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Che cosa possiamo trarre da questa esperienza formativa?

Dall’analisi del percorso possiamo cogliere alcuni aspetti utili per lo svi- luppo della formazione dei professionisti della cura. Innanzitutto, emerge il potenziale della scrittura narrativa come pratica di formazione e come strumento che agevola una riflessione continua anche al di fuori dell’aula e costruisce un sapere traversale che accompagna il professionista nello svol- gimento del suo lavoro. Tutto questo però si realizza nel momento in cui vi è la disponibilità e il desiderio di apprendere delle modalità nuove di vivere l’esperienza professionale. Come ci dice Zannini (2015):

va ricordato un principio fondamentale della formazione: il processo formativo ri- chiede che sia il soggetto a desiderare la propria formazione, in particolare ci sem- bra irrinunciabile quando si parla di formazione di sé (ivi, p. 38).

Il desiderio nasce dalla volontà di mettersi in gioco e in discussione e anche dal trovare il tempo per dedicarsi alla riflessione e alla scrittura: la mancanza di tempo risulta infatti essere un fattore critico. Il professionista della cura è assorbito dal fare e spesso non riesce a trovare quello spazio e quel tempo per sé e per la scrittura dei propri pensieri e sentimenti e spesso non ha neanche modo di poterli condividere con chi lavora con lui. Inoltre, a fronte del percorso si è compreso che sembra necessario affiancare all’apprendimento di un sapere tecnico la pratica di una scrittura riflessiva che supporti gli operatori nel loro formarsi ma anche poi nel loro lavoro quotidiano.

Si è notato che il dispositivo narrativo ha consentito agli studenti, come sostengono Connelly e Clandinin (1990), di ripensare le proprie esperienze e le proprie azioni ricostruendone il senso ed evidenziandone le possibili prospettive di sviluppo, portando alla luce le intenzioni, le motivazioni, le opzioni etiche e valoriali in esse implicate, inscrivendole all’interno di una rete di significati culturalmente condivisi, riconoscendo ad esse continuità ed unità. Attraverso questo alternarsi fra teoria, pratica, riflessione e scrittu- ra è emerso dalle parole degli studenti che questo percorso ha prodotto in

loro in un certo modo autocoscienza, cioè la capacità di conoscersi e com- prendere cosa si vuole essere e fare.

La scrittura mi ha permesso di portare consapevolezza sui miei comportamenti di cura nella vita quotidiana, costringendomi, in senso positivo e produttivo, alla ri- flessione accurata, prima della fase di fissazione dei concetti e dei pensieri sulla carta, nero su bianco (uno studente).

La riflessione, attraverso la scrittura, ha portato gli studenti a ricercare, approfondire e chiarire i dubbi, le emozioni e le azioni che compiono nel proprio lavoro ponendoli in relazione con il loro modo di essere e di affron- tare le diverse situazioni.

Il mio sforzo, la mia tensione nelle pratiche di cura nelle più svariate situazioni della vita, non solo in quelle legate alla professione, è finalizzata a elaborare ri- flessioni e ad attuare percorsi d’azione il più completi possibile, senza tralasciare nulla e senza lasciare nulla d’intentato il più possibile. Questa è una caratteristica personale, maturata nel corso del tempo, sia per carattere sia per esperienze per- sonali, che si evince anche nel mio modo di fare cura (una studentessa).

Il mettere in scrittura le riflessioni che derivano dalle pratiche agite e dalle esperienze vissute dentro i diversi contesti lavorativi e formativi ri- chiedeva uno sforzo:

Sicuramente la riflessione e la scrittura sono state due attività difficili per me, in quanto non sono mai stata tanto abituata a riflettere su questi temi e me che me- no a scriverne. Devo dire però che sono riuscita a mettere in parola (una studen-

tessa).

Questa fatica derivava innanzitutto dal dover elaborare l’azione pratica dentro un ragionamento di pensiero che ne esplicitava i significati e mette- va in evidenza gli aspetti latenti e taciti che derivano dal fare. Per fare que- sto c’è innanzitutto bisogno di tempo per andare in profondità, soffermarsi, sostare per pensare e ripensare all’agito.

Devo dire che non è stato facile scrivere… non siamo più abituati… le nuove tec- nologie impongono modalità diverse, veloci, compresse… e poi… il tempo… sem- bra non essere mai sufficiente… siamo in perenne corsa… verso cosa poi non si sa… (uno studente).

