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Il ruolo dell’arte: confronto con Croce e Gramsci

Parte III – Estetica pragmatista e arte popolare

11. Il ruolo dell’arte: confronto con Croce e Gramsci

L’estetica di Dewey e quella di Shusterman mettono in discussione l’idea di arte come fine a se stessa, fermo restando che l’intento non è quello di minare l’autonomia dell’arte, ma di valutarla in relazione all’esperienza umana in generale. Emerge infatti un’idea di arte strettamente legata al contesto in cui sorge, le cui cause, sviluppi e aspetti principali sono riconducibili a fattori esterni di natura sociale. L’estetica pragmatista è infatti in posizione polemica con quelle estetiche che teorizzano l’indipendenza dell’arte, per cui quest’ultima sarebbe giudicabile solamente attraverso criteri estetici. Un esempio di ciò lo si trova in Benedetto Croce, che entrò infatti in aperto contrasto con Dewey e verso il quale non manca anche la critica da parte di Shusterman, che si focalizza in particolare sulla possibilità e la natura dell’interpretazione. Secondo la filosofia pragmatista, le opere d’arte sono entità culturali, formate individualmente, ma anche collocate in un contesto culturale che le

218 Ivi, p. 8. 219 Ibidem.

definisce; in quanto tali, la loro identità non sussiste su un’ontologia fissa al di là di queste pratiche, ma è aperta al cambiamento, motivo per cui il significato di un’opera può essere interpretato diversamente a seconda dell’epoca220.

Partendo da un confronto con l’estetica di Hegel, si può dire che nonostante Croce fosse vicino alla filosofia hegeliana dal punto di vista della sua formazione e delle questioni che intende affrontare, la struttura della sua filosofia è di tipo trascendentale, dunque di natura neokantiana221. Per salvaguardare l’arte dalla morte come forma erronea di filosofia – secondo la sua interpretazione di Hegel – Croce smantella la dialettica hegeliana, attraverso quella che è la teoria dei distinti, ovvero forme trascendentali (non deducibili dall’esperienza, ma che la rendono possibile) che non sono quindi in relazione dialettica222. In questa sistematizzazione, l’arte si configura

come un distinto a sé stante, separato dalle altre forme223. Il nucleo dell’estetica

crociana si ha nell’identificazione di arte, intuizione ed espressione. Mentre l’estetica hegeliana si basa su una stretta correlazione tra l’arte e la conoscenza della verità come conoscenza di tipo concettuale, in Croce l’arte è conoscenza intuitiva. Questa definizione la salverebbe dalla sua morte, negando la possibilità di una storia dell’arte e affermando invece l’incommensurabilità delle opere d’arte, in una sorta di anarchismo estetico dove la conoscenza intuitiva non può essere subordinata a nessun altro tipo di conoscenza, nemmeno quella filosofica. La forma intuitiva è inoltre distinta dalla percezione, che ha invece a che fare sempre con materia preesistente nella realtà, con cui entra in contatto in maniera passiva. L’intuizione vera è per Croce sempre espressione: «Lo spirito non intuisce se non facendo, formando,

220 Cfr. R. Shusterman, Croce on Interpretation: Deconstruction and Pragmatism in R. Shusterman,

Surface and Depth: Dialectics of Criticism and Culture, op. cit., pp. 53-71.

221 Cfr. P. D’Angelo, La morte dell’arte in Croce e Gentile, in AA. VV. Fine o nuovo inizio dell’arte.

Estetiche della crisi da Hegel al pictorial turn, op. cit., p. 297 e seguenti. L’autore afferma che i motivi

per negare la definizione di Croce come hegeliano o neo-hegeliano (tipica della filosofia manualistica in generale e in particolare dell’idealismo italiano) sono principalmente due: la matrice

trascendentalista della sua filosofia, che va alla ricerca delle condizioni di possibilità di un particolare

ambito (come l’arte); e il fatto che il suo confronto con Hegel porta a soluzioni completamente differenti rispetto alle questioni sollevate, derivanti da un pensiero filosofico già formato, verso cui Hegel entra in contatto come fattore esterno.

222 Croce abbandonerà questa teoria di distinzione per gradi, sviluppando una concezione di un circolo,

per cui vi è un passaggio continuo da un distinto all’altro (nel Breviario di Estetica).

