• Non ci sono risultati.

Arte ideale e arte libera

Parte I – L’estetica di Hegel e la fine dell’arte

8. Arte ideale e arte libera

Abbiamo visto come l’arte di età classica sia un momento di perfetto equilibrio, privo di tensione tra forma e contenuto, ma proprio perciò destinato ad essere sorpassato.

46 M. Ophälders, Poesia e morte dell’arte, in M. Farina – A.L. Siani, L’estetica di Hegel, op. cit., p. 223. 47 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817), tr. it. da L’arte

nell’Enciclopedia, a cura di A. L. Siani, L’arte nell’enciclopedia, op. cit., p. 23.

48 Ivi, p. 19.

L’unità raggiunta nell’arte classica significa anche libertà: essa possiede contenuto e forma liberi e pertanto non può che essere libero anche l’artista che la produce. Abbiamo visto in precedenza che ciò non è però da intendersi nel senso che l’artista è libero di fare ciò che vuole, al modo di un artista contemporaneo. La libertà dell’artista viene qui definita nella misura in cui si avvale di un contenuto presente a cui è libero di dare forma. Si potrebbe dire che la sua libertà è quindi definita in negativo, poiché deriva dal non dover più lottare per l’espressione del contenuto, come avveniva nel periodo simbolico. Questa lotta è cessata proprio perché questo contenuto viene ora predisposto per l’attività dell’artista, che in un certo senso quindi si limita ad eseguire, a dargli forma, prendendo passivamente la materia della sua arte dalla religione del popolo. Hegel è chiaro su questo punto: l’arte classica è il perfetto incontro di forma e contenuto, ovvero di concetto e realtà, dunque entrambi i termini devono essere predeterminati. I termini usati per descrivere il lato tecnico della produzione classica sembrano tutt’altro che inerenti al lessico della libertà:

All’arte libera appartiene che la materia sensibile, nella quale l’artista lavora, debba obbedire alla rappresentazione; l’esecuzione deve essere sottoposta alla rappresentazione, non contenere per sé nulla di recalcitrante, ma anzi sottomettersi alla concezione. Questa esecuzione obbediente, l’abilità, si ottiene solo attraverso l’esercizio. Il terreno nel quale l’individuo si esercita, le capacità tecniche, devono già aver raggiunto un grado elevato per poter servire. Esse devono poter eseguire solo quello che è richiesto. [...] Questi sono i presupposti dell’arte libera: che il suo contenuto e il lato della realtà siano in sé compiuti50

.

Non si tratta solo della severità e della perseveranza necessarie a raggiungere un certo grado di bravura tecnica, ammirabile nelle statue greche. L’artista classico deve rappresentare il bello sostanziale, l’ideale; egli non è altro che un tramite tecnico per un contenuto predeterminato, ovvero il patrimonio culturale della comunità ellenica. La libertà non è quella dell’artista soggetto in quanto tale, egli è importante solo in guisa della rappresentazione di uno spirito collettivo; quest’ultimo esprimente i valori di una società e non di un individuo singolo. La statua non è l’espressione della soggettività dell’artista, come potremmo intendere oggi un’opera d’arte, ma rappresenta la religione di un popolo. Il greco venera la statua in quanto essa incarna un dio, non vi deve essere in ciò alcuna traccia del sentimento particolare dell’artista. Non solo, il rapporto è un rapporto immediato, cioè che non avviene tramite un momento riflessivo. Quest’impostazione è già presente nella Fenomenologia, come abbiamo visto inizialmente l’arte è trattata all’interno della religione artistica, dove non può che sorgere l’arte assoluta, che coincide col periodo della Grecia classica. Il

popolo dà figura al dio e ciò è possibile in quanto l’individualità si risolve nei valori collettivi. Nella polis greca l’individuo è libero in quanto si identifica con l’universale, cioè in quanto cittadino della polis stessa che si riconosce nei valori della società in cui vive. La libertà è presente soltanto concepita come appartenenza a una sostanza, dove la singolarità in quanto tale scompare. Per questo nella bella religione artistica dei greci l’opera d’arte, in quanto rappresenta l’unità del concetto e del reale, è costitutiva della religione, in cui il popolo trova i propri valori.

