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Dewey: esperienza, natura e arte

Parte III – Estetica pragmatista e arte popolare

2. Dewey: esperienza, natura e arte

La concezione dell’arte di Dewey si può rintracciare a partire dalla sua analisi di esperienza e natura, nel libro Experience and nature (1925, II ed. 1929)117, nel quale dedica un capitolo proprio a questa questione (capitolo 9, Experience, Nature and Art); e in un saggio del 1925 dall’omonimo titolo, dove ribadisce i suoi obiettivi in una prospettiva più ampia118. Il punto di partenza è il confronto tra la concezione della produzione artistica nella Grecia antica e nel mondo moderno. Il pensiero greco antico separava l’esperienza come qualcosa di inferiore rispetto alla ragione e alla scienza, che trae dalla natura conclusioni universali, mentre l’arte era considerata appartenente al mondo materiale in tutta la sua contingenza. Dunque, il pensiero scientifico e razionale era libero dal bisogno e dalla fatica relativi alla materia, come qualcosa di autosufficiente, mentre l’arte, al contrario, era relegata alla produzione dell’artigiano, che rivestiva una posizione servile. Questo pensiero rifletteva infatti la struttura della società, dove gli addetti alla produzione manuale si collocano gerarchicamente al di sotto degli uomini liberi, i quali possono godere liberamente dei prodotti del lavoro

116 Ivi p. 186.

117 J. Dewey, Experience and nature, Dover Publications, inc., New York, 2018. Le citazioni qui

presenti sono di mia traduzione. Per la traduzione italiana si veda J. Dewey, Esperienza e natura, a cura di P. Bairati, Ugo Mursia Editore, Milano, 2014.

118 J. Dewey, Experience, nature and art, in Journal of the Barnes Foundation, vol. 1, n. 3, The Barnes

Foundation Press, Merion, Pa., 1925. Accessibile online all’indirizzo https://archive.org/details/journalofbarnesf13barn/mode/2up. Traduzione italiana in J. Dewey,

Esperienza, Natura e Arte, a cura di D. Cecchi, Mimesis, Milano, 2014. Il saggio in questione è più di

un rimaneggiamento del suddetto capitolo, poiché vi è una diversa disposizione dei temi trattati (seppur in maniera sintetica), che vengono visti alla luce di una più forte critica alle teorie estetiche moderne basate sull’idea di arte per l’arte. (Cfr. Introduzione di D. Cecchi in J. Dewey, Esperienza, Natura e

degli artigiani. Il pensiero moderno considera la scienza o la conoscenza in relazione alla natura e l’arte come qualcosa di esterno, che si aggiunge ad essa. Inoltre, l’esaltazione della scienza è affiancata dall’apprezzamento delle cosiddette belle arti. Allo stesso tempo, afferma Dewey, viene portata avanti la dicotomia tra pratico e teoretico, solo formulata in maniera diversa: mentre le scienze hanno a che fare con ciò che è oggettivo, nella pratica la realtà oggettiva è distorta da fattori soggettivi, quali le emozioni e la volontà personale. Dewey fa notare come non venga comunque afferrata l’idea greca per cui le arti sono qualcosa di legato alla sfera pratica: questo per una confusione generale tra l’artistico e l’estetico119. Secondo il pensiero greco,

l’arte è una forma di pratica, avente quindi a che fare con il mondo sensibile, imperfetto e mutevole. Non vi era distinzione tra le arti degli artigiani e quelle che oggi definiamo come belle, l’arte apparteneva al campo della produzione120. Al contrario, la scienza