223 Croce individua quattro forme distinte, suddivise secondo sfera teoretica e sfera pratica, a loro volta

suddivise secondo il criterio di universale e individuale. Alla sfera teoretica appartengono arte (individuale) e logica o filosofia (universale), mentre alla sfera pratica corrispondono economia (individuale) ed etica (universale). Dunque, tutta la nostra attività conoscitiva può essere ridotta all’arte o alla filosofia, così come le attività pratiche a economia o etica. La distinzione tra sfera pratica e teoretica costerà a Croce una dura critica da parte di Gramsci, poiché dal punto di vista marxista questa suddivisione, ignorando l’origine materiale delle contraddizioni teoriche, assume carattere ideologico.

esprimendo»224, proprio perché l’intuizione è un dare forma, un costruire un contenuto mentale. La differenza tra intuizione comune e intuizione artistica è una differenza di grado, quantitativa: l’artista è semplicemente colui che è capace di dar forma alle proprie intuizioni in maniera più perfetta, attuando il passaggio all’espressione artistica, che avviene con una presa di possesso, un atto dello spirito che assimila e quindi esprime. Troviamo in questa parte dell’estetica di Croce un punto di contatto con le teorie precedentemente esposte:

Noi dobbiamo tener fermo alla nostra identificazione, perché l’avere staccato l’arte dalla comune vita spirituale, l’averne fatto non si sa qual circolo aristocratico o quale esercizio singolare, è stata fra le principali cagioni che hanno impedito all’Estetica, scienza dell’arte, di attingere la vera natura, le vere radici di questa nell’animo umano225

.

La distinzione tra artista e non artista è nociva poiché porta all’idea di arte come qualcosa di distaccato dalla vita spirituale comune a tutti gli individui, mentre oggetto dell’estetica è la cognizione intuitiva o espressiva, che essa sia minore o maggiore. Croce si pone infatti contro l’idea romantica del genio come creatore divino e contro il superomismo dannunziano dei suoi tempi e aggiunge inoltre che la l’attività intuitiva è sempre cosciente, perché altrimenti sarebbe un cieco meccanismo. La vicinanza con Dewey è lieve, in quanto il filosofo americano ritiene che l’unico antidoto efficace ai dualismi sia una filosofia di tipo pragmatista, che Croce rifiuta, così come rifiuta tutta la tradizione empiristica anglosassone.

L’atto estetico è per Croce elaborazione espressiva delle impressioni, dunque è sempre ed unicamente un fatto interno, mentre ciò che sussiste esternamente appartiene alla sfera pratica. La scelta operata dall’artista non avviene al livello delle impressioni, ma delle espressioni, quindi sul piano pratico, di conseguenza il contenuto dell’opera non potrà essere oggetto di lode o biasimo, dato che qualsiasi giudizio morale ha a che fare unicamente con le sue scelte pratiche. In questa concezione troviamo l’accento sull’importanza dell’artista come individualità che, per quanto Croce ci tenesse a distanziarsi dall’estetica del genio o del creatore incosciente, viene descritto come investito da una potenza ispiratrice, che lo rende «gravido del suo tema»226 in maniera quasi inconsapevole. Inoltre, Croce afferma che «l’impossibilità della scelta del contenuto compie il teorema dell’indipendenza dell’arte» che viene ad essere «il solo

224 B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Adelphi, Milano, 1990, p.

5.

225 Ivi, p. 19. 226 Ivi, p. 66.

significato legittimo del motto: l’arte per l’arte»227. Dunque l’arte può essere giudicata

solamente attraverso criteri estetici, indipendentemente dalla scienza, dall’utile e dalla morale. La realtà oggettuale dell’arte, distinta dall’atto estetico intuitivo, non ha altra funzione che quella di essere uno stimolo per la memoria: se il processo artistico non viene impresso materialmente, verrà dimenticato e in futuro non potremo goderne. In Croce vige ancora il dualismo di forma e materia che Dewey vuole superare, in particolare per la condanna del materiale come qualcosa che deve essere filtrato dalla forma in una sorta di purificazione, in netto contrasto col naturalismo di Art as

experience, che considera la pura forma senza materia come un fantasma inconsistente.

