che rispetto

all'oriente in Africa la divinità arrivò ad acquisire un ruolo centrale all'interno del pantheon. Purtroppo le migliaia di iscrizioni provenienti dai tofet, e in particolar modo da quello di Cartagine, riportano formulari votivi molto stereotipati, non consentendo di avere accesso diretto alle caratteristiche specifiche della divinità o al suo ambito d'azione; le attestazioni dimostrano però una diffusione geografica e un arco cronologico ampio, nel quale senza dubbio le modificazioni e le trasformazioni, in un'apparente continuità cultuale, dovettero essere frequenti e forse anche rilevanti.

Per quanto riguarda i suoi attributi iconografici le stele lasciano intravede la figura di un dio munito di barba e copricapo conico, spesso rappresentato seduto su un trono con sfingi alate ai lati, mentre tiene un'asta che termina con un elemento vegetale620. Se il trono è un elemento che compare con

618 Se in Grecia l'incinerazione in epoca arcaica era un pratica legata alle élite sociali, soprattutto guerriere, l'incinerazione del bambino morto prima della sua integrazione civica alla polis doveva probabilmente destare meraviglia e incomprensione; cfr. D’Agostino, A. Schnapp, G. Gnoli, J.-P. Vernant (ed.), La mort dans les sociétés

anciennes, Paris 1982, p. 17; M. Gras, P. Rouillard, J. Teixidor (eds.), L’univers phénicien, cit., I rituali funerari

cristiani prevedevano invece l'inumazione dei corpi cfr. E. Rebillard, Les areae carthaginoises (Tertull. Ad

Scapulam 3, 1): cimetières communautaires ou enclos funéraires de chrétiens? in «Mélanges de l’école française de

Rome-Antiquité» 108, 1996, pp. 175-189; F. Blaizot, G. Alix, E. Ferber, (eds.) Le traitement funéraire des enfants

décédés avant un an dans l’Antiquité: Études de cas, in «Bulletins et Mémoires de la Societé d'Archéologie de

Paris» 15, n. 1-2, 2003, p. 72.

619 KAI 24 (terzo quarto del IX sec.a.c.); P. Xella, Baal Hammon Roma1991, pp. 192-203; E. Lipiński, Dieux et

déesses de l'univers phénicien et punique, cit. pp. 155-256.

620 Cfr. la stele di V secolo proveniente da Sousse pubblicata in G. Ch. Picard (ed.), Catalogue du Musée Alaoui.

una discreta frequenza anche in contesti iconografici che riguardano divinità differenti per altri dei, le sfingi invece rappresentano un particolare suscettibile di rivelare una maggiore specificità, quale caratteristica peculiare di Baal Hammon, segno di sovranità piuttosto che carattere solare; da questo punto di vista anche la corona radiata talvolta presente nell'iconografia, può non avere carattere solare ma piuttosto rimandare all'immortalità e ancora una volta alla sovranità.

Molte delle fonti classiche e cristiane che hanno lasciato delle informazioni sul dio, si riferiscono ad esso non direttamente, ma per tramite di quelli che furono considerati i suoi corrispondenti greci e romani, rispettivamente Crono e Saturno, associandolo in modo pressoché omogeneo alla questione del sacrificio umano e infantile621. Non va dimenticato inoltre il ruolo che a livello quasi

mitopoietico Saturno quale erede di un Ba’al semitico, ha avuto nella costruzione delle cosiddette “ideologie del sacrificio umano”622.

