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Banksy e l’arte dei graffiti

Parte III – Estetica pragmatista e arte popolare

10. Banksy e l’arte dei graffiti

Prima ancora del consolidarsi della cultura hip hop propriamente definita, le strade di New York furono sommerse di colorate iscrizioni (disegni, frasi o tag, cioè firma del proprio nome d’arte) fatte con vernice spray, che ricoprivano non solo i muri, ma anche auto abbandonate, autobus e vagoni dei treni. Quando il New York Times il 21 luglio del 1971 pubblicò un articolo con un’intervista al writer Taki 183 (un adolescente newyorkese di origini greche), il fenomeno dei graffiti iniziò ad espandersi, dando vita ad un movimento artistico controverso, che ancora oggi suscita ammirazione e disapprovazione208. La volontà di esprimersi e mostrare il proprio stile di questa sorta di artisti clandestini era più grande della severità con cui venivano continuamente censurati, prendendo anzi divieti e sanzioni come una sfida – si ha un esempio estremo nella writer Stoney che nel 1972 impresse la sua firma sulla Statua della Libertà209. Non si trattava tuttavia solamente di un’attività vandalistica dove la provocazione rimane fine a se stessa: Richard Goldstein, in un articolo del marzo 1973 sul New York

Magazine, definì il graffitismo «la prima cultura giovanile di strada dagli anni

cinquanta»210. Come nelle danze di strada, propulsione di quest’arte popolare sono l’espressione individuale, cioè con uno stile personale riconoscibile, e l’intenzione di mandare un messaggio a chi la recepisce. La competizione tra graffitari (in inglese

writers) alla continua ricerca di originalità, nonché la necessità di difendersi dalle

autorità, ha portato all’evoluzione delle tecniche e dei metodi del graffitismo, tramutando «l’autodifesa in qualità e la qualità in arte»211. Sempre Goldstein, in un

articolo sul The Village Voice del 24 dicembre 1980, afferma che il dibattito sui graffiti viene portato avanti da persone che non sono in grado di decifrarne il messaggio. Il

tagging (scrittura dei propri tag) su edifici e mezzi è solo una forma primitiva di

graffitismo, che arriva fino ad illustrazioni dal più forte potere comunicativo, che partono da bozze precedenti e richiedono ore per essere completate. Goldstein paragona la complessità di stile dei graffiti a quella del rap, altra arte a suo parere di non facile decifrazione, e afferma che l’inizio del graffitismo come un’alternativa all’idea standard di arte si ha col giovane Jean-Michel Basquiat, che partì col farsi conoscere in strada con il tag Samo, per poi esporre la sua arte in gallerie e musei,

208 U.net, Renegades of Funk, il Bronx e le radici dell’hip hop, Agenzia X, Milano, 2011. 209 J. Chang, Can’t Stop Won’t Stop, op. cit., p. 119.

210 Ivi, p. 122.

diventando uno dei maggiori rappresentanti del graffitismo americano assieme a Keith Haring. Paradossalmente, l’esposizione museale di questo tipo di arte dà ad essa e ai suoi artisti un riconoscimento per quanto riguarda il mondo dell’arte, tuttavia il suo nucleo di carattere sociale è qualcosa che non necessita di legittimazione da parte delle istituzioni artistiche. Al contrario, similmente alla Pop Art, i graffiti mettono in discussione l’ambiente in cui l’arte viene valutata e fruita; attraverso essi «viene rinnovato il sogno del lavoro per se stesso, l’idea della creazione come processo democratico – in breve, un umanismo radicale»212. Il contesto è quello descritto precedentemente per l’hip hop, in cui da una situazione di disagio emerge un nuovo modo di esprimersi, una cultura in cui riconoscersi e che, dando voce ai singoli, allo stesso tempo ne rafforza l’appartenenza ad una comunità. Quest’ultimo aspetto va contro l’idea per cui l’arte dei graffiti sia un’arte antisociale, in quanto contraria a certe norme di ordine sociale e praticata furtivamente.

Un esempio di graffiti writer in grado di lanciare messaggi sociali e politici è conosciuto oggi in tutto il mondo con lo pseudonimo di Banksy. Innanzitutto, la particolarità di Banksy sta nel celarsi dietro l’anonimato (addirittura alcuni hanno pensato che dietro a questo nome vi possa essere un gruppo di persone), contrapponendosi fortemente all’idea di arte come produzione di una singolarità artistica con una quasi stereotipata personalità (come l’artista genio). A contraddistinguere Banksy sono le sue creazioni decisamente controverse, sia dal punto di vista del tema, spesso politicamente esplicito o intriso di umorismo nero, che per la modalità con cui vengono esposte. Esse si pongono in bilico tra l’illegalità del gesto e il valore attribuitogli dal pubblico, ma anche da una parte di critica, posizione che rende la sua arte difficilmente classificabile da una teoria istituzionale. L’impatto dei suoi lavori sulla società è stato talmente significativo da essere riconosciuto come

Banksy effect, termine che descrive l’incremento di interesse verso l’arte di strada e il

cambiamento che interessa sia il mondo dell’arte che la sfera sociale, avvicinando arte

bella e arte popolare213. Spesso le sue opere vengono tolte dal contesto originario per

essere esposte e anche per essere vendute – commercializzazione che collide con la

212 R. Goldstein, In Praise of Graffiti: The Fire Down Below, in Village Voice Magazine Archive, 1980,

accessibile online all’indirizzo https://www.villagevoice.com/1980/12/24/in-praise-of-graffiti-the-fire- down-below/ (traduzione mia) «Like conceptual art and Pop, graffiti questions the context in which art is appreciated. It renews the dream of work for its own sake, the idea of creation as a democratic process — in short, radical humanism».