era considerata l’unica vera possibilità di conoscenza della cosa in sé, dell’essenza immutabile del mondo, corrispondente quindi alla contemplazione. La modernità accetta, secondo Dewey, questa distinzione tra contemplazione come ricerca della verità riservata a pochi e produzione di tipo manuale, pratico. Non accoglie però l’emarginazione dell’arte come interamente pratica: vi è qui la distinzione tra arti meramente utili e belle arti, e l’ulteriore differenziazione in quest’ultime tra l’attività produttiva dell’artista come attiva e quella dello spettatore o studioso come passiva; riconoscendo invece la conoscenza scientifica come attiva, in quanto basata su esperimenti. Tutte queste considerazioni sono, dal punto di vista di Dewey, incoerenti sia tra loro che in relazione a quella che è l’esperienza, che egli va analizzando. Considerando la vera conoscenza come contemplazione, tutte le arti (di artisti e artigiani inclusi) sarebbero qualcosa di inferiore alla scienza, addirittura coloro che producono arte sarebbero inferiori a coloro che la contemplano anche solo superficialmente. Dewey propone allora una alternativa:

Se, invece, non la conoscenza, ma l’arte rappresenta lo sbocciare conforme a scopi dell’esperienza, il coronamento e il perfezionamento della natura, mentre la conoscenza è solo il mezzo attraverso cui l’arte, includendo al suo interno

qualsiasi forma di pratica, può raggiungere il suo sviluppo più pieno, allora la natura e la vita sono rappresentate nel modo migliore dall’artista121.

119 J. Dewey, Experience and nature, op. cit., cap. 9, pp. 354 e seguenti.

120 La visione di Dewey dell’arte classica non è esattamente quella di Hegel: per quest’ultimo si parla

di un’ideale di bellezza (definita chiaramente come perfetta ed equilibrata compenetrazione di forma e contenuto), di un modo adeguato e riconosciuto di rappresentare la verità appartenente ad un popolo in una precisa epoca. Dewey fa invece riferimento all’arte classica come produzione manuale e all’artista come artigiano, ponendo l’accento sul fatto che costui ricoprisse una posizione inferiore all’interno della società.

In Experience and Nature afferma che l’unica distinzione che vale la pena fare non è quella tra teoria e pratica, che porta alle conseguenze sopra citate, ma quella tra quelle modalità pratiche non intelligenti, nel senso di non intrinsecamente e immediatamente godibili, e quelle che invece sono pregne di significati di cui godere. Non bisogna confondere l’intento deweyano con una sorta di estetizzazione dell’esperienza nel senso di consacrazione di essa ad un godimento sensibile immediato e quindi superficiale. L’arte è definita come attività carica di significati (activity charged with

meanings)122, che rende possibile un suo godimento immediato, che non è un godimento in senso meramente fisico, che darebbe vita ad una sorta di edonismo. Bisogna intendere ciò secondo la concezione deweyana di esperienza e la connessione di essa con l’esperienza estetica. Le dicotomie che Dewey vuole elidere provengono dalla più ampia divisione tra natura ed esperienza, come se quest’ultima fosse un qualcosa di già presente e disponibile all’umano. L’esperienza per Dewey non è qualcosa di avverso alla natura, che si impone su di essa provocando un distacco tra questa e l’uomo. Al contrario, essa è il modo che l’uomo ha per addentrarsi nella natura in maniera ulteriore e interagire con l’ambiente che lo circonda, senza rimanere uno spettatore passivo. L’arte viene dunque intesa come attività che è allo stesso tempo strumentale e di perfezionamento123, nel senso di una compiutezza dell’esperienza che va ben oltre il soddisfacimento immediato dei bisogni sensibili.

Non si può negare, afferma Dewey, l’esistenza di attività che non presentano un godimento in se stesse, come nella maggior parte dei lavori (in casa, in fabbrica, in laboratorio, ecc.). Questo genere di attività viene definito utile e, secondo Dewey, andando ad analizzare il motivo di questa definizione, ovvero esaminando le conseguenze a cui porta ciascuna di queste azioni, saremmo probabilmente portati a chiamarle non più utili, ma deleterie (detrimental). Ciò che mettiamo in risalto è l’efficienza di queste azioni nel procurarci determinate comodità, al di là di quelle che sono conseguenze qualitative sulla nostra esperienza di vita. L’essere utili ha però a che fare anche con la soddisfazione di un bisogno, e caratteristico dell’umano in questo senso è proprio l’esigenza di carpire e apprezzare il significato delle cose, nonostante questo venga scartato nella definizione di utile che abbiamo appena visto. Viene messa da parte l’importante relazione con l’esperienza umana e la stessa cosa si protrae nella definizione delle opere d’arte. Le attività che cadono sotto la definizione di espressione