Occorre, in un certo qual modo, sospendere l’agire per trovare quello spazio per la cura di sé attraverso la riflessione sulla propria pratica agita. È uno spazio-tempo necessario per chi opera in contesti densi di problemati-

cità, vulnerabilità, fragilità, ed è quotidianamente sollecitato dalla relazione con gli altri, pazienti/utenti, colleghi e dal bisogno di trovare soluzioni spesso immediate a casi difficili, diversi. Ogni giorno ci si trova davanti all’incognito, alla ricerca di risposte da dare, ad azioni da compiere che comportano assunzioni di responsabilità e di messa in gioco del sé e del proprio lavoro:

Se mi ascolto posso sentire quando sto per raggiungere il limite e mi posso ferma- re. Fermarsi in tempo prima di essere troppo “piena” e non avere più spazio per accogliere l’altro, per ascoltarlo, per prenderlo in cura (una studentessa).

Si è anche notato però che il percorso ha sviluppato anche autostima, cioè fiducia nelle proprie possibilità e conoscenza dei propri limiti:

Credo di essere “cambiata” un po’…Questo corso mi ha dato la possibilità di

prestare molta più attenzione al mio lavoro e di analizzarlo in un’ottica di cura, in modo da riuscire a coniugare la tecnicità tipica di un fisioterapista con una buona relazione con il paziente (uno studente).

Infine ha generato autoefficacia intesa, secondo Bandura (1997), come la fiducia nella propria capacità di portare a termine con successo l’azione richiesta in uno specifico contesto e sentirsi all’altezza di una data situazio- ne.

Amo profondamente l’ambito in cui lavoro (quello della Riabilitazione neurologi- ca), in quanto i percorsi che prendono origine o proseguono assieme a me (con il trattamento logopedico quotidiano fatto di fatiche e lacrime) sono momenti di con- tinua rinascita, riaffermazione, modellizzazione e adattamento (una studentessa).

Inoltre, la riflessione attraverso la scrittura ha portato gli studenti a ri- cercare, approfondire e chiarire i dubbi, le emozioni e le azioni, ponendoli in relazione con il loro modo di essere e di affrontare le diverse situazioni.

Cura è anche pensare alle emozioni che si provocano nell’altro con i nostri com- portamenti. Ascoltare i pazienti, mettersi dalla loro parte, cercare alle riunioni di portare la loro voce e il loro punto di vista. Dare fiducia, riconoscere le loro abili- tà, rinforzare, spronare (una studentessa).

Come riteneva Bruner (1990), la narrazione è il primo dispositivo interpre- tativo e conoscitivo di cui l’uomo  in quanto soggetto socio-culturalmente si- tuato  fa uso nella sua esperienza di vita. Infatti secondo uno studente:

La scrittura è stato un atto molto complicato all’inizio, perché spesso tutto è chiaro quando ci si trova in una situazione, ma è difficile poi mettere tutto “nero su bianco”, soprattutto quando si tratta di emozioni, ed è difficile sospendere l’agire per porsi in una situazione di pensare riflessivo. Credo quindi che questo lavoro mi sarà molto utile in futuro, sarà qualcosa a cui penserò nella mia quo- tidianità.

In generale, si è compreso che la riflessività che passa attraverso la scrit- tura narrativa si sostanzi in un intreccio di pensieri, che trovano vita dentro le pagine scritte e che si contraddistinguono per la ricerca di dare significa- to al fare in una prospettiva sistemica dove i soggetti coinvolti, il contesto e le pratiche si intrecciano continuamente.

Sicuramente la strategia di scrivere ha facilitato enormemente la riflessione sui fatti della quotidianità e sui temi del corso. Scrivendo si fissano dei concetti, si ri- scoprono riflessioni a cui non si presta altrimenti attenzione, si analizzano in modo più approfondito le varie dimensioni degli eventi che si presentano. Permette inol- tre una riflessione a posteriori e quindi una possibilità di critica e di miglioramen- to futuro degli atteggiamenti (una studentessa).

La scrittura narrativa come pratica riflessiva, dunque, consente innanzi- tutto di produrre un’azione formativa che rende protagonista il soggetto che la compie e inoltre lo responsabilizza nel processo di apprendimento. Essa gli consente di orientare il suo sapere dentro la pratica e di interrogar- si attorno al suo agire e sul perché adotti certe condotte e certi stili di pen- siero. Questo comporta, da un lato, una maggiore presa di consapevolezza di sé e del proprio modo di interpretare la propria professione e, dall’altro, genera in lui una tensione verso la ricerca di significato da attribuire ai suoi gesti di cura. Inoltre, la riflessione che si fa scrittura consente quella sospensione necessaria per distanziarsi dal fare e ricondurre a sé il proprio agire per comprenderlo e ricomporlo dentro un percorso di senso e di cre- scita personale e professionale. Questo produce un’autoformazione che a sua volta diventa cura di sé. La riflessività si traduce in scrittura come mo- do per ricostruire il senso del proprio agire ma anche di essere nell’interpretare il proprio ruolo di professionista della cura e di vivere le diverse situazioni lavorative. Si è di fronte a una ricerca ermeneutica che va ad analizzare in profondità le pratiche professionali intrise di saperi, emozioni, relazioni, intenzioni riportandoli dentro una prospettiva sistemi- ca che tiene conto del soggetto agente, del contesto e del suo fare in situa- zione. Inoltre, attraverso la riflessione che si traduce in scrittura narrativa, il soggetto è condotto anche a una sorta di emancipazione, in quanto ac- cresce la sua capacità di elaborare soluzioni e di intraprendere strade nuo-

