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Il modello costruito e implementato come attività laboratoriale curricu- lare – dal 2009 a oggi – è stato “testato” su un campione di 35 studenti (numero massimo consentito per l’iscrizione, a frequenza obbligatoria), ogni anno, per un totale di 315 formalmente iscritti e frequentanti. L’attività è prevista svolgersi per un totale di 24 ore, con frequenza bisettimanale di circa 9 ore a modulo. Questa offerta formativa curricolare rientra nel corso di laurea per Educatore Sociale attivato presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università di Bologna.

Come strumento di valutazione sul gradimento e sulla pertinenza dell’offerta formativa, oltre all’osservazione diretta, si utilizza una breve relazione finale, in cui si chiede di restituire una riflessione sull’esperienza svolta in rapporto a sé e al proprio percorso di studi. Il feedback ricevuto comunica pieno soddisfacimento e gradimento dell’esperienza e auspicio a un suo proseguo. L’esperienza è vissuta come significativa opportunità per rispondere alle seguenti necessità:

- migliorare la consapevolezza riguardo al gesto del corpo e al movimento dell’attenzione;

- essere guidati, nel percorso di formazione professionale, a una maggiore consapevolezza dell’interdipendenza tra corpo, mente e respiro;

- ricevere insegnamenti per avere accesso a strumenti concreti/pratiche per migliorare la capacità autoriflessiva, utile nell’autoformazione così come nella formazione professionale;

- usufruire di risorse formative in chiave laboratoriale, dove allenarsi non solo nei termini di un’applicazione delle teorie, ma nei termini di un’esplorazione e sperimentazione di sé;

- affinare competenze riflessive su ciò che si fa.

La maggiore criticità rilevata è fondamentalmente costituita dallo scarso riconoscimento della significatività di queste pratiche proprio in ambito pe- dagogico e dunque l’assenza di spazi adeguati da dedicare a esse. Sempre maggiore significatività viene accreditata, invece, nell’ambito medico e delle neuroscienze5, in cui si comprova che realizzare l’unità di mente e

corpo è a fondamento della qualità della vita di ciascuno. L’impegno è a dimostrare tale rilevanza in riferimento alla progettazione dell’evento e dell’intervento educativo e formativo.

Nucleo del laboratorio è l’aderenza a questioni concrete come la speri- mentazione delle interconnessioni tra le molteplici dimensioni costitutive della persona; è possibile realizzare questa integrazione attraverso la capa- cità di ascolto di sé e di qui aprirsi all’ascolto e all’accoglienza della realtà circostante. Sondare la percezione della propria corporeità significa, in pri- ma istanza, riconoscersi fisicamente: cosa ci sorregge, ci fa muovere, agire, vivere. Ci sosteniamo sul terreno, ci slanciamo verso l’alto, avanziamo, coinvolgendo scheletro, articolazioni, muscoli, organi, sangue, respiro, in- tenzione. Esprimere la propria presenza nel mondo non può prescindere dalla postura che teniamo. Imparare a trovare radicamento, lasciando che il proprio peso scenda sul terreno e penetri in profondità oltre di esso; impara- re a trovare slancio, estendendo la colonna vertebrale verso l’alto, superan- do idealmente ogni barriera; imparare a respirare liberando il ritmo da ten- sioni e resistenze costituiscono i passi per prendere una posizione nell’esistenza e dire “sono qui, presente”.

Il percorso inizia con la regolazione della propria postura, in differenti situazioni (in piedi, camminando, sdraiati, seduti), quale esercizio per deci- frare il proprio spazio, a partire dalla consapevolezza del modo di occupar- lo. Da questa radice (che è già centralità psico-fisica) è possibile intrapren- dere un percorso in cui sperimentare la corrispondenza tra qualità della po- stura, del respiro, dell’attenzione e dell’atteggiamento dello spirito. L’obiet- tivo è di conoscere, sperimentare e rispettare la propria corporeità. A questo

5 A questo proposito si rimanda alla direzione di ricerca guidata, tra gli altri, da Jon Ka-

scopo, al termine del percorso laboratoriale, lo studente è messo nelle con- dizioni di poter affermare:

- sono in grado di sistemarmi correttamente nello spazio;

- sono in grado dirigere la mia attenzione e mantenerla viva e attiva sul gesto (statico o dinamico) che compio;

- sono in grado di ascoltare il mio respiro, i movimenti e i suoni via via più intimi e sottili dentro di me, ma anche apprezzare quelli vicini e via via più lontani oltre me.