La rilevanza di Ba'al Hammon nel contesto del quadro sacrificale punico, se in questo senso può essere interpretato lo spazio rituale del tofet, ha comportato da parte degli autori antichi un relegamento della divinità ad una fase precedente i fondamenti culturali greci e romani, che giudicavano inaccettabile il sacrificio umano, respingendo come primitive o barbare le pratiche sacrificali puniche, reali o presunte che fossero, ed associando quindi il dio a una fase pre-cosmica, al limite dell'età considerata attuale e quindi storica, non mitica. Per quanto riguarda la sua sfera d'azione, secondo Xella, che si affida tuttavia all'interpretazione del Saturne Africain di Le Glay, saldando idealmente Ba'al Hammon e Saturno in una sostanziale continuità, questa sarebbe da ascrivere a ‘valori fondamentali’ quali la famiglia, la discendenza, la paternità – connessione resa possibile dall'età avanzata che gli viene attribuita dall'iconografia - in una sfera che comprende insieme il pubblico e il domestico623. A partire dalla sua grande diffusione e dagli elementi

iconografici che vengono riconnessi alla dimensione celeste, terrestre e acquatica, il dio viene tradizionalmente presentato come un dominatore del cosmo in tutte le sue dimensioni, dotato di una sovranità che si estende a tutti i livelli, polivalente e universale. La divinità incarnerebbe ed eserciterebbe così la sovranità nel suo aspetto generale, ma anche, tenendo conto della fortuna di cui gode come destinatario di devozioni, nel suo atteggiamento di disponibilità e benevolenza nei confronti di coloro che si rivolgevano a lui per ottenere protezione; in questa prospettiva il gesto della mano destra sollevata, che compare con una certa frequenza nelle stele, dimostrerebbe disponibilità alla comunicazione e all'intervento.

621 Filone di Byblos articola intorno alla figura di Kronos, dietro il quale è possibile riconoscere Ba'al (che l'autore ritiene essere l'El dei Fenici) la storia degli Uranidi cfr. Phil. Er. 1.10; 15-30.

622 Si fa riferimento alle considerazioni di C. Grottanelli, Ideologie del sacrificio umano, in S. Verger (ed.) Rite et

Espace en Pay Celte et Mediterranéen, Rome 2000, pp. 277-292.

623 Statuette di Ba’al sono state rinvenute anche all'interno di abitazioni, cfr. M. Leglay s.v. Ba'al Hammon in LIMC

La mancata interpretatio tra Ba’al Hammon e Zeus o Iuppiter costituisce un indice del fatto che la figura e la personalità della divinità punica possedesse delle caratteristiche almeno in parte diverse; nei rituali del tofet la questione della discendenza, che può essere interpretata nei suoi aspetti più concreti come in quelli più globalmente esistenziali, se non escatologici - è presente negli antroponimi e a tutti i livelli sociali, nel culto privato; nel tofet di El Hofra presso Cirta un'iscrizione si rivolge a Baal, definito BL BT – signore del tempio, ma anche della casa – potrebbe connetterlo, come fa Xella, alla famiglia, alla discendenza, al lignaggio624.

Per quanto riguarda Tanit/Tinnit, il campo delle ipotesi finora costruito, che contempla teorie e supposizioni più o meno congruenti (come gli sforzi di stabilire paralleli tra funzioni, ad esempio con Artemis o con l’Anat ugaritica625) sembra destinato a rimanere aperto; nemmeno l'antecedente

orientale, per quanto dimostrato per il VII e VI a.c.626, può fornire informazioni precise sul carattere

che la dea assume poi in Africa.

Se la sua posizione preminente nelle invocazioni e il suo epiteto inteso in senso spaziale hanno dato adito a ipotesi secondo le quali la dea doveva essere concepita come entità più importante rispetto a Baal, la critica più recente sottolinea l'idea di vincolo implicito nell'epiteto, e dunque una più probabile dipendenza della dea dalla sua controparte maschile627. Malgrado ciò l'espressione punica

rivela diversi tratti importanti, in quanto nell'idea di ‘volto’ è identificabile una funzione di 'presentazione' o manifestazione della parte riconoscibile di una divinità, Ba’al, che, nonostante la sua più fondamentale importanza e pervasività, sembra rimanere in un piano allontanato nel rapporto con chi lo venera e con chi a lui si rivolge.

