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L’arte e la società umana

Parte III – Estetica pragmatista e arte popolare

4. L’arte e la società umana

Arte come esperienza non indica che l’arte è direttamente tutta l’esperienza, ma che la

compenetra, facendola diventare esperienza estetica, perfezionandola. Il materiale che viene trasformato è sempre materiale umano, quindi sociale. L’esperienza estetica è per Dewey la celebrazione dello sviluppo di una civiltà, dunque anche il metro di giudizio definitivo su di essa. Come egli afferma nel saggio Individualità ed esperienza,

la libertà o individualità non è un possesso originario, un dato di fatto, ma una graduale conquista, per cui è necessario lottare154; la stessa cosa vale per l’arte, che è una conquista per la civiltà umana che la crea e ne usufruisce, facendosi allo stesso tempo forgiare da essa.

L’arte si trova a crescere in una società (quella di Dewey, come quella che descriverà più avanti Shusterman) che divide tra utile e piacevole, tra lavoro e godimento estetico; cosa che riflette un’ulteriore divisione tra classi sociali, oltre che quella tra arte elevata e arte popolare. È però proprio dell’indole artistica di andare oltre le convenzioni: la mente creativa trasforma qualsiasi materiale in una esperienza nuova, senza alcuna restrizione o norma morale. L’unica limitazione (non restrittiva), afferma Dewey, è l’interesse dell’artista. L’arte è in grado di permeare tutti gli aspetti dell’esperienza, è un intero che allo stesso tempo fa parte di un intero più grande, cioè l’universo. Ci trasporta in un mondo diverso da quello in cui viviamo, ma che ne rappresenta la realtà più profonda. L’arte ha la capacità di elevare quel senso di appartenenza al mondo che è proprio di ogni esperienza. In essa mezzo e fine si fondono: questo è ciò che la rende estetica e non meramente meccanica155. Infatti, come notato nel paragrafo precedente, ogni arte ha un suo medium e ciò non è solamente un mezzo nel senso comune del termine, poiché si identifica appunto con un fine intrinseco. Ancora una volta vediamo come aspetto materiale e spirituale (per usare una terminologia hegeliana) si compenetrino nell’opera d’arte senza distinzione d’importanza e come questo aspetto conferisca all’arte una importante funzione a livello sociale e, più in generale, umano. Secondo Dewey è l’arte a determinare la continuità della cultura nel progredire e succedersi delle civiltà: queste continuano a vivere nelle opere sorte al loro interno, che appassionano e coinvolgono gli umani di qualsiasi tempo. Miti, riti e cerimonie avevano un valore non esclusivamente estetico: essi univano «il pratico, il sociale e l’educativo in un intero unitario dotato di forma estetica»156, riuscendo quindi a

mostrare agli individui dei valori in maniera efficace. La censura di Platone verso gli artisti è in questo senso la riprova dell’effettivo potere sociale dell’arte (come già osservato precedentemente con Danto). Potere intuito sin da subito anche dalla Chiesa, che per lungo tempo è stata mecenate di grandi opere e costruzioni artistiche, ma sempre prestando attenzione all’esercitare un rigido controllo sugli artisti, realizzando severamente la censura platonica.

154 Cfr. J. Dewey, Individualità ed esperienza, in Esperienza, Natura e Arte, op. cit., p. 30. 155 Cfr. J. Dewey, Art as Experience, op. cit., Capitolo 9, pp. 154 e seguenti.