213 Cfr. L. Brenner, The Banksy effect: revolutionizing humanitarian protest art, in Harvard

International Review, vol. 40, no. 2, 2019, p. 37. Accesso online archivio JSTOR

nota avversione di Banksy per i meccanismi del capitalismo contemporaneo214. Ciò che conta in ogni caso è l’obiettivo di quest’arte, cioè la diffusione di un messaggio: l’arte di Banksy è un’arte strumentale con lo scopo, si potrebbe dire politico, di criticare la società e promuoverne il cambiamento.

Ritroviamo in Banksy la critica verso la concezione museale ed elitaria dell’arte: tra il 2003 e il 2004 l’artista ha messo in scena degli scherzi provocatori all’interno di famosi musei, che consistevano nell’appendere illecitamente le proprie opere accanto a quelle esposte dal museo, infiltrandosi con un travestimento215. L’artista stesso racconta che dopo aver appeso le opere ha osservato le persone che vi si avvicinavano, fissandole in maniera confusa, come se fossero state, appunto, imbrogliate, affermando: «Mi sono sentito come un vero artista moderno»216.

L’Arte non è come le altre culture perché il suo successo non è dato dai suoi spettatori. Il pubblico riempie sale da concerto e cinema ogni giorno, leggiamo milioni di racconti e compriamo bilioni di dischi. Noi, le persone, influenziamo la produzione e la qualità di gran parte della nostra cultura, ma non la nostra arte. L’Arte che osserviamo è prodotta solo da una selezione di pochi. Un piccolo gruppo crea, promuove, acquista, esibisce e decide il successo dell’Arte. Solo poche centinaia di persone nel mondo hanno voce in capitolo. Quando vai in una galleria d’Arte sei semplicemente un turista che guarda la bacheca dei trofei di pochi milionari217.

Il significativo contributo di Banksy al riconoscimento dei graffiti come forma d’arte legittima non è da fraintendersi con l’esito per cui questa entra semplicemente a far parte di gallerie e musei. Sono le istituzioni artistiche a doversi aprire verso una concezione di arte non elitaria, che tenga quindi conto dell’importanza dell’arte popolare. Graffiti e murales possono infatti essere un esempio di arte popolare che nasce al di fuori delle accademie artistiche, ma che ha comunque una sua evoluzione a livello estetico, delle tecniche e un linguaggio particolari, senza essere difficilmente accessibile dalla massa. Di fatto, a caratterizzare quest’arte è proprio la potenzialità di riuscire a raggiungere un pubblico molto ampio. Come afferma lo stesso Banksy, i graffiti non sono affatto una forma d’arte di basso livello; questo è infatti un pregiudizio che deriva dall’identificare l’arte popolare con gli strati più bassi della popolazione e di conseguenza con qualcosa di qualitativamente inferiore. Nonostante

214 A proposito di ciò, è nota la performance del 2018 Love is in the Bin all’asta di Sotheby: appena

venduto il dipinto Girl with Balloon (adattamento di un graffito di Banksy) per la somma di 1.042.000 sterline, l’opera si è autodistrutta riducendosi a brandelli tramite un meccanismo simile ad un trita carta preparato dallo stesso Banksy. Ironicamente, il valore del dipinto, salvato per metà dall’autodistruzione, è aumentato.

215 Ellsworth-Jones, Banksy: the man behind the wall, Aurum Press Ltd, London, 2012, capitolo I. 216 Banksy, Wall and Piece, Vintage Publishing, New York, 2006. Edizione italiana Banksy: Wall and

Piece, Ippocampo, Milano, 2011, p. 148. Le citazioni presenti sono di mia traduzione.

l’illegalità del graffitismo lo porti ad essere prodotto spesso in maniera furtiva, Banksy lo descrive come «la forma d’arte più onesta a disposizione»218, che non viene capita e accettata solo perché non produce profitto, mentre allo stesso tempo si permette comunque a manifesti e cartelli pubblicitari di deturpare il volto della città. Afferma inoltre:

Non vi è alcun elitismo o promozione [pubblicitaria], [l’arte dei graffiti] espone [le opere] su alcuni dei migliori muri che una città ha da offrire, e nessuno viene escluso dal prezzo d’ingresso.

Un muro è sempre stato il miglior posto dove pubblicare i propri lavori219.

Il libero accesso e la visibilità su larga scala che contraddistingue quest’arte le danno la possibilità di essere un mezzo di espressione più comunitaria che individuale, sia che si tratti semplicemente di colorare il muro grigio di una metropoli, che di attirare l’attenzione delle persone verso un determinato tema di natura sociale o politica. L’arte popolare non è riducibile all’arte della massa, intesa in termini semplificatori come uno strumento di distrazione attraverso sterile intrattenimento, il cui utilizzo può, nel peggiore dei casi, essere vantaggioso per un governo di stampo totalitario. L’arte popolare ha l’enorme potenzialità di coinvolgere le persone che ne fruiscono, appartenenti a comunità e culture diverse, stimolandole ad una risposta attiva, che può essere di tipo fisico, mentale o entrambe le cose.