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Ascoltare l’esotico: le raccolte di folklore e gli strumenti musicali coloniali in Italia

NELLA LETTERATURA SCIENTIFICA: IL CASO DELL’ETNOGRAFIA MUSICALE

C ONTRIBUTI DI ETNOGRAFIA MUSICALE DURANTE IL FASCISMO

5. Ascoltare l’esotico: le raccolte di folklore e gli strumenti musicali coloniali in Italia

Una delle peculiarità dell’esperienza coloniale italiana è strettamente legata al periodo storico in cui si svolge: sebbene circoscritto, l’arco temporale che va dall’ultimo ventennio dell’Ottocento alla prima metà del secolo successivo, risulta denso di innovazioni volte alla trasformazione e accelerazione dei processi comunicativi ed alla promozione di una cultura di massa.234 Come già osservato in precedenza, la stampa nazionale conosce un forte incremento a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento proprio in relazione alle avventure coloniali. Sebbene non riesca a generare un’affezione diffusa nella popolazione nazionale, come desideravano i governi [Del Boca 2001, pp. 18-19], il mito dell’esotico raggiunge presto ogni strato della nazione. Dal punto di vista quantitativo, l’informazione si fa assai più consistente durante il ventennio fascista ed in particolar modo negli anni della propaganda e della fondazione dell’Impero. Il flusso di informazioni sulle colonie, veicolato attraverso i mezzi di comunicazione di massa promossi dal regime, non conosce pari nella storia. La moltiplicazione dei canali informativi, grandemente accelerata dal fascismo, genera un processo di rafforzamento dell’immaginario coloniale non indifferente.

Da un punto di vista socio-antopologico, la novità più rilevante condivisa dal colonialismo nazionale è rappresentata dalla possibilità di avvicinare l’ “Altro” colonizzato attraverso diverse modalità, le quali, sebbene lascino meno spazio all’immaginazione rispetto alla stampa, sottopongono il dato veicolato ad operazioni di manipolazione strettamente funzionali all’ideologia coloniale. Due sono i principali canali attraverso i quali la modernità avvicina l’ “Oriente”: le esposizioni e le nuove tecnologie massmediatiche, ognuna con le proprie peculiarità: disco, radio, cinema. Mentre esposizioni e discografia nascono e vengono sfruttate già in epoca liberale, benché notevolmente incrementate tra le due guerre, la radio e il cinema completano e rafforzano le rappresentazioni coloniali a partire dalla seconda metà degli anni Venti.

Nel presente paragrafo passeremo in rassegna quelle che sono state le operazioni e i prodotti etnografico-musicali derivati dall’impiego dei nuovi mezzi in

relazione alla propaganda coloniale. Ci soffermeremo, in particolare, sulla produzione discografica legata al colonialismo e, nella sezione successiva (Par. 5.1) sulle esposizioni coloniali.

Rispetto alle epoche precedenti, in età moderna delle colonie non si percepiscono solo immagini o si toccano manufatti: grazie alle importanti innovazioni sulle tecniche di produzione e registrazione delle vibrazioni emesse nell’aria da fonti sonore, si possono udire anche i suoni, diffusi, a partire dalla seconda metà degli anni Venti, attraverso supporti sonori, radio e cinematografia. L’invenzione del fonografo di Edison (1888), in grado di registrare e riprodurre i suoni, e la successiva evoluzione di tecniche e materiali più facilmente accessibili, è un fattore determinante per lo sviluppo delle discipline etnologico-musicali ma anche per il rafforzamente di una cultura coloniale sapientemente manipolata dai governi. La perfetta coincidenza del nuovo sistema con la nascita - per il caso italiano specifico - del colonialismo, è tutt’altro che priva di conseguenze: dalle nostre ricerche è emerso come i primi documenti sonori di origine esotica risalgano alla guerra di Libia (1911-13).