La crisi di questa perfetta unità la si può vedere già nell’arte della tragedia classica, che nella Fenomenologia prende posto all’interno dell’ultimo momento della religione

artistica, cioè nell’arte spirituale; nell’Estetica la tragedia viene discussa sia nella

parte dell’arte classica che nella parte dedicata all’arte romantica. Questo non è un caso, in quanto nella tragedia classica vi sono i sintomi della disfatta della religione ellenica e di quel rapporto con la divinità. In essa vediamo infatti emergere la soggettività. Riprendiamo il caso emblematico di Antigone: il suo personaggio incarna il levarsi della voce soggettiva contro il potere dello stato, che va inevitabilmente incontro ad un esito tragico. Nei confronti della giustizia eterna, Antigone e Creonte hanno sia ragione che torto in quanto si riconoscono unilateralmente in diversi valori validi per ognuno (famiglia da una parte e interesse statale dall’altra). In quanto entrambi si pensano come legittimi, si ha uno scontro necessario, che termina con la rassegnazione nei confronti del fato. Questa giustizia tragica, che si identifica col destino tragico, va a scagliarsi contro un colpevole che non si riconosce propriamente tale. Antigone nel compiere quello che è considerato da Creonte un crimine, pensa di essere dalla parte della giustizia, dunque il suo non è un agire completamente e consapevolmente responsabile. Nel modello tragico non vi è ancora un principio di responsabilità umano, la giustizia si afferma solo in maniera negativa, portando l’eroe incontro alla sua sofferenza senza che egli riconosca il motivo della sua colpa. Vi è però un incipit di riflessione e Antigone può essere considerata pioniera del principio moderno di opposizione ad un potere illegittimo, fermo restando che il suo affermarsi non avviene in quanto individuo, ma in quanto rappresentante di un diritto familiare,

comunitario. 51

Il personaggio di Antigone ricorda quello di Socrate, o meglio, quello che hanno in comune è un destino tragico e ciò che esso viene a significare per la storia della coscienza. Entrambi simboleggiano un punto di rottura tra l’individuo singolo e la

51 Cfr. A.L. Siani “Giustizia incompleta”. Hegel, Antigone e i diritti umani in Siani, Morte dell’arte,

comunità, dove il primo mette in discussione i valori appartenenti alla seconda. Socrate si arroga il diritto di chiedere perché, vagliando la legittimità dei significati convenzionali, facendo emergere la coscienza «dello spirito certo di se stesso»52 e viene condannato dal tribunale di Atene, che rappresenta i costumi e la religione del popolo. Di questo Hegel parla nelle Lezioni sulla storia della filosofia, descrivendo Socrate come «il creatore d’una nuova realtà», «l’autore di un più alto grado dello spirito cosciente», perciò questo scontro tra la coscienza soggettiva e la comunità etica è «un momento essenziale, superiore, nello sviluppo della coscienza di sé, che genera una nuova realtà»53. Aggiunge anche che è rilevante notare che gli ateniesi si pentirono di tale condanna a morte, finendo quindi per condannare loro stessi. Si giunge dunque alla fine della comunità etica sostanziale della polis e con ciò, riprendendo il discorso iniziale, alla fine del primato dell’arte. Quest’ultimo infatti non può che sussistere in questo tipo di società, che è destinata a disfarsi per far spazio all’affermazione del soggetto.

Per quanto riguarda l’arte romantica, si è già discusso di come essa sia il superamento dell’ideale classico. La statica perfezione di quest’ultimo viene meno per far posto al sentimento del soggetto. L’arte romantica è prima di tutto l’arte cristiana, quindi un’arte ancora religiosa, ma non allo stesso modo in cui lo era l’arte classica: le opere d’arte che rappresentano i temi della cristianità svolgono un ruolo marginale, completamente differente da quello della statua nella cultura greca. La funzione dell’arte è puramente accessoria, non vi è più un rapporto di venerazione con l’opera e la verità trova espressione nei testi sacri. Successivamente, con la Riforma, l’arte abbandona quasi del tutto i temi religiosi per dedicarsi alla rappresentazione della vita mondana, dove l’attenzione è posta sull’apparenza delle cose e delle azioni quotidiane. Dunque l’arte non si rivolge più alla rappresentazione dei più alti contenuti della cultura, ma ciò porta con sé un cambiamento importante, che riguarda non tanto l’arte quanto l’artista che la produce. L’artista, svincolato dal dover rappresentare contenuti predeterminati, sfoggia la sua abilità soggettiva, è libero cioè di imprimere nell’opera l’impronta del suo sentimento. Non vi è più quell’unità con la materia che lasciava all’artista soltanto il compito di darle la forma, lo si vede bene nell’umorismo della commedia, che presenta «la soggettività dell’artista attraverso il superamento di tutto quel che vuole configurarsi a materia»54. All’arte romantica non rimane che l’humanus,

52 G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, tr. it. a cura di R. Bordoli, Laterza, Roma-Bari,

2009, p. 222.

53 Ivi, p. 223.

cioè l’infinita sfera delle manifestazioni umane, «l’universale umanità, l’animo umano nella sua pienezza, nella sua verità»55. La fine dell’arte romantica è quindi davvero la fine dell’arte, nel senso che essa perde il ruolo che la innalzava a forma di espressione adeguata dello spirito assoluto. Hegel vede nel suo tempo anche un certo decadimento dell’arte, perché gli artisti non si dedicano più con devozione al contenuto che rappresentano, che viene ad essere qualcosa di esterno.

