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Per fronteggiare le sfide che i sistemi sanitari si trovano ad affrontare (in- vecchiamento della popolazione, aumento delle condizioni di cronicità, rapi- do e costante progresso scientifico-tecnologico, limitate risorse disponibili), volendo mantenere standard clinico-assistenziali adeguati per rispondere ai bisogni di salute, è necessario investire sui professionisti della sanità. Più precisamente, per garantire una maggior qualità dei servizi, oltre alla messa in campo di risorse economiche e strategie politico-organizzative, è richiesta la valorizzazione delle competenze professionali degli operatori che, a diver- so titolo e livello, sono chiamati a dare risposte concrete e coerenti alle ri- chieste dei singoli cittadini. Perché ciò avvenga bisogna partire, inevitabil- mente, dalla formazione.

La garanzia di una formazione sanitaria di qualità è, senz’ombra di dubbio, una responsabilità collettiva che coinvolge tutti gli ambiti in cui essa viene pensata, realizzata e valutata, vale a dire: la comunità accademica, il sistema sanitario in tutte le sue articolazioni, la comunità scientifica e gli organismi di rappresentanza dei professionisti che esercitano nei contesti sanitari.

Per formare figure professionali che hanno il mandato di occuparsi, tratta- re e maneggiare-con-cura la salute e la vita altrui, è richiesto un governo sa- nitario che sappia integrare le migliori istanze culturali e valoriali per intra- prendere quella sfida pedagogica che vuole, accanto all’imprescindibile dif- fusione della cultura evidence-based, trasferire modelli per una formazione critica e al tempo stesso riflessiva. Si tratta di una sfida a favore di un sistema formativo in grado di promuovere nel soggetto (studente o professionista che sia) la ricerca della dimensione umanistica che gli è propria; punto di parten- za per potersi approssimare a quella altrui. Tale dimensione, sappiamo, non si incontra tra le pagine di un libro di testo, ma si acquisisce con la capacità che

ciascuno ha di pensar-si, di sentir-si e di viver-si nel contesto della professio- ne che svolge o che andrà a svolgere.

Pertanto, accanto a una formazione che trasferisce con tono algido gli aspetti disciplinari e di metodo della cura sanitaria  il chirurgo vascolare de- ve possedere le conoscenze più aggiornate per procedere, con metodo, all’incisione dell’addome al fine di trattare, ad esempio, l’aneurisma aortico  è opportuno integrare una formazione che proponga, con toni passionali, l’affiorare degli aspetti biografici, esperienziali e di senso legati alla cura. In questo caso il chirurgo vascolare sarà sollecitato ad entrare in relazione anche con il proprio pensare, sentire e viver-si nel corso e/o in seguito all’incisione dell’addome per trattare, appunto, l’aneurisma aortico. Così facendo, si dà la possibilità di interrompere quella deriva disumanizzante che vuole relegare la procedura sanitaria al solo repertorio dell’expertise tecnico. Il professionista viene incoraggiato ad entrare in contatto con quel sistema plurimo e articola- to delle competenze professionali che appartengono al proprio profilo profes- sionale, come nel caso delle competenze trasversali o soft skills, che si attua- lizzano, ad esempio, nella capacità per un medico di avviare un rapporto edu- cativo con l’assistito, di stabilire una comunicazione empatica e rispettosa con i suoi familiari, così come il ricorrere al pensiero creativo o il lavorare con gli altri professionisti e tanto altro ancora.

Con l’abbandono della formazione tradizionale, che puntava a modelli unici di pensiero, la healthcare professional’s education oggi è alla ricerca di punti vista inediti, di modelli e prospettive pedagogiche che aprono la porta a nuovi sistemi di conoscenza a sostegno delle competenze professionali. Lo dimostra l’inversione di tendenza che possiamo osservare già in alcuni conte- sti formativi italiani (siano essi interi corsi di studio o singole discipline di insegnamento), dove il focus della didattica si sta spostando dalla mera cono- scenza da trasferire ai processi che hanno a che fare con la costruzione dell’identità professionale e con lo sviluppo delle competenze professionali.

Dal momento che la prospettiva costruttivista ci ricorda che le conoscenze che possediamo sono il risultato della nostra collocazione nel mondo, che ci porta a vedere la realtà in ragione di ciò che pensiamo e ci aspettiamo da es- sa, vuol dire che anche per il medico, come per l’ostetrica o il fisioterapista, ci sono conoscenze personali «collocate» che vincolano l’agire delle cure erogate. Ed è proprio quel sapere personale, ci dice de Mennato (2003), a orientare i diversi modi di intendere e di agire la professionalità.

Poiché le innumerevoli teorie che si apprendono dallo studio delle disci- pline sanitarie vengono sostenute dalle teorie nascoste che si basano, invece, sulla «filosofia personale» del singolo operatore, la formazione sanitaria non può rinnegare la connotazione personale della conoscenza. Per la specificità e per il mandato che la caratterizza, la formazione in sanità è chiamata a pro-

muovere pratiche e contesti che aiutino lo studente, così come il professioni- sta, ad acquisire, da un lato, una sensibilità osservativa sui propri vissuti, ra- gionamenti e posizioni e, dall’altro, una capacità critica inquieta nei confronti di ciò che sperimenta e che osserva. Ciò sarà possibile nella misura in cui an- che il modo di fare formazione cambia il suo assetto. L’attuale paradigma della medical education sostiene un modo di fare didattica aperto, collabora- tivo e inclusivo, ossia una didattica in grado di interrogare le dimensioni im- plicite e singolari del sapere sanitario. Ciò comporta che i soggetti della rela- zione formativa (studenti/professionisti e docenti) si mettano in gioco per di- ventare i protagonisti, a pieno titolo, del loro processo formativo. Nello spe- cifico, agli studenti viene chiesto di abbandonare l’idea che si possa diventare medici o infermieri sostando solo nei tradizionali setting d’aula accademici o nei contesti di pratica, per spronarli a lasciare quella postura passiva che li vedeva seduti dietro ad un banco universitario oppure a rincorrere un profes- sionista durante il tirocinio. Agli studenti, allora, viene chiesta intraprendenza per transitare attraverso situazioni, contesti, spazi che favoriscono un nuovo modo di apprendere le cure sanitarie partendo, appunto, da loro stessi.

Ai docenti, invece, che per formazione sono stati avviati alla lezione ex cathedra e il più delle volte sono inesperti di modelli di didattica attiva e di paradigmi pedagogici, si chiede l’impegno di tenere in considerazione il fatto che per ciascun studente vi sia sottobanco, parafrasando un lavoro di Riccar- do Massa (Massa e Cerioli, 1999), un mondo costellato di immagini, deside- ri, impliciti cognitivi e componenti soggettive e narrative che concorre a de- finire il percorso del loro divenire professionisti sanitari.

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