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La destituzione filosofica dell’arte

Parte II – L’interpretazione di Arthur Danto

2. La destituzione filosofica dell’arte

Le problematiche scaturite dall’inserimento di oggetti comuni nel mondo dell’arte vengono elaborate da Danto intorno agli anni ’80. In particolare, vanno a legarsi con l’interpretazione della fine dell’arte hegeliana, come si vede in una raccolta di saggi e interventi dal titolo, già di per sé emblematico, La Destituzione Filosofica dell’Arte69 (1986). Già ne La trasfigurazione del banale (1981) Danto si rende conto di come la differenza tra oggetti ordinari e oggetti d’arte non possa essere spiegata da teorie estetiche o da un presupposto senso estetico. Questo non perché l’estetica sia diventata completamente ininfluente, piuttosto, essa non è più indispensabile alla definizione di arte nel momento in cui si ha bisogno di spiegare in che modo le opere d’arte differiscono da oggetti di uso comune. A rivestire importanza è invece per Danto l’elemento storico: un’opera è intrinsecamente collegata alla sua interpretazione e quest’ultima non può prescindere dalla sua collocazione storica70. Quella che esporrà

68 Ivi, p. 580.

69 A.C. Danto, The Philosophical Disenfranchisement of Art, Columbia University Press, New York,

1986. Le citazioni qui presenti sono di mia traduzione. Per la traduzione italiana del libro si veda A.C. Danto, La destituzione filosofica dell’arte, a cura di T. Andina, tr. it. di C. Barbero, Aesthetica edizioni, Palermo, 2020.

70 Ivi, pp. XI-XII. «Aesthetic qualities had once seemed to theorists to be sufficiently like sense qualities

as to suggest that the sense of beauty should be a seventh sense – with moral sensibility perhaps a sixth sense. […] It is not that aesthetics is irrelevant to the appreciation of art, but only that it cannot be part of the definition of art if one of the purposes of the definition is to explain in what way artworks differ from real things. […] History, in brief, because it was inseparable from interpretation, was inseparable from art itself just because artwork themselves are internally related to the interpretations that define them».

sarà infatti una filosofia della storia dell’arte, di esplicita ispirazione hegeliana, con l’obiettivo di emancipare, almeno in parte, l’arte dai tentativi filosofici di destituzione del suo ruolo (che si trovano a incominciare dalla filosofia di Platone), per concludere mostrando l’ingresso in una fase post-storica dell’arte, che le restituisce in un certo senso scopi umani (human ends), riconciliandosi con quei bisogni fondamentali che l’arte si è sempre preoccupata di soddisfare71.

«La storia dell’arte è la storia della repressione dell’arte»72 afferma Danto in maniera quasi provocatoria, poiché la presunta pericolosità dell’arte proviene da un assunto filosofico. Allo stesso tempo, vi è l’idea che con l’arte sia pressoché impossibile far accadere qualcosa, cambiare qualcosa nel mondo. Per quanto questo sembri in contraddizione con l’asserzione iniziale, in realtà la pretesa di neutralità politico- sociale dell’arte è un modo per far sembrare che nell’arte non vi sia niente di pericoloso per cui avere paura. Danto si riferisce ancora una volta alla filosofia dell’arte platonica (Platonic aesthetics73) a cui abbiamo già accennato in precedenza, che considera l’arte

come copia della copia, cioè come una apparenza di secondo livello, al pari di sogni ed illusioni. Così, in una mossa che Danto descrive come politica, Platone liquida gli artisti come distaccati dalla realtà, capaci solamente di imitarla (escludendoli infatti dalla Repubblica). Poiché la filosofia da Platone in poi non è altro che una continua aggiunta di appendici al suo lascito 74, essa viene ad essere in questo senso la storia della destituzione dell’arte75. L’invettiva platonica contro l’arte avviene in due stadi:

il primo è rendere la realtà immune da qualsiasi effetto prodotto dall’arte, mentre il secondo è la razionalizzazione dell’arte, già descritta da Nietzsche come socratismo

estetico ne La nascita della tragedia, che è ciò che porta la tragedia alla sua morte

attraverso l’identificazione del bello con il razionale76.

71 Ivi, p. XV. «In a sense, the post-historical atmosphere of art will return art to human ends. […] we

are entering a more stable, more happy period of artistic endeavor where the basic needs to which art has always been responsive may again be met».