Ricapitolando, il primato dell’arte coincideva con un’epoca in cui l’individuo si riconosceva nell’universale, mentre nella modernità ci troviamo di fronte ad una società frammentata, in cui non è più possibile la rappresentazione sensibile di una verità comune e l’arte perde questa funzione. Quindi, l’arte sembrerebbe perdere anche la sua funzione sociale, abbassandosi a mero intrattenimento. Vale la pena di citare un tentativo di riscatto sociale dell’arte, cioè quello fatto da Schiller con la sua opera

L’educazione estetica (1795), che voleva essere una risposta, appunto, estetica ad un

problema di tipo politico. Vi è infatti una critica alla modernità, considerata un periodo storico decadente, caratterizzato da barbarie e violenza, nonché da una frammentazione della società. A questo si affianca l’esaltazione della Grecia antica, comune ad altri autori del suo tempo, considerata grande esempio di unità e nobile semplicità, come quella che ritroviamo nelle statue greche. La soluzione estetica a questo problema sociale risiede nel fatto che l’arte, secondo Schiller, si rifà a dei modelli immortali e incorruttibili. Da qui, l’importanza di un’educazione estetica: attraverso la bellezza «immune alla corruzione delle generazioni e delle epoche»56 la società ritrova l’unità perduta e l’uomo recupera la sua armonia. Nel capolavoro di Schiller l’arte sembrerebbe avere più dignità rispetto alla trattazione hegeliana, perlomeno per quanto riguarda una sua funzione all’interno della società. C’è però bisogno di precisare che questo ruolo che l’arte va a ricoprire porta con sé anche una certa idea di società, che si rifà appunto al modello greco. La soluzione è quindi un anacronistico ritorno a qualcosa di incompatibile con l’individuo moderno (per non parlare di quello contemporaneo). Un modello del genere, basato su punti di riferimento assoluti (per quanto belli e armoniosi), verrebbe anzi percepito come totalitaristico, quindi tutt’altro che giovevole alla libertà del singolo. Sembrerebbe però non esserci via di uscita: o il periodo classico e la preminenza della funzione artistica, o la frammentazione del periodo romantico-moderno dove l’arte nella sua più alta funzione è qualcosa che appartiene al passato.

55 Ivi, p. 198.

L’arte romantica però non è solo il manifesto funebre del ruolo superiore dell’arte. La libertà dell’artista di esprimere il proprio sé segna l’inizio di un nuovo modo di fare arte, un’arte libera. Il fatto di dover dare forma alla coscienza di un popolo dava all’arte una veste superiore, ma era anche una limitazione. La perdita di questa funzione sostanziale è per l’arte un’emancipazione: il suo esprimersi diviene ora privo di garanzia oggettiva, ma è allo stesso tempo finalmente libero. Certamente l’intento di Hegel è un intento polemico, soprattutto nei confronti dei contemporanei romantici che sostenevano un primato dell’arte (Schlegel), ma bisogna ricordare che il protagonista di questo processo è sempre lo spirito, che, come afferma Hegel nell’introduzione dell’arte romantica, «deve avere come terreno della sua esistenza se stesso»57. Il bello classico è indubbiamente perfetto in quanto realizzazione di forma e

contenuto, ma è imperfetto a livello di realtà dello spirito, che inizia a percepire la sua libertà andando oltre la bellezza ideale, con l’arte romantica. L’emancipazione dell’arte è accompagnata non solo dalla libertà dell’artista che la crea, ma anche da quella degli individui che godono dell’opera. Non essendo più tenuta a presentare contenuti di validità universale, l’arte dal canto suo non pretende nemmeno più che l’individuo li debba necessariamente cogliere nelle opere, che possono quindi rappresentare una varietà di contenuti diversi. Il passo avanti sta inoltre nel fatto che la presentazione di questi contenuti non avviene come un’imposizione immediata, ma attraverso la mediazione del soggetto, che adesso riveste importanza in quanto tale e non solo in quanto appartenente all’universale. Mediazione che avviene, appunto, in modo libero, con una distanza che può essere addirittura critica. Allora non si ha solo un’arte piacevole, che mira all’intrattenimento dello spettatore, ma un’arte che costituisce uno stimolo alla riflessione58. Anzi, riprendendo ciò che Hegel afferma nell’introduzione, un’arte considerata come intrattenimento si avvicina ad un’arte meramente ornamentale, dunque decisamente distante dall’essere un’arte libera. Certo per Hegel la riflessione filosofica è qualcosa di nettamente più elevato rispetto alla presentazione artistica, ma dal momento in cui quest’ultima dà liberamente vita ad un pensiero, la distanza tra le due forme d’espressione viene colmata dall’aspirazione ad un obiettivo comune: il progredire dello spirito nella sua libertà.

57 Hegel, Lezioni di estetica, tr. it. di Paolo d’Angelo, op. cit., p. 174.

58 Cfr. A.L. Siani, L’impossibile mosaico dell’umano, in A.L. Siani, Morte dell’arte, libertà del soggetto,