Ogni cultura ha un suo patrimonio artistico peculiare, coerentemente col fatto che l’arte permea l’esperienza e non si mostra come un’entità in sé, distaccata dallo svolgersi degli eventi. Questo pone un problema: poiché è impossibile riprodurre l’esperienza di un popolo di cultura diversa, allora non possiamo fruire realmente della sua arte. Dewey risponde portando questa questione all’estremo: l’esperienza artistica è l’interazione del sé col prodotto artistico, dunque essa sarà diversa anche da persona a persona. La fruizione di un’opera non è qualcosa di meramente passivo, ogni individuo infatti aggiunge all’opera qualcosa di diverso. Ciò che rende un’esperienza estetica non è il fatto che sia identica per tutti in ogni tempo. Cosa significa allora l’arte di un popolo per uno straniero? Dewey affronta qui il tema dell’interpretazione della differenza tra opere d’arte appartenenti a contesti e periodi diversi. Essendo l’arte frutto dell’interazione tra organismo e ambiente, quindi parte di quello che è l’adattamento dell’uomo al mondo esterno, essa non può essere compresa se presa come qualcosa a sé. Al contrario, essendo radicata in un contesto, è essa stessa la chiave per accedervi. Porta dunque ad un ampliamento della nostra esperienza tramite il confronto con un’altra. «Le opere d’arte sono mezzi con cui, attraverso l’immaginazione e le emozioni da loro suscitate, penetriamo all’interno di forme di relazione e partecipazione diverse dalle nostre»157. Possiamo ribadire ancora una volta come l’arte non sia semplicemente il frutto individuale di un soggetto, destinato a sterile intrattenimento e godimento fine a se stesso: l’arte deriva dall’esperienza ordinaria e ne trasforma la materia in un’esperienza integrale e in questo senso comunicabile158. Il linguaggio con cui l’arte comunica ha ovviamente un’universalità che il linguaggio comune non può raggiungere (per via delle barriere linguistiche), testimoniata in particolare dal potere trascinante della musica (Dewey si riferisce quasi sicuramente alla musica come melodia senza testo).

Ogni cultura ha un’individualità che la contraddistingue, ma quando entra in relazione con un’altra si crea una continuità. Questo senza che l’esperienza perda il proprio

157 Ivi, p. 347. Confrontando l’impostazione di Dewey con quella di Danto, nonostante il tentativo di

quest’ultimo di dare una definizione essenzialista dell’arte (che probabilmente Dewey avrebbe rifiutato, data la sua opposizione al concetto di arte intesa come qualcosa a sé stante), si può trovare una connessione tra l’arte intesa da Dewey come chiave di accesso ad una cultura e l’idea di Danto per cui interpretazione e godimento dell’opera si intersecano a vicenda. Per interpretare un’opera d’arte secondo Danto bisogna carpirne il significato, che non può in nessun modo essere slegato dal contesto storico-sociale. In Dewey troviamo un elemento ulteriore, cioè il potere dell’arte di farci così penetrare nel tessuto di una civiltà diversa da quella di appartenenza, che trae la sua forza dal fatto di riuscire a coinvolgere l’individuo fornendogli un’esperienza pregna di significato, a cui partecipa attivamente.

158 Cfr. D. Formaggio, L’estetica di John Dewey, op. cit. Formaggio sottolinea inoltre l’aspetto

innovativo di Dewey nel trattare il tema dell’arte ed elogia il valore di prospettiva umana e sociale che assume Arte e esperienza, associandolo ad un più ampio umanesimo, inteso scientificamente come lotta contro i dogmatismi, che ha come fine la libertà umana.

