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Arte e filosofia

Parte II – L’interpretazione di Arthur Danto

5. Arte e filosofia

La fine dell’arte in Danto ha un significato narrativo, indica cioè la fine di una storia dell’arte interpretata attraverso un determinato paradigma, come abbiamo visto nell’analisi precedente. L’arte giunge alla sua fine col riconoscimento filosofico di se stessa, cioè rappresentando la domanda riguardante la sua propria esistenza. Dal momento che questa domanda è sì sollevata dalla rappresentazione artistica, ma va oltre essa, c’è bisogno di una teoria artistica che la spieghi, dunque diventa fondamentale l’intervento della filosofia dell’arte. Come abbiamo visto, Danto illustra una certa inimicizia tra filosofia e arte, nel senso che la prima ha (quasi)sempre cercato di comprendere la seconda come qualcosa di intellettualmente inferiore, cadendo anche nella contraddizione per cui se l’arte non produce alcun effetto ed allo stesso tempo è riconosciuta come forma imperfetta di filosofia, allora nemmeno quest’ultima sarà in grado di produrre alcun effetto sulla realtà. Hegel ci mostra l’inadeguatezza della forma sensibile nella rappresentazione dello spirito assoluto, mentre con Danto vediamo l’arte andare verso la libertà di riflettere su se stessa, immersa in un pluralismo non solo del mondo artistico, ma della società in generale. La frammentazione del soggetto presagita da Hegel si riflette nella società contemporanea, caratterizzata dalla libertà dell’individuo. La morte dell’arte è in Hegel l’emancipazione da contenuti prestabiliti e in Danto la fine di un paradigma interpretativo che apre le porte al pluralismo dell’arte, caratterizzato dall’incommensurabilità delle opere. Quale viene ad essere allora il ruolo dell’arte? Da un lato, la liberazione dell’arte, per le cause che abbiamo visto in Hegel, la porta ad essere considerata una forma d’espressione meramente individuale; dall’altro, in Danto il pluralismo sembrerebbe portare con sé il pericolo di una deriva eccessivamente relativista, quasi nichilista, in cui l’arte viene ad essere concepita come mezzo di svago. Come il relativismo dei valori sfocia nell’assenza di una morale valida e a un mondo dove tutto è permesso, il fatto che tutto possa essere arte sembra portare direttamente al fatto che tutto sia arte, senza che vi sia più una distinzione e quindi una possibile definizione dell’arte e del suo ruolo.

Contro la visione pessimista di Greenberg sul netto rallentamento del progresso artistico della sua epoca, Danto propone una prospettiva diversa: l’arte è giunta al termine perché ha raggiunto un diverso piano di coscienza, che è proprio quello della

filosofia, che non può che mirare ad una definizione adeguata di arte95. Ritorna qui l’importanza delle opere di Duchamp, che in quanto anestetiche mettono in mostra una rivelazione filosofica, ovvero il fatto che l’importanza dell’arte non deriva da una distinzione di tipo estetico, in un’epoca in cui si pensava il contrario. La questione come sappiamo giunge al suo culmine con la Pop Art di Andy Warhol, dove la distinzione tra arte e realtà non è più di tipo epistemologico, ma ontologico, necessitando perciò di una teoria dell’arte che vada oltre le proprietà visibili. Opere come Brillo Box rivelano che ciò che definisce l’arte in quanto tale è qualcosa di indiscernibile, dunque, essendo le opere contenuto visibile, non sono in grado di fornire una risposta se non chiamando in causa la filosofia. La stessa filosofia che, per Danto, aveva sinora messo in scacco l’arte considerandola in maniera subordinata,

destituendola del suo ruolo.