Infatti Dewey considera ambigua l’associazione di intuizione ed espressione, risultato di un idealismo estremo dove preconcetti filosofici si sovrappongono all’estetica, affermando che Croce è «un filosofo che crede che l’unica reale esistenza sia la mente»228. Da parte sua Croce accusa il pensiero deweyano di perdersi «in siffatti

circoli viziosi e in siffatte tautologie del positivismo»229, attribuendo la colpa

all’empirismo anglosassone e all’ortodossia dei suoi maestri hegeliani e kantiani che lo hanno indotto ad un pensiero radicalmente opposto, senza che si rendesse conto che «1'Assoluto a lui tanto pauroso non esiste più per sé ma fa tutt'uno col mondo e con l'esperienza e con la storia»230. Dewey diede risposta a Croce nel 1948 nel The Journal

of Aesthetics and Art Criticism ammettendo di non riuscire a trovare un terreno

comune. In particolare perché Croce lo accusa di aver fallito nel tentativo di far rientrare l’arte nel quadro della filosofia pragmatista, mentre Dewey considera questa come una teoria della conoscenza (theory of knowing), rifiutando tuttavia l’idea dell’oggetto estetico come forma di conoscenza. Egli ritiene infatti che l’errore primario della filosofia dell’arte sia stato proprio trattare il suo oggetto come una forma di conoscenza della realtà, presumibilmente di tipo superiore, col risultato di studiarlo non secondo ciò che è davvero, ma incastrandolo nelle categorie di una determinata filosofia. Motivo per cui egli afferma di aver imparato ben poco dalla filosofia dell’arte precedente, principalmente proprio a causa della tendenza a subordinare l’arte alla

227 Ivi, p. 68. Nonostante l’indipendenza dell’arte dalla morale, Croce non si esime dal giudicare

negativamente l’arte «frivola o fredda» (probabilmente il primo aggettivo è un riferimento all’arte di D’Annunzio) in quanto non realmente innalzata a vera espressione, cioè derivante da un contenuto mal elaborato.

228 J. Dewey, Art as Experience, op. cit., p. 306.

229 B. Croce, Intorno all’estetica del Dewey, in La Critica, Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia

diretta da B. Croce, 1940, 38, p. 353.

filosofia231. Tendenza presente anche nell’estetica di Hegel, giudicata per questo da Croce un elogio funebre dell’arte232 frutto di un’impostazione antiartistica, poiché

pone l’arte in una posizione di inferiorità rispetto al pensiero puro.

L’ideologia parnassiana de l’arte per l’arte fa del disinteresse e della mancanza di scopo le caratteristiche peculiari dell’arte, creando così un baluardo di difesa da qualsiasi riduzione dell’arte a fini utilitari o moralistici. Nell’estetica crociana, inoltre, la distinzione tra parte intuitiva e parte materiale dell’arte e l’identificazione della prima con l’espressione che agisce come un filtro purificatore, sembrano addirittura attribuire un valore negativo, o comunque di minore importanza, alla dimensione sensibile dell’arte, preservandola così da una concezione edonistica di arte come mero piacere sensibile. L’estetica pragmatista come abbiamo visto si pone in netto contrasto con questa concezione di arte, mettendo in rilevanza il legame dell’arte con l’esperienza umana e la società. In particolare, Shusterman affronta il tema dell’arte popolare, rivalutandola da un punto di vista non solo estetico, ma anche sociale, avvicinandosi così al pensiero di un altro filosofo italiano. Nella prefazione all’edizione italiana di Estetica Pragmatista Shusterman riconosce esplicitamente il contributo di Antonio Gramsci alla comprensione dell’arte popolare, in particolare per aver messo in luce come essa non possa essere semplicemente limitata ad una «nicchia demografica», dato che «il popolo stesso non è un gruppo sociale o culturale omogeneo»233. Nel pensiero di Gramsci troviamo infatti l’interesse verso le espressioni della cultura popolare – con una messa in guardia dai pericoli del populismo ad essa connessi – oltre che l’opposizione al dualismo tra teoria e pratica.

