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Che cos’è l’arte

Parte II – L’interpretazione di Arthur Danto

6. Che cos’è l’arte

La definizione di arte legata ai concetti di aboutness e embodiment viene sviluppata in

What art is (2013)103, libro contenente importanti sviluppi della filosofia di Danto. Il

punto di partenza è che l’arte deve essere un concetto chiuso: ci devono essere delle proprietà omnicomprensive che spieghino perché l’arte è tale ed è universale, dall’antichità fino ad oggi. Questa essenza si dispiega attraverso la storia dell’arte, che Danto ripercorre mettendone in risalto alcuni passaggi salienti, per dimostrare appunto come l’essenza dell’arte sia sempre stata la stessa.

Abbiamo già visto, in particolare con il Dadaismo e successivamente con la Pop Art, l’utilizzo di oggetti della vita quotidiana nel mondo dell’arte, che solleva la questione su come distinguere l’arte dagli oggetti reali che non sono arte, ma che possono essere usati come opere d’arte104. Joseph Beuys (pittore e scultore tedesco), negli anni ’70

dichiara che tutto può essere arte e difatti ciò emerge dal pluralismo artistico che anche Danto descrive. Introdurre la realtà nell’arte ha cambiato il modo in cui le persone vedono l’arte, che veniva considerata come imitazione della realtà105. La domanda

sull’arte si è trasformata rispetto al passato, poiché l’arte ha iniziato a rivelare la sua

verità interiore, più profonda (Danto fa un paragone con il rivelarsi dello Spirito nella Fenomenologia di Hegel). L’arte contemporanea è un’arte che risponde alla domanda

su se stessa, di qui l’importanza della filosofia dell’arte.

L’innovazione di Duchamp sta nell’aver creato opere utilizzando oggetti che non erano certo considerati “belli” e soprattutto nell’aver creato per tali oggetti un nuovo modo di essere pensati (a new thought for that object). Nell’arte contemporanea non ha più importanza nemmeno la bellezza estetica. Mentre per quanto riguarda Warhol, Danto, come visto in precedenza, considera in particolare l’opera Brillo Box, definita come una stele di rosetta che ci rende in grado di avere a che fare con due linguaggi: quello della realtà e quello dell’arte. Ciò suscita non poche domande: dov’è la linea di confine dell’arte? cosa distingue l’arte dal resto, se tutto può essere arte? Se tutto può essere arte, non è conseguenza certa che tutto sia arte. Il paradigma imitativo come abbiamo visto non può più essere ciò che definisce l’arte e lo si vede appunto in quella

103 A.C. Danto, What art is, Yale University Press, New Haven and London, 2013. Traduzione italiana

in A.C. Danto, Che cos’è l’arte?, Johan & Levi, Monza, 2014. Le citazioni qui presenti sono di mia traduzione.

104 È importante tener presente la differenza con cui le due correnti artistiche inseriscono gli oggetti nel

mondo dell’arte: i readymades sono letteralmente oggetti comuni importati nel mondo dell’arte, mentre le opere della Pop Art riproducono elementi della mondanità imitandoli, generalmente raffigurando prodotti commerciali.

105 A.C. Danto, What art is, op. cit., p. 20. «Bringing reality into art, when reality had been what art was

contemporanea, piena di controesempi. Una definizione di arte come quella platonica (arte come copia della copia) è immobile, la considera come se non avvenisse alcun cambiamento, non dice niente sul futuro dell’arte. Per Danto c’è bisogno di un cambiamento di paradigma, che porti ad avere una definizione unica, che renda merito dell’arte in maniera complessiva.

Quella che Danto vuole dare all’arte è una definizione essenzialista, a differenza per esempio di quella di Morris Weitz. Nel saggio The role of theory in Aesthetics106 Weitz afferma che l’arte non può che essere un concetto aperto. Ogni teoria estetica mira a definire la natura dell’arte, cercando quindi di formulare una teoria che, superando quelle precedenti, stabilisca una definizione di arte con proprietà necessarie e sufficienti. Secondo Weitz, bisognerebbe sostituire la domanda sulla natura dell’arte con altre domande che ci facciano conoscere meglio cosa sia l’arte, poiché una definizione di arte composta di proprietà necessarie e sufficienti è illogica. L’estetica cerca vanamente di definire ciò che non è definibile e che non ha proprietà necessarie e sufficienti, cioè un concetto aperto. Questa teoria viene spiegata da Weitz riprendendo le Ricerche filosofiche (1953) di Wittgenstein e la definizione di gioco: conoscere cosa sia un gioco non significa darne una definizione precisa, ma essere capaci di riconoscere cosa appartenga o meno al concetto di gioco; ciò viene fatto valere per l’arte. Danto risponde sostenendo che bisogna avere una mente aperta, più che un concetto aperto. È vero che la storia dell’arte ci fa pensare all’arte come un concetto aperto, per la diversità di stili, correnti ed opere che si sono susseguiti e che talvolta sembrano contraddirsi l’un l’altro, perciò i filosofi non riescono più a trovare un insieme di proprietà visive in comune (a set of common visual properties), anzi, afferma Danto, hanno smesso di cercare. In che senso quindi l’arte deve essere un concetto chiuso e ad essere aperto è invece il pensiero che la indaga? Il punto di svolta della questione è da ricercarsi in proprietà non visibili e che sono da sempre state tali. Per spiegarlo, torniamo alle famose scatole Brillo di Andy Warhol: cosa distingue quelle all’interno del museo, da quelle degli scaffali del supermercato? Esternamente, non ci sono differenze visibili. Ci sono però differenze invisibili. O meglio, vi sono differenze che fanno riferimento a proprietà non visibili, che non appartengono cioè all’apparire dell’opera nella sua materialità.

