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L’estetica dell’arte popolare

Parte III – Estetica pragmatista e arte popolare

8. L’estetica dell’arte popolare

Il pragmatismo di Shusterman si oppone fortemente alla discriminazione dell’arte popolare come irrilevante e priva di gusto, criticando l’«esoterismo alienante» e le «pretese totalizzanti»186 dell’arte elevata, ma anche il distacco di questa dalla cultura

popolare. Infatti, afferma, il confine tra le due lo si vede già sfumare nel fatto che alcune opere d’arte popolare sono diventate dei classici nelle epoche successive alla loro produzione, nonché in alcune opere che sembrano collocarsi a metà strada tra i due presunti opposti. La sua apologia dell’arte popolare si muove riprendendo formulazioni di accusa all’arte popolare espresse in termini binari, al fine di utilizzarle proprio per smantellare la dicotomia tra arte popolare e arte elevata per giungere ad una nuova analisi delle varie arti. Egli afferma che è innegabile che l’arte popolare procuri una rilevante soddisfazione estetica anche ai cosiddetti intellettuali, che perciò non possono restare inermi di fronte alla sua degradazione, lasciando con indifferenza che venga protratta quella sorta di censura del potere artistico che ha avuto inizio con Platone. L’affrancamento dell’estetico dal monopolio intellettualista non avrà certo come conseguenza diretta l’emancipazione del gruppo sociale legato all’arte popolare, ma può quantomeno liberarci dall’idea di un godimento estetico ritenuto a torto riprovevole, che ci allontana non solo dalla comunità in cui viviamo, ma da noi stessi; oltre ad essere un’incentivazione per una più ampia riforma socioculturale187.

Shusterman indica quattro fattori che rendono difficile la difesa dell’arte popolare: in primo luogo il fatto che essa comporta il riconoscimento dell’accusa da parte della critica intellettuale, nonché la sua pretesa di risposta. Un’altra difficoltà deriva dalla strategia apologetica apparentemente democratica che giustifica l’arte non elevata come prodotto di personalità che mancano dell’educazione necessaria e dei mezzi economici per potersi dedicare a forme d’arte più raffinate. Per quanto possa avere il lodevole intento di spronare la società a garantire a tutti lo stesso livello di educazione, questa argomentazione non fa altro che indebolire l’oggetto stesso che cerca di difendere. Quest’ultimo infatti viene considerato come il prodotto di chi non riuscirebbe a fare di meglio per via del suo status sociale, con l’esito di venire solamente tollerato anziché celebrato per le sue caratteristiche estetiche. La terza difficoltà sta nella tendenza ad identificare l’arte elevata con i suoi capolavori, come se non ci fossero mai state opere mediocri, mentre allo stesso tempo quando si parla di arte popolare si prendono in considerazione solamente i suoi prodotti più

186 Ivi, p. 121. 187 Ivi, p. 122.

standardizzati, come se in essa non potesse mai manifestarsi alcuna originalità o finezza di gusto. Conseguentemente, l’ultimo problema deriva proprio dal fatto che il concetto di estetica viene male associato a ciò che è popolare, come se fossero due termini in contraddizione l’uno con l’altro. Certamente il termine estetico ha origine da un discorso intellettuale di apprezzamento raffinato di arte e natura, ma per Shusterman questo non conduce necessariamente ad una limitazione della sua applicabilità, anzi quello che egli vuole dimostrare è che l’arte popolare non solo non contrasta coi requisiti maggiori della tradizione estetica, ma è anche in grado di ampliarne il concetto, svincolandolo dall’idea di disinteresse e distacco dalla vita ordinaria.

La difesa continua prendendo le mosse da un assunto che mette in relazione problema estetico e problema sociopolitico: le accuse di pericolosità sul piano sociale rivolte all’arte popolare si basano su dei suoi presunti difetti estetici; cosa che, afferma Shusterman, non sorprende, dal momento che qualsiasi prodotto culturale è formato socialmente e politicamente188. La prima accusa prende di mira una presunta mancanza di originalità del prodotto della cultura di massa, che non può che sottostare a leggi di mercato che tendono all’omologazione delle tecniche di produzione a fini di guadagno. L’oggetto della polemica però non è tanto l’imposizione dall’alto che limita lo spazio di scelta e godimento estetico del pubblico, perché, come fa notare Shusterman, ciò è sempre avvenuto anche con l’arte elevata; si tratta dunque di una rivendicazione estetica sul valore dell’arte popolare. Anche il secondo insieme di accuse si rivolge al carattere estetico dell’arte popolare, negandolo: in particolare, l’argomentazione si basa sul fatto che la cultura popolare prenderebbe in prestito contenuti dall’arte elevata, degradandoli. Per Shusterman questo prestito non è altro che il sintomo dell’«interconnettività che arricchisce una tradizione culturale»189 e l’accusa si basa