231 J. Dewey, A Comment on the Foregoing Criticisms in The Journal of Aesthetics and Art Criticism,

vol. 6, no. 3, 1948, pp. 207–209. Accesso online archivio JSTOR www.jstor.org/stable/426477. Dewey afferma esplicitamente di aver imparato molto di più dai libri sull’arte di Albert C. Barnes, a cui è non a caso dedicato Art as Experience. Barnes era il fondatore della Barnes Foundation, una istituzione di promozione artistica e collezione di opere, accompagnata dal Journal of the Barnes Foundation, dove Dewey si occupava di educazione ed estetica. Poiché Croce nella sua critica aveva elencato una serie di punti dell’estetica di Dewey che erano a suo parere già stati formulati da tempo nella filosofia italiana, Dewey risponde affermando di poter dimostrare che la derivazione di tali tesi è facilmente riconducibile a fonti non filosofiche; in particolare, il fatto ostile a Croce che la conoscenza storica sia indispensabile per giudicare l’arte: Dewey fa notare che nei lavori di Barnes a cui si è ispirato vi è un’insistenza sull’importanza della continuità della tradizione nella produzione artistica e nel suo apprezzamento critico. Conclude poi affermando che la sua intenzione non era quella di scrivere «uno di quei trattati scolastici in cui le note a piè di pagina si riproducono e si moltiplicano utilizzate come autorità di ciò che viene detto nel testo» (p. 209), ma che il suo intento era molto più umile. La risposta di Croce si può leggere nei Quaderni della Critica diretti da B. Croce, marzo 1950, n. 16, col titolo Intorno

all’estetica e alla teoria del conoscere del Dewey. Egli accusa la filosofia di Dewey di essere

danneggiata da pragmatismo ed empirismo, turbato soprattutto dall’affermazione di Dewey di non essere riuscito a trovare un terreno comune tra le loro visioni.

232 Croce discute l’estetica hegeliana in Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale,

op. cit., Parte II Storia, cap. IX, L’estetica dell’idealismo, Schiller, Schelling, Solger, Hegel.

La riflessione di Gramsci sull’arte si sviluppa all’interno della più ampia ricerca di una nuova cultura che nasca non da un’élite indipendente, ma da uno spirito popolare creativo, cioè in quanto espressione unitaria e organica della vita spirituale di un popolo-nazione. Quest’idea è parte della strategia rivoluzionaria che troviamo nei

Quaderni dal carcere (1948-1951), dove rivoluzione significa cambiamento radicale,

non nel senso di uno scontro politico diretto, ma come rivoluzione passiva, che mette al centro il rinnovamento culturale anziché la presa del potere politico, che ha come scopo l’unificazione delle classi sociali e della nazione. La rivoluzione passiva è accompagnata dall’idea di un potere non repressivo, ma inclusivo, in grado cioè di creare un’egemonia, ovvero la produzione e diffusione di un sapere comune. Alla base di questa teoria vi è un’indagine sugli intellettuali, dove fondamentale è la riconciliazione con quello che è separatamente compreso come popolo, che non è infatti da identificarsi come un gruppo culturale omogeneo. Il problema a livello pratico è la mancanza di intellettuali che siano espressione di classi subalterne: gli intellettuali tendono infatti a permanere in dispute ideologiche fini a se stesse, in quanto distaccate da ciò che accade al livello delle classi popolari e che fanno da copertura a determinate condizioni materiali, con l’obiettivo di non modificarle234. La

posizione di Gramsci non è lontana da quella di Shusterman nella difesa dell’arte popolare contro accuse che derivano dall’idea di un’arte elevata con dei criteri ontologici fissi, talvolta conservatori235. La dimostrazione che l’arte popolare è legittimamente un’arte, così come chi la produce è legittimamente un artista degno di essere definito tale, non si arresta ad un interesse interno al mondo dell’arte, ma riveste importanza nella società umana di cui il mondo dell’arte fa parte, in vicinanza con l’impostazione deweyana di connessione tra esperienza artistica ed esperienza ordinaria.