carattere, ma al contrario in modo tale da ampliarne la significatività. Dewey paragona questo processo a ciò che avviene quando entriamo in relazione con un’altra persona, conoscendola e comprendendola. Come nell’amicizia, con cui assimiliamo idee e modi di una persona instaurando un legame che non sarebbe riducibile alla semplice conoscenza di essa, ma che è il risultato di un’interazione che avviene tramite l’immaginazione, che fa sì che la comprensione di un altro da noi amplifichi il nostro essere. La stessa cosa accade con l’arte: la fruizione delle opere è un coinvolgimento emotivo e riflessivo, che crea un confronto attivo con espressioni di individui e civiltà diverse. Questo dà vita ad un’esperienza compiuta, che non è solo la soddisfazione immediata di un bisogno: si ha quello che Dewey chiama perfezionamento dell’esperienza. Quest’ultima definizione è ciò che caratterizza l’esperienza estetica: anche nel caso di oggetti utili. Questi vengono comunemente separati dagli oggetti d’arte bella, così come tutto ciò che è meccanico viene posto agli antipodi dell’estetico. La produzione industriale tramite macchinari toglie certamente libertà all’artigiano, che è capace di immettere in una certa misura dei valori individuali nell’oggetto che crea manualmente. Questo però, secondo Dewey, non impedisce del tutto l’integrazione dell’arte nella civiltà. Non si tratta della buona costruzione di un oggetto, che gli conferisce una bella forma, ma della sua capacità di generare un’esperienza più ampia, perfezionata. Questa capacità è ciò che lo rende un oggetto estetico. In questo contesto Dewey passa a considerazioni di tipo sociale-politico, riguardanti la situazione dei lavoratori nell’industria e il problema della divisione dualistica tra lavoro e piacere: per risolverlo non basta modificare salari e orari di lavoro, aumentando le ore libere dedite allo svago. C’è bisogno di una trasformazione qualitativa a livello sociale, che renda il lavoratore maggiormente partecipe nella produzione e fruizione degli oggetti. È l’esperienza a dover essere modificata, migliorata, per determinare la qualità estetica delle cose prodotte. La produzione meccanica non per forza toglie coscienza ai lavoratori del significato della loro produzione o della soddisfazione del loro lavoro; a limitare la qualità estetica dell’esperienza produttiva sono invece le condizioni psicologiche dovute al controllo oligarchico della produzione in vista di un guadagno privato. La soluzione politica a ciò sta nel dare la libertà a chi svolge lavoro utile di guidare i processi di produzione e quindi di poter godere dei frutti del lavoro collettivo. «Finché l’arte sarà il salone di bellezza della civiltà, né l’arte né la civiltà saranno al sicuro»159; l’esperienza artistica

non deve essere relegata ad un ambito elitario, il suo accesso deve essere possibile a tutti e con ciò deve poter trarre il materiale da qualunque fonte. Per questo il discorso sull’arte non deve limitarsi a considerare la visione personale dell’artista estendendola alla società intera.

Dewey vede nel modo di comunicare dell’arte una funzione istruttiva, che non deve però essere esercitata attraverso teorie morali individualistiche che cercano di attribuire alle opere un effetto morale diretto, in modo tale da inculcare un determinato giudizio morale. Il modo di comunicare proprio dell’arte è efficace perché fa perno sull’immaginazione, facoltà che dal punto di vista di Dewey è difficilmente associata all’idea di istruzione, ancora troppo prosaica e distaccata da quelle che sono le emozioni umane (bisogna collocare queste affermazioni al contesto in cui l’autore ha vissuto e scritto). Dunque anche la morale ha una relazione problematica con l’arte a causa della compartimentalizzazione che affligge teoria e pratica nella società, che verrebbe risolta se l’arte cessasse di essere considerata un mero svago relegato a momenti di piacere a se stanti. La capacità di proiezione immaginativa dell’arte fornisce all’artista e al fruitore – che non è mai solo passivo – la percezione dell’unione del possibile col reale, accrescendo la coscienza senza bisogno di precetti e controlli. Nell’arte infatti non si trovano meccanismi di ricompensa e punizione, tanto meno una netta divisione tra bene e male e di conseguenza tra buoni e cattivi, motivo per cui è stata spesso contrastata dai «custodi del costume», ma è proprio questa sua caratteristica a conferirle un potere «liberatorio e unificatore»160. Potere che è esperibile grazie a due fattori che abbiamo visto e sottolineato nella parte precedente: la materialità dell’arte – che è una materialità incarnante un significato – e la sua comunicabilità. Danto parla infatti di significati incarnati e sogni ad occhi aperti, quindi condivisibili, che rendono possibile l’esperienza artistica come un’esperienza sensibile che non si limita però ad uno stimolo meramente fisico e che porta ad un confronto tra visioni diverse del mondo. Riallacciandoci alla conclusione della parte precedente: l’arte dopo la fine dell’arte non solo è più libera, ma è anche in grado, attraverso questa libertà, di riscattare la sua posizione all’interno dell’esperienza umana, da cui sorge e verso cui si rivolge, perfezionandola.