122 J. Dewey, Experience and nature, op. cit. p. 358.

123 I termini consummation e consummatory utilizzati da Dewey vengono resi rispettivamente come

perfezionamento e perfezionato, come nella traduzione di Matteucci della seconda edizione italiana di Arte come esperienza, Aesthetica edizioni, Palermo, 2010.

del sé (self-expression), cioè espressione personale, intima, sono qualificate

positivamente come libera espressione delle proprie emozioni, che si applica a tutto ciò che si intende con arte bella e che va a configurarsi facilmente come la produzione egotistica di una persona, cioè l’artista, che è in grado di fare ciò evitando di concentrarsi su occupazioni di altro genere124. Quest’ultimo punto ricorda la non molto felice conclusione che si può trarre dalla fine dell’arte hegeliana, secondo cui all’arte non rimane altro che essere il mero prodotto dell’espressione arbitraria di un individuo e che può ambire solamente a scopi di svago. Questo tipo di considerazione dell’arte però, fa notare Dewey, non tiene conto di un aspetto importante: l’arte è un processo che fa del mondo un posto diverso in cui vivere, e «implica una fase di protesta e una risposta compensatoria»125 ed è a causa di «impedimenti nella comunicazione dei

significati che la protesta diviene arbitraria e la risposta compensatoria finisce per essere volutamente eccentrica»126, dando vita a sperimentazioni tecniche che sfociano

nel bizzarro, se non nella provocazione vera e propria. È il caso di manifestazioni artistiche come quelle viste nella parte precedente, il Dadaismo e la Pop Art, le quali opere così ostinatamente fuori dall’ordinario provocano un giudizio negativo che le bolla come non appartenenti a quella che sarebbe la vera arte. Giudizio che Dewey non condivide, in quanto il distacco dai canoni ordinari porta alla nascita di nuove forme, che ci traggono in salvo «da quell’arresto e decadimento mortali chiamati arte accademica»127.

Dewey va oltre la convenzionale considerazione delle belle arti limitata a scultura, pittura, poesia e un certo tipo di musica. In particolare, va oltre l’opinione degli estetologi, opponendosi all’estetica di stampo kantiano, caratterizzata dal disinteresse del giudizio estetico e da una concezione di opera d’arte come avente finalità in se stessa128. Quello che emerge in realtà è che questi oggetti di immediata fruizione hanno il compito di ampliare l’orizzonte di visione e creare così nuovi canoni di apprezzamento che vengono poi confermati da ulteriori esperienze. Quasi come se il

124 J. Dewey, Experience and nature, op. cit., pp. 362-363. 125 Ivi, p. 363.

126 Ibidem. «It is owing to frustration in communication of meanings that the protest becomes arbitrary

and the compensatory response willfully eccentric».

127 Ivi, p. 364.

128 Kant nella Critica del giudizio definisce la contemplazione estetica come disinteressata, cioè che ha

a che fare con la semplice rappresentazione della cosa in quanto tale. Il giudizio estetico, che deriva dal sentimento di piacere come libero gioco di immaginazione ed intelletto, viene ad avere un rapporto intersoggettivo con i suoi oggetti, ovvero non è in alcun modo determinante, ma ha solamente una pretesa di validità a priori e universale, poiché non si basa su alcun concetto oggettivo. Questo porta alle definizioni ossimoriche del bello come piacere disinteressato, universalità senza concetto o finalità

senza fine. (AA. VV., Lineamenti di storia dell’estetica, La filosofia dell’arte da Kant al XXI secolo, Il