La riconciliazione tra intellettuali e popolo sul versante politico riflette la questione della riconciliazione tra teoria e prassi, che pone Gramsci in netta contrapposizione con l’estetica di Croce. L’atto estetico inteso da Croce come già compiuto nell’intuizione dell’artista, quindi a livello mentale, resta nell’ottica gramsciana indipendente dal contesto sociale e culturale, quindi con una mancanza fondamentale. L’elemento per così dire puro dell’arte è necessario, ma non basta né a definirla, né ad

234 Cfr. A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Editori Riuniti, Roma, 1996. 235 Tenendo comunque presente le profonde differenze di contesto e di formazione tra i due autori:

Gramsci, che non era un filosofo di professione, affronta l’arte nel contesto di una rivoluzione politica, cioè nella misura in cui essa può contribuire alla riuscita della rivoluzione. Shusterman, filosofo di professione, affronta direttamente il tema dell’arte e accenna a Gramsci per quanto riguarda la questione dell’arte popolare, che può assumere una connotazione politica (ma non solo).

esplicarne il potenziale a livello umano236. Per Gramsci l’aspetto materiale dell’opera d’arte non è accidentale, ma è un’esteriorizzazione di qualcosa che va oltre l’espressione individuale dell’artista, il quale è tale anche perché riesce ad esprimere un contenuto che appartiene alla società in cui vive, senza però esserne del tutto influenzato. La cultura viene ad essere l’espressione unitaria di uno spirito popolare, senza però intaccare l’autonomia e la libertà della pratica artistica. L’obiettivo è quello di scoprire nell’arte una funzione civile e politica, senza però renderla un’arte di propaganda: non si tratta di un’arte didascalica o sottoposta a normatività, ma di un’arte educatrice, che passa attraverso un preesistente tessuto di sentimenti.

Posto il principio che nell’opera d’arte sia solamente da ricercare il carattere artistico, non è per nulla esclusa la ricerca di quale massa di sentimenti, di quale atteggiamento verso la vita circoli nell’opera d’arte stessa237.

L’opera d’arte ha sì un elemento estetico puro che la rende tale, ma ha anche a che fare con dei sentimenti che possono accomunare un popolo e soprattutto la sua fruizione non avviene in maniera esclusivamente passiva, ma con uno scambio attivo e reciproco tra l’artista e il pubblico. Il potenziale educativo dell’arte risiede appunto in questa connotazione collettiva del sentimento, che non è da intendersi con un’identificazione diretta tra estetica ed etica dove tutti si trovano a condividere lo stesso contenuto, avendo quindi da un lato un’arte sottoposta ad un controllo e dall’altro e una massa omogenea che ne assume passivamente i contenuti. Si ha un processo attivo, di coinvolgimento a livello sia mentale che fisico, possibile proprio attraverso l’elaborazione di un sentimento, prima da parte dell’artista e poi da parte degli individui di fronte alla sua opera. L’arte va oltre l’essere un mero intrattenimento, diventando uno strumento di presa di coscienza degli individui e della comunità, nonché un modo per rafforzare il legame con quest’ultima o avere un confronto positivo con una cultura diversa. In Gramsci il ruolo fondamentale dell’arte nella società non potrebbe realizzarsi senza quello che è il nesso tra struttura e sovrastruttura, che egli indica col termine catarsi. Quest’ultimo gli permette di conciliare la crociana

236 Nel suo progetto Gramsci non si separa mai completamente da Croce: è fortemente critico nei suoi

confronti, in particolare verso il suo distacco dalla componente sociale e politica, ma anche consapevole dell’importanza di un elemento puro nell’arte che non si risolve interamente nella struttura, per interpretare il quale cioè non possiamo rivolgerci solamente alla base socioeconomica. Parte del progetto gramsciano è infatti conciliare questo elemento con le necessità di una trasformazione rivoluzionaria della società. Inoltre, Gramsci afferma che l’Aesthetica in nuce (1929) di Croce dà segni di una crescente preoccupazione moralistica, domandandosi se l’estetica possa avere altri compiti oltre a quello di elaborare una teoria dell’arte e della bellezza (Cfr. A. Gramsci, Marxismo e letteratura, a cura di G. Manacorda, Editori riuniti, Roma, 1975, p. 75). L’estetica di Croce è formalista, ma affermare che ciò che conta nell’arte è la forma non significa necessariamente opporsi a nuovi contenuti, senza che vi sia una contrapposizione netta tra il reclamare l’elemento puro dell’arte e l’avere posizioni politiche dal quale trarre una visione su quale arte sia migliore (Ivi, pp. 110-112).

purezza dell’arte con la filosofia della prassi, oltre che di andare più a fondo nel

problema di una nuova cultura che non sia solamente l’espressione libresca di una casta di intellettuali, ma che si confronti con quella che è la cultura popolare. Con la

catarsi si ha quindi l’elaborazione del passaggio da struttura a sovrastruttura nella