Nel già citato saggio The end of art? Noël Carroll mette in discussione la conclusione di Danto secondo cui la narrazione artistica è giunta al termine, ridimensionandola all’inadeguatezza dell’arte pittorica nel rappresentare il progresso della narrazione artistica. Se essa non è più il mezzo adatto per fare ciò, fa notare Carroll, logicamente ciò non significa che non ve ne possano essere altri96. Un altro aspetto messo in rilevanza è il fatto che Danto presuppone l’autodefinizione come unico meccanismo di propulsione per una lineare storia dell’arte: una volta che l’arte arriva alla definizione di se stessa, la storia si conclude. Certamente questa concezione è, come abbiamo visto, di stampo hegeliano e trova giustificazione nell’analogia con la storia dello spirito, che arriva finalmente alla coscienza di se stesso. È necessario però fare una distinzione: Hegel non afferma che lo scopo dell’arte è il venire alla coscienza di

se stessa, piuttosto è il portare a coscienza un contenuto (attraverso una forma sensibile

e in maniera non didascalica e non moralistica), laddove il contenuto più elevato, cioè la coscienza dello spirito stesso, ha bisogno della filosofia per essere esplicato adeguatamente. Ciò che resta inequivocabile è che il raggiungimento della propria auto-riflessione o auto-definizione è accompagnato dall’emancipazione del contenuto, che diventa quindi in questo senso libero. La critica di Carroll riveste importanza in quanto trae dalla tesi di Danto – a cui riconosce comunque il merito di aver constatato il cambiamento avvenuto nel mondo dell’arte – una conclusione alternativa che mette in risalto possibili risvolti artistici che in realtà non sono necessariamente in contrasto con la soluzione di Danto. Quest’ultimo, in risposta alla critica di Carroll afferma che

95 A.C. Danto, After the end of art, op cit., p. 135. 96 N. Carroll, The End of Art?, op. cit., p. 27.

nemmeno egli stesso sa cosa l’arte abbia in riserbo dopo la fine della sua narrazione storica:

Come posso sapere che non ci sarà, nell’intero raggio di possibilità artistiche, almeno un’arte – ad esempio la performance art – che sia in grado di dar vita ad una storia dell’arte interamente nuova? La risposta è che io non posso saperlo. E nemmeno immaginarlo, non più di quanto un artista medievale potesse aspettarsi la spettacolare illusione che la storia della pittura stava per riservargli. Bisogna certamente rimanere aperti [a qualsiasi possibilità] – la teoria della fine dell’arte vuole essere una teoria empirica. Il futuro però, è qualcosa che non possiamo immaginare, finché non diviene presente97.

Danto non esclude alcuna possibilità artistica, ma solamente che vi sia ancora una metanarrazione per il futuro dell’arte. Resta comunque il fatto che la cosiddetta fine dell’arte avviene in concomitanza con la destituzione del suo ruolo da parte della filosofia, poiché è ad essa che appartiene il compito di rispondere alla domanda sulla natura dell’arte. Anche a proposito di ciò è interessante la prospettiva di Carroll, che nel saggio Arthur Danto and the Political Re-Enfranchisement of Art98 presenta la possibilità di una reintegrazione politica del ruolo dell’arte a partire dalla filosofia di Danto. L’arte dopo la fine dell’arte è libera di tornare a rappresentare scopi umani, cioè di tornare in qualche modo a innalzare il valore della vita umana:

Libera di esprimere tristezza e gioia; di consolare, di guarire e creare indignazione. Libera di dissuadere o di ispirare. E questo, certamente, include la libertà di produrre arte politica, svincolata da ogni pressione relativa al dover discernere l’essenza dell’arte. Liberandosi dal progetto filosofico di autodefinizione, l’arte è filosoficamente destituita, ma in un modo tale da far sorgere la possibilità di essere politicamente reistituita [re-enfranchised]99.