ancora una volta sul presupposto che l’arte popolare sia priva di dignità a livello estetico. Ciò è alla base anche del terzo gruppo di critiche, che si riferiscono all’influenza nociva della cultura popolare sul pubblico, ritenendo che la sua arte non sia in grado di offrire un piacere estetico autentico, poiché incapace di esprimere un contenuto significativo. Infine, questa influenza negativa dell’arte popolare è ripresa nel quarto gruppo di accuse come causa della riduzione qualitativa della cultura, generatrice di un pubblico passivo ed omogeneo che ben si adatta alle tecniche di persuasione di massa dei totalitarismi. Anche questa imputazione viene ricondotta da

188 Ivi, p. 125. 189 Ivi, p. 126.

Shusterman al pregiudizio intellettualistico che attribuisce un valore estetico negativo all’estetica popolare giustificandolo come un difetto intrinseco. Quello che egli vuole dimostrare smantellando queste accuse non è certo una rivalutazione totale dell’estetica popolare come sempre valida e soddisfacente; sicuramente vi sono non solo oggetti d’arte popolare antiestetici (intenzionalmente o meno), ma anche modi di fruizione passivi e acritici. Questo però non significa affatto che l’arte popolare non abbia potenzialità estetiche e soprattutto costruttive a livello sociale. La difesa di Shusterman non si muove esclusivamente sul piano estetico e soprattutto il suo è un approccio migliorista, che tende cioè al miglioramento di ciò che va ad indagare e comprendere, focalizzandosi non sulla condanna, ma sulla critica costruttiva.

Tutte queste considerazioni negative sull’arte popolare trovano appoggio su una accusa fondamentale, ovvero quella di inautenticità: l’arte popolare non sarebbe in grado di offrire un’esperienza estetica degna di tale nome, ma soltanto un piacere vano e falso. Questo, fa notare Shusterman, deriva dalla presunzione dell’élite culturale di poter determinare se un’esperienza sia autenticamente estetica o meno, basata solo ed unicamente «sull’autorità dei suoi sostenitori e sull’assenza di fatto di un’opposizione»190. Laddove la mancanza di opposizione si rileva sia tra gli

appartenenti all’élite stessa, che tra coloro che ne sono esclusi, che ignorano l’effettività pratica di tali teorie. Shusterman presenta come antitesi l’esperienza della musica rock, a cui viene riconosciuta anche dai critici una forte capacità di attrazione, spesso resa causa di conseguenze negative sul piano educativo. Altro motivo di avversione a questo tipo di esperienza estetica è la sua caducità: in quanto trattasi di un piacere transitorio, non può che essere irreale, quindi inautentico. Nonostante si possa far risalire questa argomentazione a Parmenide, afferma Shusterman, sarebbe illogico «indurre l’irrealtà di qualcosa dalla sua caducità»191; un piacere è comunque tale anche se temporaneo. La caducità è un difetto che viene attribuito anche alla durata delle opere popolari nel tempo, ma, oltre ad essere troppo presto per giudicare ciò, bisogna anche considerare la divulgazione sistematica dei classici da parte della struttura educativa vigente, che non avviene certo analogamente per i contenuti della cultura popolare. Nondimeno è accaduto che quest’ultimi siano stati col tempo rivalutati come grandi classici, riservandone la fruizione all’élite culturale. Quello che identifica il valore con la permanenza, togliendo di conseguenza validità alle cose effimere, è soltanto un pregiudizio, probabilmente derivato da un passato in cui le

190 Ivi, p. 130. 191 Ivi, p. 131.

condizioni di vita precarie portavano a prestare particolare attenzione a ciò che era durevole. Secondo Shusterman ciò compromette la possibilità di miglioramento della nostra esperienza attraverso una più accurata integrazione di momenti piacevoli, che vengono così abbandonati ad un dominio esterno (fa l’esempio della pubblicità indottrinante). Si potrebbe aggiungere anche che tale pregiudizio mal coesiste con la società odierna (perlomeno quella occidentale), che riconosce il suo continuo cambiamento a livello sociale e il suo pluralismo culturale.