In questa prospettiva possono essere comprese inoltre quelle iscrizioni, piuttosto frequenti, che, per dissuadere un eventuale ladro dal rubare o dallo spostare la stele dedicata, invocano Tanit affinché infligga un castigo o vendichi l'atto628. Rispetto a quelle di Baal di cui la dea rappresenterebbe la

parte conoscibile, rivolta verso gli uomini629, le funzioni di Tanit potrebbero qualificarsi piuttosto

come performative, fattive, e nei confronti dei fedeli e della ritualità connessa alla coppia divina, mediatrici630.

624 Cfr anche l'iscrizione di Kilamuwa, datata al IX sec. a.c. e proveniente dal regno di Sam'al in cui compare per la prima volta una menzione a Baal Hammon, in A. Berthier-R. Charlier, Le sanctuaire punique d'El-Hofra à

Costantine, cit., p. 27; S.D. Sperling, KAI 24 Re-examined in «Ugarit-Forschungen» 20, 1988, pp. 323-27.

625 F. O. Hvidberg-Hansen, La déesse TNT. Étude sur la religion canaaneo-punique, I-II, Copenhagen 1979, stabilisce un profilo di Tinnit controverso, che si fonda sull'equiparazione delle fonti latine, epigrafiche come letterarie, e di quelle puniche; a partire dalla qualità di virgo di Caelestis, proiettata su Tanit, cerca di stabilire un legame con Artemis, per interpretare alcune caratteristiche lunari a partire dal simbolo del crescente.

626 Attestazioni di Tinnit sono state rinvenute in Fenicia, cfr. da ultimo H. P. Müller, Philologische und

religionsgeschichtliche Beobachtungen zur Göttin Tinnit, in «Rivista di Studi Fenici», 31, 2003, pp.123-138.

627 Ad esempio G. Garbati, Tinnit nel tofet di Cartagine, cit.

628 Ad esempio CIS I 4945, CIS I 3785; anche Baal, seppur meno frequentemente, può essere invocato con lo stesso scopo, ad esempio in CIS I 3784.

629 S. Ribichini, Poenus Advena. Gli dèi fenici e l'interpretazione classica, Roma 1985, pp. 77-81. 630 Cfr. G. Garbati, Tinnit nel tofet di Cartagine, cit., p. 531.

Quello del tofet appare il caso più rappresentativo, quasi il simbolo, dello spazio rituale e della religiosità punica, che rende evidente, benché in modo meno pervasivo di quanto generalmente si pensi, una devozione radicata nei confronti della coppia Baal Hammon-Tinnit.

È necessario però sottolineare che il sistema e l'orizzonte cultuale di cui questo complesso rituale faceva parte doveva essere complesso e aperto a molteplici influenze, essendo il politeismo per sua stessa natura caratterizzato da legami articolati e fluidi tra le divinità e le loro sfere d'azione. Ogni concezione meccanica di questo politeismo non ha fondamento, tanto più se si considera la ridotta quantità e la discontinuità delle fonti. Ciò significa che non vi sono prove sufficienti per affermare che il tofet fosse necessariamente un'area cultuale posta sotto l'esclusiva protezione o influenza di Baal Hammon e Tinnit, o che queste divinità fossero esclusivamente depositarie di questo tipo di venerazione.

Nonostante l'indubbia importanza di Baal Hammon nel contesto religioso punico non è possibile pensare a un modello vicino a quello monoteista; tale prospettiva deve cedere il passo a un ventaglio di figure divine e di personalità, che dipendono dal contesto e dalle esigenze del momento. Tralasciando gli aspetti che sono propri del culto privato e domestico, si può affermare che il culto poliade poteva privilegiare in determinati momenti altre divinità, oltre a Baal Hammon e a Tanit, senza una reale necessità di rispettare un ordine gerarchico di invocazione convenzionale o rigido.

