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Dewey’s Hegel

Parte III – Estetica pragmatista e arte popolare

5. Dewey’s Hegel

Prima di passare alla trattazione dell’arte popolare è necessario affrontare quello che è il filo conduttore di questo elaborato, cioè la morte dell’arte in Hegel, alla luce dell’estetica di Dewey. Tra i due autori si possono individuare sia punti di contatto che divergenze, tenendo comunque presente una certa influenza della filosofia hegeliana nel filosofo americano161.

L’opposizione di Dewey al pensiero dualista non può che essere accompagnata dalla critica a quelle estetiche che considerano l’arte come qualcosa di distaccato dall’ordinario, dunque anche all’interpretazione in tal senso dell’estetica hegeliana. Il ricongiungimento dell’arte all’esperienza si basa su una visione naturalistica e antropologica dell’esperienza estetica, che la ricollega all’interazione dell’uomo con l’ambiente e con la società. In Hegel non troviamo certo lo stesso approccio naturalistico, ma si può comunque citare il riferimento alla dimensione emotiva dell’umano caratterizzante l’esperienza estetica (la contemplazione degli impulsi162),

che fa dell’arte la prima maestra dei popoli; conclusione quest’ultima da cui emerge il più evidente collegamento dell’arte con la società umana, non è distante dalla funzione istruttiva che Dewey vede nell’arte163. Infatti, Hegel non tratta l’arte come un oggetto

a sé stante, ma in relazione alla struttura sociale in cui essa è inserita, senza ricondurla all’espressione di una cerchia privilegiata di individui164. Dunque, troviamo in

entrambi gli autori un’impostazione antidualistica165, contraria all’autonomia dell’arte

come separata dalla vita ordinaria. In Hegel l’arte è uno dei momenti del percorso dello spirito assoluto verso il suo autoriconoscimento, ovvero una delle manifestazioni attraverso cui la civiltà umana perviene all’acquisizione sempre più compiuta della coscienza di se stessa. Ciò che impedisce all’arte di continuare ad essere espressione

161 Cfr. R. Dreon, Dewey After the End of Art, Evaluating the “Hegelian Permanent Deposit” in

Dewey’s Aesthetics, in Contemporary Pragmatism, vol. 17, issue 2-3, Brill Rodopi, 2020, pp. 146-169.

L’autrice riporta la scoperta recente di una lezione di Dewey sull’estetica di Hegel nel 1891, che conferma la sua conoscenza del testo hegeliano e quindi l’influenza di esso su Art as experience. Vi è dunque un confronto tra i due autori, con una riconsiderazione della morte dell’arte.

162 Cfr. supra, p. 14. 163 Cfr. Supra, pp. 71 e 82. 164

Ivi, p. 160. «There is an important convergence between Hegel and Dewey when it comes to the idea

that the arts are primarily a means to shape and share common cultures and civilizations rather than the expression of privileged individuals, as increasingly suggested by the rhetoric of the romantic artist».

165 Ivi, p. 155. L’autrice fa notare che la definizione di arte come apparenza sensibile dell’Idea presente

nelle Lezioni di Estetica può essere interpretata secondo il pregiudizio platonico per cui l’arte sarebbe solo l’ombra di un’Idea più chiara e più vera, ma ciò viene messo in discussione secondo due punti: il primo è che studi filologici hanno dimostrato come tale definizione sia in realtà frutto del rimaneggiamento di Heinrich G. Hotho, l’allievo di Hegel editore del volume delle Lezioni. In secondo luogo, tale definizione non è da interpretarsi negativamente come presenza di un’opposizione con una realtà più autentica; l’aspetto sensibile dell’opera d’arte fa parte del processo di auto-manifestazione dello spirito in maniera positiva.

adeguata dello Spirito è il suo aspetto materiale, che ne determina così il carattere passato; nonostante sia proprio la percepibilità attraverso i sensi che fa dell’arte un elemento in grado di coinvolgere la totale natura dell’umano166. Come interpretare questa conclusione in un confronto con l’estetica di Dewey? L’elemento in cui l’arte