72 Ivi, p. 4.

73 Bisogna precisare che al tempo di Platone non esisteva l’Estetica come disciplina, che sorge invece

nel XVIII secolo con la definizione di A.G. Baumgarten. Ciò a cui Danto fa riferimento è la concezione platonica dell’arte riscontrabile nei suoi dialoghi, in particolare ne La Repubblica.

74 A.C. Danto, The Philosophical Disenfranchisement of Art, op. cit., p. 7. Affermazione che potrebbe

essere discutibile, ma ciò non è un proposito urgente in queste circostanze, né di questo elaborato in generale.

75 Non sempre la filosofia ha cercato di porre l’arte ad un livello di subordinazione. Si prendano ad

esempio filosofi romantici come Schelling, F. Schlegel o il già citato Schiller. In particolare, nel Sistema

dell’idealismo trascendentale (1800), Schelling ritiene l’arte superiore nei confronti della filosofia,

poiché in grado di rappresentare la verità assoluta in maniera oggettiva e universalmente comunicabile. (Cfr. Vercellone, Bertinetto, Garelli, Lineamenti di storia dell’estetica, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 49).

76 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. It. S. Giametta, Adeplhi, Milano, 1972, p. 85. Secondo il

socratismo estetico, tutto deve essere razionale per essere bello, motivo per cui la tragedia, che si fa

Più precisamente, la destituzione dell’arte da parte della filosofia consiste secondo Danto in due forme di repressione: il renderla effimera (ephemeralization) e l’acquisizione (takeover) di essa, che si ritrovano rispettivamente nel pensiero di Kant e di Hegel. Per quanto riguarda Kant, in questa sede ci limitiamo alla sua definizione di arte come finalità senza scopo (nella Critica del giudizio), secondo cui la bellezza dell’arte è come una armonia che trova una finalità in se stessa, ma a livello filosofico e logico non vi è uno scopo determinato. Dunque l’arte è «sistematicamente resa neutrale, rimossa dal dominio dell’utilità da un lato […] e dall’altro dal mondo dei bisogni e degli interessi»77. Inoltre, Danto fa un paragone tra la distinzione di belle arti e arti pratiche e la distinzione del genere femminile dal maschile definendo il primo

gentil sesso: allo stesso modo, si cerca di porre l’arte, o nel secondo caso le donne, a

distanza dal mondo della pratica, come qualcosa che non è in grado di produrre degli effetti concreti nella realtà. Torna la relazione con un intento di tipo politico: Platone ha estromesso gli artisti dalla società politica facendogli credere che il loro unico scopo fosse quello di produrre bellezza, allo stesso modo in cui le donne sono state relegate a lavori socialmente sterili, come il ricamo o altre attività domestiche.

Veniamo al confronto con Hegel: come analizzato nel capitolo precedente, nell’estetica hegeliana l’arte trova il suo posto nel percorso dello spirito – che termina con la coscienza di se stesso in quanto spirito – ma in maniera subordinata alla filosofia. Secondo Danto, l’arte nella visione hegeliana serve a rendere possibile la filosofia, forma d’espressione più elevata – in questo senso avviene l’acquisizione (takeover) dell’arte. Questo trova storicamente conferma in opere come quelle di Duchamp, in particolare Fontana (1917): opera readymade, cioè consistente in un oggetto prefabbricato di cui l’artista si appropria così com’è, in questo caso un semplice orinatoio che presenta la firma R. Mutt, oggetto non poco controverso da inserire in una galleria d’arte. Il punto fondamentale risiede nel fatto che quest’opera non consiste tanto nell’oggetto in sé, ma nella domanda che esso fa sorgere: perché un oggetto di uso comune, nonché associato in questo caso alla privacy e alla sporcizia, è considerato un’opera d’arte? Perché proprio questo in particolare e non tutti gli altri orinatoi situati nei bagni pubblici? O meglio, «perché una cosa è un’opera d’arte quando qualcosa di identico ad essa non lo è?»78. Si tratta senz’altro di quesiti filosofici, posti sotto forma di materiale artistico, possibili solamente in determinate

77 A.C. Danto, The Philosophical Disenfranchisement of Art, op. cit., p. 10. «Systematically neutered,

removed from the domain of use on one side […] and, on the other side, from the world of needs and interests».

circostanze storiche. Dunque l’arte trova la sua fine nella coscienza filosofica di se stessa, aprendo le porte alla filosofia dell’arte.