2.2

Organizzazione spaziale e rappresentazione

A guidare una riflessione sull’organizzazione spaziale del tofet, così come emerge non solo dai rinvenimenti archeologici, ma anche dalle fonti iconografiche e linguistiche, è l'elemento caratteristico del teonimo associato a Ba’al, Hamon. Fatto risalire da Le Glay alla radice ḤMM con cui in punico si esprime l'idea di calore, e interpretato quindi come “altare fiammeggiante”631,

l’epiteto è ricondotto da Paolo Xella ad una struttura o manufatto architettonico, assimilabile a un tempietto o a una cappella632. Secondo lo studioso infatti il termine potrebbe essere in connessione

con quello usato per designare questo piccolo edificio cultuale. Quest'ipotesi è formulata a partire da una stele di El-Hofra633 in cui il riferimento a un MNʿ che viene equiparato da un punto di vista

grafico a MNḤ , connette l'abituale teonimo di Ba’al a una parte dell'area sacra in cui era stato fatto il voto; Xella propone quindi di vedervi una cappella o comunque una dimora divina specifica, una

631 M. Le Glay, Saturne Africain, Hist., cit., pp. 417-447.

632 P. Xella, Baal Hammon. Recherches sur l'identité et l'histoire d'un dieu phénico-punique, Roma 1991, pp. 633 A. Berthier, R. Charlier, El Hofra cit. n. 106, p. 87: ʾBN ʾS NDR MTN/ BʿL BN Y R B MN L DN Lb L HMN/ ʿ ʿ ʾ ʿ

tipologia di struttura le cui vestigia sono state frequentemente rinvenute nelle aree dei tofet punici, unici edifici in un'area a cielo aperto, e che vengono talvolta rappresentati sulle stele.

Sebbene l'assenza di strutture templari sia tradizionalmente evocata come una caratteristica tipologica dei tofet, ereditata successivamente dalla aree sacre a cielo aperto dedicate nei secoli della romanizzazione a Saturno634, l'ipotesi di una 'multifunzionalità' dei tofet su cui si è posta di

recente l'attenzione invita a considerare con maggiore attenzione quegli elementi architettonici, come strutture cultuali secondarie e di servizio, installazioni betiliche, edicole, talvolta attestati all'interno delle aree. Nonostante la loro funzione non sia chiara (sono considerati da alcuni degli spazi pubblici) potrebbero aggiungere nuovi elementi di riflessione ad una ricerca che si è concentrata prevalentemente sulle urne e sulle stele, e in misura maggiore o minore è bloccata sulla questione dei supposti sacrifici infantili635.

Messi in rapporto con l'introduzione delle stele anepigrafi dal punto di vista cronologico, questi edifici sembrano corrispondere cronologicamente alle ristrutturazioni che interessarono alcuni tofet a partire dal VI secolo a.c.; le tracce archeologiche non sono frequenti, ma alcuni elementi che emergono soprattutto nell'iconografia hanno suscitato curiosità e stimolato la formulazione di diverse ipotesi. La presenza nel repertorio iconografico delle stele del motivo del naos, sacello o edicola, che rende sinteticamente la facciata di un edificio, inquadrando in modo quasi teatrale le immagini cultuali, divine, o le rappresentazioni di offerenti e operatori rituali, è stata confrontata con alcune iscrizioni sulle stele votive nelle quali compaiono riferimenti all'architettura del luogo sacro, benché in alcuni casi la menzione del tempietto sia piuttosto chiara ma in altri solo ipotizzabile, aprendo la strada all'interpretazione dei sacelli scolpiti quali riproduzione di edifici realmente esistenti636.