muore per Dewey è la sua compartimentalizzazione o musealizzazione, che non solo

la rende un elemento autonomo rispetto alla struttura sociale, ma fa anche sì che l’interazione con essa sia limitata al piano estetico in senso puramente contemplativo. Interazione questa di tipo intellettuale, che ben combacia con il terzo momento dello spirito assoluto, in cui vi è un primato del sapere filosofico e scientifico riconosciuto dall’arte stessa, a cui non resta che produrre oggetti che possono al massimo essere da stimolo al pensiero (aspetto avveratosi nelle opere avanguardistiche, come quelle prese in esame da Danto). L’arte quindi giunge alla sua fine, per Dewey, nell’isolamento dal contesto sociale a cui appartiene, che porta ad un’interpretazione di essa senza alcun riferimento all’esperienza. La conseguenza peggiore di ciò è la perdita della possibilità di fare un’esperienza compiuta, perfezionata, cioè esperita anche esteticamente. Il periodo classico rappresenta nell’estetica di Hegel la perfetta concordanza tra comunità e arte, dove la prima si riconosce nei prodotti della seconda. Come già notato però, questo periodo è caratterizzato da una mancanza di libertà, che riguarda i singoli in generale e non solo l’artista, la cui arte deve rappresentare contenuti predeterminati. Con il passaggio alla modernità vediamo emergere la libertà individuale prima assente, affiancata da un mutamento dell’esperienza artistica, che non è più parte integrante di una serie di valori comunemente condivisi, eliminando così la possibilità di una comunità fondata esteticamente. Abbiamo già affrontato con Danto lo scenario del mondo dell’arte nel contesto pluralista, appurando che sarebbe anacronistico, nonché nocivo, auspicare un ripristino della condizione classica dell’arte e della comunità, cosa di cui Dewey è pienamente consapevole. La sua critica alle teorie isolazioniste dell’arte infatti non è da intendersi come il desiderio di ritorno ad un certo tipo di comunità ideale, tuttavia non vi si può non scorgere l’intento sociale, potremmo quasi dire politico. L’interpretazione dell’arte a partire dall’esperienza umana, cioè dai suoi bisogni a livello biologico e soprattutto culturale, non vuole minare l’autonomia artistica per riportarla sotto le veci di un’etica condivisa, ma vuole dimostrarne il potenziale sul piano sociale in quanto attività. Per Dewey ogni esperienza ha una fase

166 Ivi, p. 159. «For sure, from a metaphysical point of view, the sensible matter through which the spirit

becomes aware of itself in art is an obstacle to be overcome. However, art also constitutes a privileged position from an anthropological point of view, because according to Hegel its sensuous character […] represents the moment when the spirit is closest to our embodied nature».

estetica e l’esperienza estetica propriamente detta è lo sviluppo intenzionale e consapevole di tale fase167, che è possibile proprio in quanto non viviamo né in un mondo di mero flusso senza connessione, né in un mondo statico privo di cambiamenti. Viene quindi messa in evidenza la differenza tra quella che è una fase primaria e il suo deliberato sviluppo, che avviene attraverso l’organizzazione di energie provenienti dall’esperienza umana del mondo e non per una qualche essenza trascendente168.

Questa piena realizzazione di un’esperienza non sarebbe possibile tramite un’arte fatta di contenuti prefissati, per quanto condivisi dalla comunità etica, ma nemmeno con un’arte frutto di espressione esasperatamente soggettiva o dedita ad un intrattenimento superficiale. O meglio, niente vieta che questi modi di fare arte sussistano, ma nessuno di essi rappresenta in sé il significato dell’attività artistica per l’esperienza umana. Con la fine dell’arte hegeliana non svanisce comunque del tutto il potenziale sociale dell’arte: ricordiamoci che a costituire il contenuto dell’arte romantica è proprio l’interiorità dell’animo umano. Certo, questo elemento da solo non basta a ridarle una funzione sociale, ma rappresenta comunque un punto di connessione con la ridefinizione del ruolo dell’arte in tal senso, che trova terreno nel pragmatismo estetico di Dewey e poi in quello di Shusterman. La possibilità dell’arte di rivestire un ruolo fondamentale della società umana è evidente nell’arte popolare, le cui radici nei bisogni latenti di una comunità la rendono una solida espressione della stessa, ma senza che ciò avvenga in maniera normativa o secondo contenuti predeterminati.

167 J. Dewey, Aesthetic Experience as a Primary Phase and as an Artistic Development, in The Journal

of Aesthetics and Art Criticism, vol. 9, no. 1, 1950, pp. 56–58. Archivio online JSTOR,

www.jstor.org/stable/426103. Dewey risponde alla critica di Romanell in P. Romanell, A Comment on

Croce's and Dewey's Aesthetics, in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, vol. 8, no. 2, 1949, pp.

125–128. Archivio online JSTOR, www.jstor.org/stable/426595. Romanell accusa Dewey di confondere l’arte con un tipo particolare di esperienza e con una fase precisa di essa, cioè di affermare due forme di esperienza estetica entrando quindi in contraddizione. Dewey risponde chiaramente di parlare sia di esperienza estetica e di fase estetica dell’esperienza, dal momento che la sua tesi si basa sul riconoscimento che qualsiasi esperienza completa è estetica nella sua fase perfezionata (consummatory phase).