ve e di sviluppo. Di fronte a queste evidenze allora occorre iniziare a pen- sare come poter inserire in modo permanente queste pratiche formative nei diversi percorsi che preparano e accompagnano i professionisti della cura.

Bibliografia

Bandura A. (1997), Self-efficacy: the exercise of control, W.H. Freeman and Com- pany, New York, NY (trad. it.: Autoefficacia: teorie e applicazioni, Erickson, Trento, 2000).

Bruner J. S. (1990), Act of Meaning, Harvard University Press, Boston, MA (trad. it.: La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino, 1992).

Connelly F. M. e Clandinin, D. J. (1990), “Stories of experience and narrative in- quiry”, Educational Researcher, 19 (5): 2-14.

Dewey J. (1933), How We Think, Heat, Boston, MA (trad. it.: Come pensiamo.

Una riformulazione del rapporto fra pensiero riflessivo e l’educazione, La

Nuova Italia, Firenze, 1986).

Dewey J. (1938). Experience and Education, Kappa Delta Pi, New York, NY (trad. it.: Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1984).

Mortari L. (2011), “La qualità essenziale della riflessione”, Educational Reflective

Practices, 1: 146-156.

Mortari L. (2015), La filosofia della cura, Raffaello Cortina, Milano.

Zannini L. (2008), Medical humanities e medicina narrativa. Nuove prospettive

nella formazione dei professionisti della cura, Raffaello Cortina, Milano.

Zannini L. (2015), Fare formazione nei contesti di prevenzione e cura. Modelli,

strumenti e narrazioni, Pensa MultiMedia, Lecce.

In sintesi

Come possiamo aver cura degli altri, se prima non abbiamo cura di noi? E coloro che scelgono di svolgere una professione di cura, hanno cura di sé? Partendo da queste domande e dall’idea che il compito fondamentale del processo formativo è quello di coltivare le attitudini del pensiero riflessi- vo, senza il quale l’attività pratica si riduce al meccanismo della routine (Dewey, 1933), si è costruito un percorso di riflessione formativa all’interno dell’insegnamento di Pedagogia Sanitaria del corso di Laurea Magistrale in Scienze riabilitative delle professioni sanitarie presso l’Università degli Stu- di di Verona. In particolare, si è operato su due fronti, da un lato si è cerca- to di avvicinare gli studenti al tema della cura per comprenderne il significa- to in relazione al proprio lavoro e alla propria professionalità e, dall’altro, si è offerta l’esperienza diretta della riflessione, come strumento di cura verso

se stessi. Esplorando il concetto di cura nelle tre declinazioni di therapeia, cioè la ricerca di una soluzione a un bisogno; di merimna, cioè la tensione a procurare all’altro qualcosa che faccia raggiungere il bene e di epimeleia, cioè cura tesa a far fiorire l’esistenza dell’altro (Mortari, 2015), si è cercato di unire la trattazione teorica con la pratica della riflessione. Spesso infatti nella preparazione dei professionisti in ambito sanitario si trascura di porre l’attenzione sulla cura di sé come punto di partenza per potersi prendere cura degli altri. Il corso è diventato quindi l’occasione per gli studenti di po- ter analizzare il proprio percorso personale e professionale attraverso un esercizio di cura e di attenzione verso se stessi, scrivendo di settimana in settimana le riflessioni che, sollecitate da quanto emergeva in aula, “face- vano eco” dentro loro stessi e la loro pratica quotidiana, con una rielabora- zione finale di quanto era stato appreso e compreso durante tutto il percor- so. Si vorrebbe pertanto poter raccontare e condividere quanto è emerso da questa esperienza, per poi poter ragionare attorno alla formazione dei professionisti della cura e alla necessità, manifestata anche da parte degli studenti stessi, di sviluppare percorsi che forniscano strumenti utili alla cura di sé e del proprio lavoro.

Formare alla cura del fine-vita: il collage come

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