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Il Problematicismo pedagogico per educare alla ragione, all’impegno e al progetto-professionale-possibile

All’interno dei Laboratori delle relazioni di cura lo studente fa esperien- za di quella postura riflessiva necessaria per esercitare la professione in- fermieristica. Nel raccontarsi, infatti, gli viene data l’opportunità di «impa- rare a pensare», ossia, per dirla con Dewey (1961, p. 97), «ad affrontare in modo altamente pensante i problemi che si presentano nel corso dell’esperienza». In questo modo, i laboratori diventano contesti dove è possibile sviluppare la dimensione dell’“educazione alla ragione”. Non si tratta di promuovere un’educazione prescrittiva e dogmatica nei confronti di una ragione intellettualistica e astratta, ma il riferimento è ad un’educazione emancipatrice che libera le tante «ragioni professionali» che si identificano con le reali questioni sanitarie, spesso sinuose e conflittuali, incontrate dallo studente.

Si deve a Giovanni Maria Bertin la ricerca di una visione problemati- cista per la pedagogia italiana, avviata negli anni cinquanta del secolo scorso per stimolare e destare le coscienze sulla relatività dell’esistenza, ed in particolare dell’esperienza educativa. Il pensiero di Bertin si orienta nella direzione di un rigore critico e riflessivo a sostegno di una ricerca pedagogica che contrasta gli ideologismi, le metafisiche e gli scientismi che nel tempo si erano succeduti ed insediati negli impianti epistemici di- sciplinari e culturali.

Alla pedagogia e concretamente all’educazione, Bertin chiede di percor- rere strade audaci che conducono a prefigurare orizzonti sui luoghi del non ancora, rendendo in questo modo pensabile e dicibile l’utopico  ma non l’utopistico2  anticipando sul piano del possibile qualcosa che potrebbe

accadere o non accadere. Per Bertin, infatti, è importante che ciascun sog- getto si proietti al di là dell’attuale, verso un mondo non ancora determinato

2 Per Bertin l’utopistico è invece fuga dalla realtà, evasione consolatoria e dunque im-

e quindi ancora tutto da scoprire, da progettare e sperimentare. Si delinea così una pedagogia dell’impegno e del possibile dove assumono valore, in egual misura, sia le dimensioni individuali, sia quelle collettive e al tempo stesso politiche, per sostenere una progettazione ancorata al tempo presen- te, ma protesa al futuro (Bertin e Contini, 1983).

La decisione di completare gli assunti epistemici dei Laboratori delle re- lazioni di cura con la prospettiva del Problematicismo pedagogico è stata presa per promuovere nello studente un atteggiamento critico-progettuale sulle conoscenze acquisite e sulle esperienze vissute, ponendo lo sguardo non soltanto su quanto accaduto, ma anche sul futuro.

L’atteggiamento problematicistico porta a configurare il lato “debole” della conoscenza acquisita con l’apertura al dubbio e all’incerto, per favori- re nuove interpretazioni che si tracciano nel corso  o in seguito  del con- fronto con gli altri studenti. Tale movimento è favorito da un processo dia- logico-analitico che vuole decostruire i rigidi paradigmi di lettura della realtà di cui lo studente è portatore; paradigmi il più delle volte riferiti a sguardi militanti ancorati a modelli idealistici di cura.

Lungo lo svolgersi del laboratorio lo studente riceve domande e richie- ste di approfondimento che gli vengono rivolte, a partire dal conduttore, ri- prendendo il modello del dialogo socratico, già in uso nella pedagogia me- dica (Dordoni, 2002). A partire dalla narrazione di un episodio specifico, allo studente viene chiesto di esprimere effettivamente ciò che pensa e pro- va e di riferire liberamente, senza ricorrere a censure sulle circostanze e sul linguaggio, rimandando l’intero gruppo ai principi del rispetto, della discre- zione e della non divulgazione di quanto raccontato/ascoltato.

Dato che la problematicità non va mai respinta, ma riconosciuta, accolta e casomai superata, ci ricorda Bertin, gli studenti hanno la possibilità di raccontare storie inerenti le antinomie incontrate. Nel corso degli anni si è potuto raccogliere un vasto repertorio di antinomie ricorrenti, riconducibili alle coppie: teoria vs prassi; dolore vs sofferenza; illness vs disease; approc- cio EBN vs personalizzazione; atteggiamento distaccato vs atteggiamento empatico.

Lo sforzo che deve fare il conduttore del laboratorio è, in questa fase, quello di non riportare la discussione sulle modalità di risoluzione di tali antinomie, ma sui tentativi di comprensione e ricomposizione, nella dire- zione di un loro superamento. Lo stesso accade per le esperienze di conflit- to che spesso lo studente racconta avere avuto con il tutor, con l’equipe, talvolta con l’ammalato o anche con se stesso, quando si scontra con i pro- pri valori o con la scelta professionale intrapresa. In questo caso, le espe- rienze vengono comprese nella loro unicità, svelando il conflitto come un fenomeno naturale che trova la sua genesi e superamento nelle categorie

della differenza/diversità e della scelta. Ed è «nel cuore della scelta» ri- prendendo Maurizio Fabbri (2005) che lo studente viene spronato ad entra- re in relazione con se stesso per riflettere sulle traiettorie da seguire dal punto di vista professionale.

Sollecitato da domande del tipo: «Il mio posto nella professione infer- mieristica sarà…»; oppure: «Sognando l’infermiere che vorrei essere…» si delinea il lato autopoietico dei laboratori che fa leva sulla possibilità, sul potere e sulla capacità che ciascuno ha di progettare il proprio futuro pro- fessionale nell’orizzonte del possibile.

Questo passaggio, che risente della teoria della progettazione esistenzia- le di Bertin e Contini, viene avanzato in alternativa a un modello statico e talvolta disordinato di professione, che rischia di essere assunto come co- pione per le nuove generazioni.

Poiché nella prospettiva problematicistica la differenza è un valore a cui tendere, quando lo studente viene incoraggiato a proiettarsi al di là dell’attuale, gli viene chiesto di rispettare il suo essere differente dagli altri, ma anche da sé, scostandosi da quei repertori spesso rassicuranti messi in campo. Una progettazione, allora, nella direzione di un-mondo-della- professione-possibile che tende verso ciò che è ancora da scoprire, da spe- rimentare e progettare. Una progettazione che avviene nel terreno dell’im- pegno etico-razionale che lo studente intende esprimere nei confronti degli assistiti e della società.

L’impegno di progettarsi nella professione infermieristica, stando al motto bertiniano del «realizza te stesso, realizzando l’altro» non si può esprimere in termini individualistici, ma si compie con moti intersoggettivi in unprocedere a cerchi concentrici e moltiplicarsi in spazi sempre più va- sti che, a partire dagli studenti presenti, vorrebbe arrivare a tutti i professio- nisti che esercitano nelle comunità di pratica.

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