L’arte popolare viene condannata anche in quanto arte dalla struttura semplice, incapace di esigere una risposta attiva, venendo quindi recepita in maniera talmente passiva da confondere la soddisfazione con la conseguenza di noia e pigrizia. Shusterman mette in luce come questo derivi dall’identificazione riduttiva di sforzo inteso in senso generale e sforzo di tipo intellettuale, ritenendo pertanto autenticamente attiva soltanto la riflessione intellettuale. Basti pensare alla reazione fisica che si ha ascoltando musica rock per capire che si può avere una fruizione della cultura popolare tutt’altro che apatica e priva di reattività. Shusterman cita inoltre il termine funky, che nello slang afroamericano indica il poco piacevole odore sprigionato dal corpo mentre si scatena sul ritmo della musica e la cui etimologia rimanda alla cultura africana192, indicando appunto il sudore emanato dallo sforzo fisico. In questa commistione di faticoso e piacevole, emerge il ritorno alla dimensione corporea, che se per i critici è sintomo di inferiorità artistica, per la visione pragmatista è invece motivo di grande interesse. Questa visione intellettualistica secondo Shusterman si regge sul presupposto (di origine platonica) di una incompatibilità del sensibile con l’intellettuale, cosa che viene facilmente messa in discussione dall’umano stesso in quanto intelletto sensibile. Inoltre, aggiunge Shusterman, il fatto che un’arte sia passibile di godimento superficiale, non significa che le cose debbano stare così per forza.

Le argomentazioni di Shusterman che confutano il pregiudizio intellettualista verso l’arte popolare fanno riferimento al valore umano e sociale di quest’ultima, di cui non

192 «Il termine “funk(y)” è spesso associato al piacere, in particolare relazione al modo di agire e allo

stile. Comunque, “funk(y)” non è semplicemente informale slang. Questa parola inscrive un importante principio nella memoria della cultura nera. Secondo Robert Farris Thompson, “funk(y)” deriva dalla parola Ki-Kongo “lu-fuki”, che indica un disgustoso odore corporeo. Ma nella misura in cui questo odore viene prodotto dalla traspirazione indotta da uno sforzo vigoroso, “funk(y)” significa anche espressione onesta e integrità, perché il prodotto artistico e/o materiale che deriva da tale sforzo riflette un elevato livello di impegno verso il proprio lavoro» (The Funk Era and Beyond, ed. by T. Bolden, Palgrave Macmillan, New York, 2008, p. 15, traduzione mia). Anche Shusterman fa riferimento all’etimologia della parola, rifacendosi proprio a Robert Farris Thompson (Flash of the Spirit, Vintage Books, New York, 1984). Inoltre, è importante puntualizzare che funky si riferisce comunemente allo stile in generale, mentre il termine funk indica propriamente il genere musicale.

mancano le realizzazioni concrete. L’arte popolare, infatti, non è solamente una grande arma di distrazione di massa per evadere dalla vita reale e dai suoi problemi, al contrario è spesso un importante intermediario di sensibilizzazione verso cause politiche e umanitarie193. Oltre a ciò, l’accusa secondo cui l’arte popolare è in grado solamente di trattare contenuti superficiali e banali, si basa su due presupposti errati: il primo è che il pubblico a cui l’arte popolare è rivolta non sarebbe in grado di apprezzare niente che non sia già accettato e facilmente accessibile, quando invece è noto che l’atteggiamento verso certi contenuti possa benissimo essere critico, come ad esempio verso certi testi di canzoni rock che narrano esperienze di vita controverse (droga e violenza sono temi diffusi). Il secondo presupposto si basa sull’equazione di significativo con l’inevitabilmente complesso e il nuovo: non solo non vi sono prove di ciò, ma lo si smentisce facilmente pensando alla «perdurante significatività che hanno nella nostra vita le esperienze più familiari e le nostre usanze più tradizionali»194.

La strategia intellettualistica dell’estetica elitaria porta avanti l’idea che i problemi degni di espressione artistica siano quelli che la maggior parte degli individui non arriva a comprendere, rivelando di essere fortemente conservatrice e di mascherare conflitti politici con questioni estetiche. Inoltre, questa impostazione non riconosce la pluralità di forme dell’arte popolare, considerandola tutta omogeneamente superficiale, allo stesso modo del suo pubblico, scagliando le sue critiche soprattutto verso generi musicali come rock o rap, che al contrario contengono messaggi sociali molto forti e i testi dei quali possono avere una certa complessità semantica. L’idea che i prodotti dell’arte popolare siano standardizzati e privi di profondità viene giustificata dalla modalità di produzione di quest’ultimi, che a sua volta è standardizzata, spesso guidata da più personalità e non da un singolo artista e con l’obiettivo di attirare un pubblico molto vasto. Tutto ciò contrasterebbe con un’espressione artistica autenticamente originale: ma questo solo se ci si basa sull’idea che l’arte debba essere necessariamente l’espressione individuale delle emozioni e dei pensieri di un singolo. Idea che è stata già più volte messa in discussione nelle pagine di questo elaborato. Shusterman osserva inoltre che la standardizzazione della produzione artistica a livello di norme e convenzioni comunicative viene utilizzata da sempre (ad esempio nella poesia), ma

193 Cfr. R. Shusterman, Estetica Pragmatista, op. cit., p. 137. Shusterman fa l’esempio di concerti di

beneficenza quali Live Aid (due concerti svoltisi nel 1985 come raccolta fondi per la carestia etiope),

Farm Aid (festival musicale di beneficienza per aiutare i contadini americani) e Human Rights Now!