Le opere d’arte hanno un significato che non è qualcosa di materiale, ma qualcosa che noi desumiamo o capiamo. I significati sono qualcosa di incorporato (embodied)

106 M. Weitz, The Role of Theory in Aesthetics, in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, vol. 15,

nell’oggetto, così Danto dichiara le opere d’arte embodied meanings, traducibile come

significati incorporati o incarnati cioè che prendono corpo. La parola embody indica

il rivestire una forma fisica da parte di qualcosa che fisico non è, come appunto un significato, qualcosa di non visibile che prende corpo, diventa visibile. L’opera d’arte è un oggetto materiale, di cui alcune proprietà appartengono al significato che ha, altre no. Ciò che l’osservatore deve fare è interpretare gli aspetti portatori di significato (the

meaning-bearing properties) in modo da intuire (to grasp) il significato a cui

intendono dare corpo. Il dare corpo a un significato è una proprietà che si applica a tutte le opere, da quelle antiche a quelle di Warhol. La definizione di Danto ha lo scopo di determinare l’artisticità (the artness) dell’arte: essa vale universalmente e si declina nelle varie culture in modi differenti, che bisogna imparare a interpretare107.

Ci troviamo appunto di fronte a un Danto essenzialista, volto cioè a trovare un’essenza dell’arte. Questa non è però da confondersi con un aspetto normativo, cioè come un imperativo verso cui le opere devono necessariamente volgersi. Se così fosse, sarebbe difficile mettere insieme le varie correnti artistiche e i vari modi di fare arte, differenti per periodo storico e per cultura. Quando Danto afferma che l’arte è un concetto chiuso e che è la mente ad essere aperta, si capisce che l’intento è quello di comprendere tutta l’arte, anche quella futura. A proposito del futuro dell’arte, bisogna prima fare i conti con la sua cosiddetta morte e con il pluralismo che caratterizza l’epoca contemporanea, dove le opere sono incommensurabili l’una con l’altra e il paradigma imitativo è definitivamente scaduto. In che senso l’arte muore? A morire è l’impianto idealistico con cui la filosofia interpretava l’arte, costituito dalla contrapposizione tra l’ideale e il reale, che considerava quindi l’arte imitazione della realtà. Con la Pop Art in particolare, l’arte trae i suoi soggetti proprio dalla realtà, annullando la distanza tra l’opera d’arte e il pubblico che la osserva. Non dovendo più sottostare al binomio di verità e apparenza, l’arte raggiunge una libertà che prima non aveva, un ruolo maggiormente attivo, che permette di sperimentare senza limiti.

La difficoltà posta dall’arte contemporanea nel trovare e spiegare le differenze tra le opere d’arte e gli oggetti del mondo ordinario, ricorda esempi filosofici come quello del contrasto tra il sogno e la percezione vera, per questo Danto propone un parallelismo con l’esperimento filosofico di Descartes nelle Meditazioni e nel

Discorso sul Metodo. Non riusciamo a distinguere, a livello percettivo, tra le Brillo

107 Si veda a proposito il saggio di Danto Language, Art, Culture, Text in The Philosophical

Disenfranchisement of Art, op. cit., p. 69. Danto chiarisce in che senso l’interpretazione dell’arte deve

box di Warhol e le Brillo Box del supermercato, poiché uguali, così come, quando

sogniamo, non riusciamo a distinguere il sogno dalla realtà. Così Danto arricchisce la definizione di arte aggiungendo la condizione di wakeful dreams, spiegandone così anche l’universalità: l’arte è come un sogno (dreamlike) nel senso che degli elementi del mondo reale vengono rappresentati come apparenze, ma in questo caso si tratta di un sogno ad occhi aperti, che ha quindi il vantaggio di poter essere un’esperienza condivisa. Afferma inoltre che non è possibile catalogare tutti i differenti modi in cui gli artisti rendono qualcosa un sogno (dream-ify), andando a ribadire come non ci sia più una modalità precisa con cui l’arte deve essere fatta. Lo sfondo è quello del pluralismo e, se vogliamo, anche del relativismo, ma a tenere insieme e definire l’arte in quanto tale è qualcosa che non possiamo ricercare nel modo in cui essa appare, ma nel significato che incarna.

Nel capitolo successivo, Restoration and Meaning, viene affrontata una discussione riguardante il restauro da un punto di vista filosofico, che verte in particolare sull’intervento di restauro avvenuto nel 1994 degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, oggetto di dibattiti e controversie. La questione che pone l’autore è se quest’opera di ristrutturazione abbia cambiato il significato dell’opera originale, dal momento che aveva evidentemente messo in risalto dei colori che precedentemente erano molto meno sgargianti. Danto è critico nei confronti dell’approccio all’opera da parte del responsabile del restauro G. Colalucci, che ha considerato l’affresco come un semplice oggetto su cui lavorare per recuperare una condizione originale. Per Danto l’errore sta nella mancanza di interpretazione dell’opera a vantaggio di una presunta oggettività che da sola sarebbe in grado di restituire in sicurezza il vero significato dell’opera. Da questa discussione emerge l’importanza dell’interpretazione critica di un’opera, cioè del significato che essa incarna (del suo embodied meaning), che in questo caso consente di svolgere adeguatamente il lavoro di restauro.