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Parte I – L’estetica di Hegel e la fine dell’arte

9. Conclusioni

Tornando alla definizione hegeliana di arte come presentazione sensibile di un contenuto spirituale, si comprende ora meglio come questo sia ciò che la condanna al suo superamento. Lo spirito necessita di una forma più elevata di espressione, cioè quella del puro pensiero, per la quale la materialità viene ad essere una limitazione. Viene spontaneo allora domandarsi perché continui ad esserci arte. La risposta potrebbe essere che l’arte prodotta post-mortem è un’arte che ha come unica funzione l’espressione individuale e libera del soggetto. Certo, si è avverato ciò che Hegel afferma riguardo al ruolo dell’arte non più vincolato alla presentazione di un contenuto assoluto, che altrimenti sarebbe in contrasto con la struttura della società moderna (e anche contemporanea), ma occorre fare attenzione a non considerare l’arte post- classica come una produzione solipsistica fine a se stessa e distaccata dal mondo esterno59. E, in secondo luogo, ciò non deve portare l’arte ad essere meno arte, ovvero allo scemare della sua importanza in quanto prodotto sensibile a vantaggio del contenuto spirituale (cioè del pensiero che intende presentare).

Prima di tutto bisogna considerare ciò che Hegel afferma riguardo all’arte come elevazione dell’uomo dall’immediata identità coi propri impulsi, in quanto l’arte è capace di rappresentare «quel che l’uomo è»60. Abbiamo già visto in che modo ciò

avvenga e la differenza con un’arte didascalica con fini moralistici; la questione da sottolineare ora è che il contenuto dell’arte include l’umano e in un certo senso l’ha sempre incluso. Questo può salvarla dall’idea di un’arte individualistica incapace di avere un ruolo sociale. Certo, il sentimento che l’arte racchiude non avrà più l’ambizione di essere un valore universale come nell’arte classica o nelle prime cerchie dell’arte romantica, come poteva essere ad esempio per il sentimento d’onore della cavalleria, ma appartiene ad un singolo, che esprime se stesso. Quel che riveste importanza però non è nemmeno il sentimento espresso in sé (riprendendo l’esempio: l’onore), ma la volontà, insita nella produzione dell’opera, di volerlo esprimere non in maniera diretta, ma in maniera per così dire artistica. Abbiamo quindi l’opera d’arte come risultato dell’elaborazione, da parte dell’artista che la crea, di un suo impulso o

59 Cfr. P. Giladi, Embodied meaning and art as sense-making: a critique of Beiser’s interpretation of

the “End of art thesis”, in Journal of Aesthetics & Culture, vol. 8, 2016

http://dx.doi.org/10.3402/jac.v8.29934. Giladi discute la posizione di Beiser secondo cui l’arte nella modernità diviene solamente una modalità di espressione individuale, risultato facilmente riscontrabile nella critica hegeliana alla commedia moderna. Al contrario, secondo Giladi, l’arte, proprio per il distacco dall’assoluto, «riveste una posizione importante nella società e nella cultura come risultato dell’aver trasformato se stessa in relazione all’avvento dello spirito [Geist] della modernità».

sentimento, di qualcosa di appartenente alla sua intimità individuale. Dal punto di vista dello spettatore, questo è collegabile al cambiamento del modo di fare esperienza dell’arte: come osservato in precedenza, la relazione con l’opera non è più di venerazione, ma di riflessione. Assume importanza la mediazione del soggetto, che non è più solamente uno spettatore passivo, ma usufruisce dell’opera attivamente come per elaborare a sua volta ciò che l’artista ha voluto comunicare. Il rapporto con l’arte non è più immediato, ma avviene tramite un’elaborazione intellettuale del contenuto. Coerentemente, l’aspetto universale dell’arte è da ricercarsi nel fatto che «l’uomo è pensante e cosciente»61 e mai come nella modernità l’uomo si trova a riflettere dinnanzi all’opera d’arte (in particolar modo nella contemporaneità, come vedremo con l’interpretazione di Arthur Danto).

Noi ci troviamo di contro ad essa più liberi di quanto accadesse in passato, quando l’opera d’arte era la suprema espressione dell’idea. L’opera d’arte va incontro al nostro giudizio; noi sottoponiamo il suo contenuto e l’adeguatezza della presentazione al nostro esame scrutatore. Sotto questo rispetto la scienza dell’arte è diventata un bisogno più che nel tempo antico. Noi rispettiamo e apprezziamo l’arte, ma non la vediamo come qualcosa di ultimo, anzi meditiamo su di essa62

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Il fatto che l’arte non abbia più la prerogativa di presentare l’assoluto rende i suoi contenuti particolarmente vulnerabili al giudizio del pubblico, in grado di far nascere discussioni. Questo aspetto la pone oltre la sua considerazione come espressione individuale chiusa in se stessa. Non solo: in questo senso l’arte riflette il rapporto dialettico dell’individuo moderno col mondo, dove la riconciliazione non può che avvenire superando un momento oppositivo63. L’arte è ancora in grado di essere

maestra dei popoli, ma questo avviene ora in un contesto frammentato, cioè quello

della società moderna, dove il pluralismo delle opere va di pari passo con quello che è il pluralismo dei valori64. Non è più importante che l’arte segua un ideale di bellezza,

essa può rappresentare qualsiasi contenuto, anche il brutto, il grottesco, purché ciò avvenga liberamente, sia nella sua realizzazione che nella riflessione su di essa. Se l’eliminazione dell’assoluto dall’arte, cioè del suo essere vincolata ad esso, la rende

61 Ivi, p. 15. 62 Ivi, p. 9.

63 Cfr. Paul Giladi, op. cit.

64 È interessante il parallelo tra la morte dell’arte e la morte di Dio in Nietzsche, in quanto entrambe

riferite alla morte di un assoluto. Si veda a proposito il saggio di Carlo Gentili, Friedrich Nietzsche,

morte dell’arte e morte di Dio, in AA. VV. Fine o nuovo inizio dell’arte. Estetiche della crisi da Hegel al pictorial turn, a cura di Iannelli, Garelli, Vercellone e Vieweg, ETS, Pisa, 2016, pp. 213-223. La

conclusione a cui giunge l’autore prende però in causa la piccola arte (quella della dilettevole

distrazione), mentre uno degli obiettivi di questo elaborato è quello di riscattare l’arte da mero

morta, a vivificarla è lo spirito, che non necessita di rispettare alcun canone di bellezza,

ma solo di essere libero65.

Inoltre, si potrebbe mettere in discussione il valore dell’arte in quanto rappresentazione sensibile: se ciò che conta della rappresentazione artistica è l’aspetto immateriale, cioè il suo essere uno stimolo al pensiero, perché è ancora importante che vi sia un tramite materiale? La risposta è in quello che Danto ha definito embodied meaning.

65 Si veda in proposito Erzsébet Rózsa, Dall’”ideale della bellezza” al principio della libertà soggettiva.

Hegel sulla fine dell’arte, in AA. VV. Fine o nuovo inizio dell’arte. Estetiche della crisi da Hegel al pictorial turn, op. cit., pp. 33-46. L’autrice mette in luce come nella società moderna la funzione

dell’arte svolti verso quella che è una «formazione alla libertà [Bildung zur Freiheit] del singolo in quanto essenza libera», in quello che è uno stretto collegamento tra la libertà soggettiva che caratterizza l’epoca moderna e la libertà di rappresentazione che viene ad assumere l’artista.