loro carattere non-strumentale venisse sottolineato per significare che in realtà vi è in essi una «efficacia strumentale indefinitamente ampia e diffusa»129. Quest’ultima considerazione sembra contradditoria, ma quello che Dewey vuole far emergere chiaramente è che l’arte è una comunione di strumentale e immediatamente fruibile: un oggetto solamente perfezionato (consummatory) porterebbe presto allo scemare dell’interesse verso di esso, mentre ciò che rende l’arte così rilevante nella vita umana è proprio la sua potenziale funzionalità per ulteriori esperienze di perfezionamento (consummatory experiences)130, motivo per cui non ha senso la distinzione tra arti belle e arti utili. Quest’ultime erano fuse insieme nel termine techne del pensiero greco, che distingueva però tali arti pratiche da ciò che era la vera conoscenza, cioè quella contemplativa, rivolta ad un mondo perfetto e immutabile – divisione al quale Dewey, come sappiamo, si oppone. In Esperienza, natura e arte emerge maggiormente la critica al pensiero moderno che, seppur conferendo al sapere pratico la capacità di generare conoscenza (gli esperimenti scientifici ne sono l’esempio), porta avanti la separazione tra l’arte cosiddetta bella e il mondo reale (delle cose utili, rilevanti ai fini del proseguimento della vita umana) considerando la prima un’attività disinteressata, che ha il fine in se stessa, in linea con l’ideale de l’arte per l’arte. Così definita, l’arte viene destinata ad un pubblico ristretto, composto di spettatori passivi. Questa visione viene contrastata da Dewey a partire dalla sua concezione di esperienza: nel primo capitolo di Experience and Nature egli afferma che «non è l’esperienza ad essere esperita, ma la natura»131, dunque a costituire l’esperienza sono le cose in quanto interagiscono tra loro e con l’organismo umano, che non si trovano quindi al di fuori dell’esperienza come qualcosa a sé stante. La natura è tutta l’esperienza, non esiste alcuna dimensione soprannaturale. In contrasto con quello che è un atomismo logico che considera la realtà come composta da unità che il soggetto pensante pone estrinsecamente in relazione, quello di Dewey è un umanismo naturalistico132, in cui si dà un intero nel quale esperienza e natura non sono separate: le cose costituiscono l’esperienza e sono anche il modo in cui vengono esperite. Non si ha più il soggetto inteso come qualcosa di estraneo al mondo, nella cui sfera privata vengono relegate emozioni e volizioni separandole dal mondo reale. A dare prova di questa concezione vi è proprio l’esperienza estetica, o meglio un’estetica dell’esperienza. È nell’esperienza artistica, infatti, che si ha l’intrecciarsi di attività e passività, di

129 J. Dewey, Experience and nature, op. cit., p. 366. 130 Ivi, p. 365.

131 Ivi, p. 4a. 132 Ivi, p. 1a.

percezione sensibile e pensiero, che la rendono l’esempio perfetto della connessione tra teoria e prassi.

Secondo una visione olistica dell’esperienza come adattamento dell’individuo all’ambiente con e in cui interagisce, si ha un processo continuativo e cumulativo, per cui l’arte è esperienza in quanto si mostra concretamente all’uomo e non può essere solamente teoria o astratta idealità. Non solo, l’arte è anche testimonianza dell’unità antropologica di aspetto cognitivo e sensoriale, emotivo e pratico, cosa che la rende il culmine dell’esperienza umana. La distinzione tra arte bella e arte utile è secondo Dewey assurda, poiché l’arte implica una «peculiare compenetrazione di significati e fini»133. Molti oggetti sono considerati utili a causa dello status sociale a cui sono legati: accade spesso che utensili di uso quotidiano vengano importati dalla cultura di origine ad un’altra, dove vengono considerati delle rarità ed elevati al rango di opere d’arte, magari esposti addirittura nei musei. Ci si trova a fare una distinzione tra ciò che è utile, nel senso che la percezione del significato è connessa ad altri fini, e ciò che è arte bella in quanto le possibilità di utilizzo sono solamente subordinate a quella che è la percezione dell’oggetto in quanto tale. Secondo Dewey, l’unica distinzione legittima è quella tra buona e cattiva arte, cioè secondo la soddisfazione o meno dei requisiti dell’arte e che può perciò essere applicata sia ad oggetti utili che ad oggetti