Questa possibilità va di pari passo con l’opposizione di Danto alle teorie estetiche dell’arte, in particolare a qualsiasi teoria che consideri l’esperienza puramente estetica come caratteristica principale dell’arte. Dunque, l’arte prende il pieno diritto di invadere campi non propriamente artistici, incluso quello politico. Inoltre, fa notare Carroll, l’esperienza estetica come godimento disinteressato dell’opera è separata da una eventuale esperienza cognitiva dell’arte. Nonostante ciò, diversi pensatori hanno considerato la comunicazione e il successivo venire a conoscenza di un contenuto come parte integrante dell’esperienza artistica e uno di questi è proprio Hegel100. Allo

97 A.C. Danto, The End of Art: A Philosophical Defense, op. cit., p. 140.

98 N. Carroll, Arthur Danto and the Political Re-Enfranchisement of Art, Venezia Arti, vol. 25, 2016.

Permalink accesso online http://doi.org/10.14277/2385-2720/VA-25-16-1.

99 Ivi, p. 20. (Traduzione mia).

100 Si veda G.W.F. Hegel, Lezioni di estetica, tr. it. di Paolo d’Angelo, Laterza, Roma-Bari, 2000, pp.

15-16. Hegel afferma che «il bisogno universale dell’arte va cercato nel pensiero dell’uomo», poiché l’arte è collegata al fatto che l’uomo è «pensante e cosciente» e l’opera viene creata «affinché la coscienza divenga oggetto a se stessa». Più avanti afferma che «le opere d’arte sono anche per l’intelligenza, per la considerazione spirituale, non per quella meramente sensibile» (p. 21). Questo

stesso modo, per Danto l’arte deve avere un contenuto (o meglio incorporare un

contenuto, secondo il significato di embodied meaning che verrà discusso più avanti)

e l’esperienza artistica è perciò anche un’esperienza cognitiva, di conoscenza. Nella visione di Danto interpretazione e godimento dell’opera sono strettamente collegate, tanto da «dissolversi l’una nell’altra»101. Per apprezzare un’opera bisogna essere anche

coscienti di ciò che vuole esprimere, del suo significato, cosa che non può prescindere dalla sua collocazione storico-sociale. Il contenuto di un’opera quindi può benissimo essere anche un contenuto politico e conoscere il contesto di ciò fa parte dell’apprezzamento dell’opera. «Le opere d’arte non possono essere isolate dal mondo esterno al mondo dell’arte»102, osserva giustamente Carroll, poiché l’artista suscita

emozioni e riflessioni su elementi del mondo in cui viviamo attraverso la prospettiva della sua opera. Torniamo nuovamente ad osservare come in questa concatenazione artista-opera-mondo sia rilevante tanto la soggettività dell’artista quanto la mediazione del pubblico che usufruisce dell’opera d’arte.

Questa reistituzione del ruolo politico dell’arte è comunque solo una possibilità e soprattutto essa non deve essere intesa come un tentativo di politicizzazione dell’arte, volto ad indirizzare il pubblico verso uno schieramento politico. Per gli artisti restano aperte tutte le possibilità, essi possono occuparsi di temi politici e sociali, come di temi riguardanti il mondo dell’arte. L’importanza di queste osservazioni sta nel mostrare una correlazione tra la destituzione filosofica dell’arte e il ventaglio di possibilità che si apre con la fine dell’arte. La filosofia non si limita solo a destituire l’arte, ma instaura con essa un dialogo che offre all’arte l’opportunità di avere un notevole peso sociale. L’arte destituita non è un’arte a cui rimane solamente l’ambizione di mero intrattenimento, ma un’arte non più vincolata ad una narrazione, in grado di varcare i propri confini e andare a toccare vari ambiti della vita umana, rivestendo quindi notevole importanza a livello culturale. La filosofia dell’arte non può che essere d’aiuto nella definizione del ruolo culturale e sociale dell’arte, come emerso dalle tesi discusse finora.

perché l’arte è il termine medio tra la sensibilità come tale e il puro pensiero (pp. 5 e 6) e il suo scopo è «rivelare la verità, rappresentare quel che si agita nel petto umano» (p. 31) sottoforma di immagine sensibile.

101 N. Carroll, Arthur Danto and the Political Re-Enfranchisement of Art, op. cit., p. 20. (Traduzione

mia).