Le riproduzioni sulle stele di tempietti o sacelli che in alcuni casi sembrano essere al centro dell'attenzione del dedicante, possono probabilmente evocare edifici reali innalzati nel tofet. I riferimenti archeologici per le aree cultuali occidentali sono la “chapelle Carton” del tofet di Cartagine, datata al III sec. a.c., che secondo la ricostruzione che ne fa S. Lancel637, presenta alcune

analogie con una stele di Cartagine raffigurante un offerente o sacerdote di fronte a un edificio di cui si vedono due colonne, con capitelli e basi modanate, a sorreggere un fronte con timpano e

634 Cfr. infra

635 A. Ciasca, Archeologia del tofet in C. G. Wagner (ed.) Molk, als Opferbegriff im punischen und hebraischen und

das Ende des Gottes Moloch, Madrid 2002, pp. 121-140; cf. anche P. Bernardini, La morte consacrata. Spazi rituali e ideologia nella necropoli e nel tofet di Sulky fenicia e punica, in Saturnia Tellus, cit., pp. 639-658 e C. Bonnet, On Gods and Earth: The tophet and the Construction of a New Identity in Punic Carthage, in E.S. Gruen (ed.) Cultural Identity in the Ancient Mediterranean, Los Angeles 2011, pp. 373-387.

636 cf. M.T. Francisi, Gli elementi architettonici delle stele puniche, in Atti del II congresso Internazionale di studi

fenici e punici (Roma 9-14 novembre 1987), Roma 1991,pp. 863-874; S. Ribichini Il sacello nel tofet, in «Quaderni

del Vicino oriente» 3, n. 2, 2002, 425-439, p. 432.

acroteri638. Questa tipologia potrebbe accostarsi ad esempio al sacello ipotizzato nella parte ovest

dell'area sacra di Mozia639, di cui rimangono le trincee di fondazioni dei muri, e che

successivamente alla sua distruzione venne usato come favissa, ovvero deposito votivo; nel tofet di Monte Sirai un tempietto analogo sorge nella parte più alta dell'area, preceduto da una rampa a gradini, ed altre tracce di edifici analoghi sono presenti, sempre in Sardegna nel tofet di Bitia e di Nora640.

Le ricostruzioni assonometriche di questi monumenti non sembrano però giustificare una corrispondenza realistica tra questo tipo di strutture e le rappresentazioni delle stele. L'opinione più diffusa in questo senso è che i tempietti servissero da dimora alle divinità del tofet, soprattutto a Baal Hammon, che vi viene spesso rappresentato all'interno.

La presenza di questo tipo di edifici all'interno dei tofet non è da considerarsi sicura, né tanto meno necessaria alle attività cultuali; infatti nei casi in cui sembrano attestate piccole strutture templari o sacelli, una successiva distruzione o un cambio d'uso non hanno in alcun modo pregiudicato la funzionalità dell'area e lo svolgersi dei riti. Nei tofet nordafricani come El-Hofra e Hadrumetum eventuali strutture templari sono sempre successive alle prime fasi del tofet641.

Alcune iscrizioni provenienti da Cartagine e da Sousse, che si discostano dal formulario più rigidamente tipizzato e meno ricco di informazioni, hanno fornito delle indicazioni interessanti, sebbene non facilmente interpretabili rispetto alla presenza di spazi rituali differenziati all'interno dell'area del tofet. In un'iscrizione cartaginese642, il dedicante si dichiara servo del tempio di Astarte

(BD BT ŠTRT)ʾ ; l'ultima riga del testo contiene a seguire l'indicazione [B] ŠR ʾ HQDŠ. La

preposizione B, secondo M.G. Mariotti si può qui riferire al dedicante, un servitore che presta servizio nella parte più interna del santuario, oppure a BT, con riferimento dunque ad un tempio di Astarte che si trovava nel luogo sacro. La prima lettura (“servo in un ŠR ʾ HQDŠ del BT di Astarte”)

potrebbe trovare un parallelo un'iscrizione di Pyrgi643, secondo la quale il re di Caere donò un luogo

sacro ( ŠR QDŠ) nel santuario (ʾ BBT) di Uni-Astarte (BBTY, “nel suo santuario”), dove costruì una

cella (TW). Una seconda iscrizione, proveniente dal tofet di Sousse, contiene una formula simile a