I riferimenti per fare questo sono precisi, codificati: ciò soddisfa il crite- rio di intelligenza ed efficacia del gesto (Tokitsu, 2013). Nella forma è pos- sibile ritrovare un modello cui ispirarsi nell’esercizio e su cui costruire un sistema di apprendimento autentico che è trasformazione. Attraverso la ri- petizione si interiorizza non solo il gesto, ma anche una sua sensazione. Il corpo è rivelatore di come viviamo, di come sentiamo, di come stiamo. Alla base della relazione e del dialogo poniamo l’ascolto, inteso come capacità di “sentire-sentirsi” che nel silenzio dell’esercizio matura come fine sensi- bilità in grado di arrivare a percepire gli stadi più profondi della corporeità, per giungere in quella regione in cui dimensione materiale e immateriale si toccano e si confondono, realizzando interdipendenza armoniosa e armoni- ca tra corpo-mente-cuore.

Questi approcci integrati possono riaccreditare un ruolo di grande rile- vanza alla mente nella sua potenzialità di influenzare la realtà circostante e la percezione della stessa (Soresi, 2005). Alla corretta informazione educa- tivo-sanitaria si deve unire un percorso concreto di cura, come migliora- mento degli stili quotidiani di vita.

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In sintesi

Un progetto è espressione di una visione del soggetto e del mondo e, nell’ipotizzare un’interpretazione delle rispettive relazioni (l’io, l’Altro, l’ambiente, la natura), prefigura processi di trasformazione in chiave migliora- tiva della qualità di queste stesse relazioni. Alla base del lavoro che intendo presentare stanno i paradigmi della fenomenologia – in particolare della sua interpretazione in chiave pedagogica – del pragmatismo deweyano, della psicologia umanistica, da una parte, il sistema filosofico-cosmologico-medico delle tradizioni orientali, dall’altra. Un loro punto chiave di incontro è l’a- derenza a questioni concretamente correlate all’esistere: la progettualità esi- stenziale, la cura di sé come saluto-genesi, l’autoformazione come sviluppo di un’ergonomia del pensiero a partire dall’accesso e dall’attivazione delle proprie risorse interne. Questo permette di realizzare resilienza, self-efficacy ed empowerment, ridestando stimoli motivazionali come la percezione della propria integrità e di uno scopo esistenziale capaci di generare e mantenere energia, speranza e fiducia. Il corpo è visibile nel suo essere prima effettività esistenziale del soggetto, ma è invisibile nel momento in cui esprime un bi- sogno di conoscenza, accoglienza ed espressione che non trovano di fatto un interlocutore sufficientemente pronto ad accoglierne la richiesta. La piani- ficazione e l’implementazione del progetto si fonda sulla convinzione della necessità, per i professionisti della cura, di una più efficace formazione alla riflessività e alla conoscenza di sé e dell’altro attraverso l’esperienza corpo- rea. Tale riflessività non è ripiegamento su stessi, ma momento di allena-

mento – anche attraverso l’esercizio del corpo  a quei processi di self effi-

cacy ed empowerment verso cui i professionisti della cura sono chiamati a

guidare gli altri. Il metodo impiegato nelle attività attinge a percorsi di cono- scenza e sperimentazione del proprio corpo, della propria attenzione e del proprio respiro, così come impostati all’interno della tradizione delle discipline orientali. La pratica proposta – nella modalità laboratoriale  rientra nell’offerta formativa curricolare del corso di laurea triennale per Educatore Sociale presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università di Bologna.

La riflessione che “cura”: narrazione di

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