belli. La conclusione di Dewey è che «l’arte bella, consapevolmente intrapresa come

tale, è, per qualità, strumentale in modo specifico» e che «l’arte bella è un dispositivo di sperimentazione impiegato per l’educazione»134. Vediamo quindi emergere

l’aspetto formativo dell’arte, in un’estetica dell’esperienza dove si intersecano teoria e prassi e che di conseguenza non separa le opere in strumentali e meramente contemplative. Dewey fa infine riferimento alla dimensione universale dell’arte:

L’arte è grande nella misura in cui è universale, vale a dire in misura dell’ampiezza e profondità delle uniformità della natura che rivela e impiega; posto che, però, le uniformità della natura siano applicate in modo originale a oggetti o situazioni concreti. I soli oggetti, le sole intuizioni e le sole percezioni che non possono mai appassire e non diventano mai triti sono quelli che affinano la nostra visione per nuove e impreviste incarnazioni della verità che comunicano. La “magia” della poesia – e l’esperienza pregnante ha qualità poetica – consiste

133 J. Dewey, Experience and nature, op. cit., p. 377. «a peculiar interpenetration of means and ends»

(traduzione mia). Precedentemente, Dewey afferma che l’errore dell’estetica che distingue la vera arte come avente un fine in sé, risiede nell’abitudine di chiamare col nome di significati (means) cose che non sono assolutamente dei significati, ma che sono solamente antecedenti esterni e contingenti. Inoltre, vengono chiamati fini o scopi (ends) cose che non lo sono se non accidentalmente, poiché non sono affatto compimenti (fulfilments) o perfezionamenti (consummatory) dei significati, ma semplicemente gli ultimi termini di un processo. «I significati sono sempre almeno condizioni causali; ma le condizioni causali sono significati solo quanto possiedono un requisito aggiunto; vale a dire quello di essere esercitati liberamente, a causa di una consapevole connessione con conseguenze che sono state scelte» (p. 366, traduzione mia).

precisamente nel rivelare il significato di ciò che è vecchio, realizzata tramite l’esibizione di ciò che è nuovo. Da essa irradia una luce che non ha mai potuto splendere sul mare o sulla terra, ma che, da un certo momento in poi, costituisce una durevole illuminazione delle cose135.

L’universalità dell’arte è collegata alla sua capacità di perfezionamento dell’esperienza umana, tutt’uno con la natura che essa rivela e impiega: rivela dei significati e ne permette l’utilizzo e con ciò il loro protrarsi nel futuro, per le nuove e

impreviste incarnazioni della verità. Quest’ultima non è una verità intesa

hegelianamente come la verità dello spirito che trova adeguata espressione nell’arte solamente in un determinato momento storico. In Dewey l’arte non trova la sua fine alle porte di un’epoca o tanto meno in determinate forme d’arte, ma è anzi proprio il motore del processo di sviluppo storico: «La storia dell’esperienza umana è una storia di sviluppo delle arti»136, laddove il processo scientifico non emerge per separazione, ma per distinzione tra le diverse arti. Per questo, una teoria dell’arte che non considera quest’ultima come qualcosa a sé, distaccata dal mondo reale, è una teoria che esplora l’esperienza nel suo svolgersi dinamico e cumulativo; esperienza che «celebra nell’arte la propria pienezza vitale»137. In questo senso viene messa in questione la divisione tra

pensiero e sensibilità, più in generale tra mente e corpo: con la creazione artistica e la sua fruizione si ha l’integrazione di mondo fisico e attività cosciente, che è «la qualità evidente dell’esistenza nel momento in cui la natura è maggiormente libera e attiva»138.