638 M. Hours-Miédan, Les répresentations figurées sur les stèles de Carthage, in «Cahiers de Byrsa» 1, 1950, pp. 15- 159, tav. XXVIII a; CIS I 4947 è rappresentata un'edicola con frontone timpanato, acroteri a palmette; un offerente di profilo con tunica a pieghe tiene con il braccio sinistro una coppa, mentre il destro solleva una mano aperta. 639 A. Ciasca, Tofet, in A. Ciasca, A. Cutroni, M.L. Famà, A. Spanò, G. Iammellaro, V. Tusa (eds.), Mozia (Itinerari

IV), Roma 1989, p. 44.

640 Cf. C. Perra, L'Architettura templare fenicia e punica in Sardegna. Il problema delle origini orientali, Oristano 1998, pp. 157-161; F. Vivanet, Scavi nella necropoli dell'Antica Nora nel comune di Pula, in «Notizie Scavi d'Antichità 1891» pp. 301-302.

641 A. Berthier, R. Charlier, Le sanctuarie punique d'El-Hofra à Constantine, cit., pp.221-224; M. Le Glay, Saturne

African. Monuments I, cit.,pp. 22ss; P. Cintas, Le sanctuaire punique de Sousse, in «Revue Africaine», 90-91,

1947, pp.1-80. 642 CIS L 3779.

quella cartaginese, con il sintagma locativo alla fine del testo; a lasciare la dedica è qui un discendente di BDMLK / BD ŠTRT BS R HQDŠʾ ʼ . Secondo l'editore dell'epigrafe, M. Fantar, possono esservi due modi per intendere l'espressione finale, riferendola rispettivamente ad un ultimo antroponimo («A Mashtart à la porte du sanctuaire») oppure alla funzione o titolo del dedicante (o del suo antenato BDMLK), un servitore della dea Astarte che svolgeva un qualche tipo di attività all'ingresso del luogo sacro644.

Secondo G. Garbini nell'indicazione finale potrebbe essere letto un riferimento al fatto che il “servo di Astarte” prestasse servizio presso la porta del santuario645. S. Ribichini ritiene invece che la

formula conclusiva delle iscrizioni si riferisca al luogo in cui le stele erano collocate, sulla base di altre iscrizioni, per quanto rare, che recano indicazioni particolari sulla disposizione spaziale delle stele all'interno dell'area646.

Il motivo del “sacello”, confrontato con le fonti archeologiche e con le riproduzioni assiometriche degli edifici presenti talvolta all'interno del tofet, suggerisce piuttosto una funzione simbolica, evidentemente fondamentale per il lapicida incaricato di scolpire la stele, a indicare la natura rituale o cultuale della scena rappresentata o dei suoi riferimenti.

Si tratterebbe di una convenzione rappresentativa, peraltro non esclusiva delle stele del tofet, analoga alla sineddoche, per la quale forse non è necessario cercare una corrispondenza con tipologie templare note o parzialmente ricostruite, ma la cui funzione poteva essere iconica, in modo analogo a quella degli altri simboli, astrali, vegetali che compaiono sulle stele. La disposizione di oggetti, spazi ed azioni in rapporto ai simboli poteva in questo modo tessere un codice preciso con il quale decifrare la rappresentazione647.

D’altra parte alcune indicazioni epigrafiche che emergono dalle stele sembrano testimoniare la preoccupazione, almeno da parte di alcuni degli offerenti, di precisare il luogo in cui era o sarebbe stata collocata la pietra votiva, con riferimenti a una parte specifica dell'area di culto. Ad esempio, in un'iscrizione cartaginese di carattere privato scoperta nell'area di Salammbo648, rivestono un

particolare interesse il modo in cui è citato il QDŠ - che il riferimento sia ad un luogo di culto interno al tofet, sia che si evochi il tofet stesso - il quale sembra fare da teatro alle azioni rituali, e le