(tour mondiale del 1988 per celebrare la dichiarazione dei diritti umani e raccogliere fondi per Amnesty

International).

ciò che ne determina la validità estetica è l’applicazione in maniera creativa195. Mentre le innovazioni tecnologiche possono essere un impulso allo sviluppo dell’arte, come si è visto con il cinema o con l’architettura. Per quanto riguarda il pubblico a cui l’arte popolare si dirige, non va confuso con una massa omogenea, ma al contrario si tratta di una moltitudine di gruppi con idee e gusti differenti, poiché corrispondenti a status sociali ed educativi differenti. Questo comporta anche che diversi prodotti dell’arte popolare non vengano condivisi e apprezzati da tutti e che addirittura possano finire con l’offendere la sensibilità di una fetta di pubblico, o magari col provocarlo. Tutte queste considerazioni che vanno a sminuire il valore dell’arte popolare possono essere accomunate dal postulato secondo cui arte e vita reale devono essere collocate su piani separati, la cui origine è attribuita a Platone. Come discusso in precedenza, la condanna platonica dell’arte non è altro che la riprova della sua potenziale capacità di influenzare la società, che altrimenti non avrebbe avuto bisogno di alcuna censura. In ogni caso, l’idea dell’arte come baluardo di purezza dalle problematiche che la società si trova ad affrontare non è una caratteristica essenziale dell’arte, ma un’ideologia estetica che secondo Shusterman deriva dagli sviluppi economici del XIX secolo, che hanno modificato la posizione dell’arte e degli artisti nella società, prima incentivati da un certo sostegno. Per porvi rimedio si ricorre così ad una filosofia in esplicita continuazione con quella di Dewey, collocando l’esperienza artistica nell’esperienza umana in generale, ricollegandola quindi a quelli che sono mancanze, desideri e piaceri dell’essere vivente. Ciò che emerge ulteriormente dall’analisi di Shusterman riguarda il valore umano dell’arte, in particolare la compenetrazione di essa con l’esperienza ordinaria, dove si possono individuare degli elementi che vanno oltre l’estetica tradizionale: in primo luogo la creatività artistica come risposta ad una situazione di natura sociale (che vedremo in particolare con la cultura di strada); in secondo luogo, la fruizione dell’arte che avviene in maniera attiva e coinvolgente e non unicamente contemplativa, in cui riveste importanza un altro elemento, cioè quello fisico, nel senso di partecipazione a livello corporeo, sia nella realizzazione che nella fruizione dell’arte (l’esempio del funky è emblematico). Questi elementi non solo mostrano come l’arte sia tutt’altro che distante dalla vita quotidiana, ma danno solidità all’intenzione

migliorista, cioè di miglioramento dell’esperienza e della società, propria del

pragmatismo. Come osserva Dewey:

Le opere d’arte che non sono distanti dalla vita ordinaria, che vengono diffusamente fruite in una comunità, sono segni di una vita collettiva unificata. Ma sono anche meravigliosi aiuti per creare una tale vita196.

In una società pluralista come quella contemporanea l’arte si trova di fronte a numerose e differenti modalità di produzione e fruizione; essa può essere espressione eccentrica o prodotto convenzionale, evasione dalla realtà o confronto con essa. L’arte dopo la fine dell’arte, per riallacciarsi alle parti precedenti, ha la caratteristica di essere un’arte libera e questo la espone al rischio di essere fraintesa, commercializzata o banalizzata, ma anche alla possibilità di auto-reistituire il suo ruolo nella società umana. Il rifugio dell’arte dal pericolo della sua mercificazione non risiede nel suo ritirarsi nella fortezza di un’espressione solipsistica impenetrabile dalla cosiddetta massa, ma nello sforzo creativo in grado di coinvolgere e allo stesso tempo provocare, incitare alla riflessione e alla critica. La libertà dell’arte non risiede nel suo distacco dalla vita pratica, ma al contrario nel potere del suo uso strumentale privo di coercizioni.