Della leggenda che circola sui cilindri di cera incisi in Africa orientale italiana e sciolti per le alte temperature durante il tragitto di ritorno in nave, cui ha fatto accenno Diego Carpitella [Giannattasio 2002, p. 390], non si sono ancora trovati i riscontri, ma di certo diverse sono state, durante il periodo coloniale, le iniziative di raccolta di musiche etniche coloniali per scopi eterogenei, prevalentemente etnografico-divulgativi e cinematografici. A causa delle vicissitudini legate agli archivi storici del periodo coloniale, di cui abbiamo detto più volte, non ultimo lo spostamento dei materiali della Discoteca di Stato durante la guerra,235 molti documenti sonori sono oggi irrecuperabili. L’unica testimonianza sonora di epoca liberale oggi accessibile è un disco con due canti tradizionali libici, uno dei quali recentemente ripubblicato nella raccolta Tripoli italiana della collezione Fonografo

italiano,236 a cura di Paquito Del Bosco: si tratta della registrazione della «Banda del

235 Ringraziamo Paquito Del Bosco per questa informazione.

236 La raccolta è il risultato di una ricerca e selezione dei documenti sonori italiani, di ambito popolare,

relativi alla guerra di Libia. I brani riversati nel CD sono canzoni italiane che circolavano nei cafè

chantant e vere e proprie «cartoline sonore», «resoconti dal fronte (la radio non esisteva ancora) per chi

Garian per la Festa del Marabutto».237 Il disco in oggetto appartiene al periodo 1911- 1913, ed è inciso per «La Voce del Padrone».238

Durante l’epoca fascista del colonialismo, parallelamente all’evoluzione delle tecnologie per la registrazione e riproduzione del suono e alla fabbricazione di supporti più facilmente maneggiabili e di più ampia diffusione, le nuove esigenze mediatiche connesse con la costruzione di una cultura coloniale e con il consolidamento del consenso stimolano nuove raccolte etnografiche. Non si tratta di inziative finalizzate allo studio etnologico delle tradizioni popolari ma piuttosto destinate ad una divulgazione ad ampio raggio, attraverso le strutture educative e propagandistiche. In questo caso, le nuove tecnologie, semplificando le procedure di contatto con culture “altre” e moltiplicandone le occasioni, sembrano favorirne un approccio superficiale, sostenuto dall’atteggiamento del regime nei confronti dei territori assoggettati.

Una fonte unica per le raccolte di folklore musicale dell’Africa orientale è l’apparato dedicato ai «Dischi e canti in lingua amarica» contenuto nel saggio di Guglielmo Barblan Musiche e strumenti musicali dell’Africa Orientale italiana [Barblan 1941, pp. 135-138]. Tra queste, come vedremo più avanti, attraverso le nostre ricerche è stato possibile reperire soltanto parte di una collezione. Altra fonte è rappresentata dai programmi radiofonici dell’Ente Radio Rurale (ERR), un’istituzione preposta all’utilizzo della radio come strumento educativo, alla quale è affidata parte della programmazione scolastica. La divulgazione attraverso la radio educativa risponde al fine di rendere partecipi gli italiani alle vicende nazionali, sapientemente manipolate dal regime. Tra queste l’esperienza imperialista trova uno spazio di rilievo. Le iniziative di registrazione delle tradizioni musicali coloniali di cui di cui si conservano, quasi totalmente, i documenti, sono connesse principalmente alla radiofonia, e alle esposizioni coloniali, incrementate e valorizzate, nel segno dell’Impero, durante il regime; entrambe risalgono alla metà degli anni Trenta.

237 Nella religione islamica nordafricana, il marabutto è il corrispettivo del santo per quella cristiana;

come in quest’ultima, è oggetto di culto e onorato attraverso le feste [Doutté 1900]. La traccia riproduce l’esecuzione di un brano suonato da tre strumenti, due aerofoni, di registro differente e in dialogo tra loro, e una percussione; il pezzo è introdotto da una voce in lingua araba e la durata è di circa tre minuti. Una breve sezione introduttiva prelude ad una parte centrale più estesa in cui i due aerofoni si rimbalzano una melodia variandola di continuo e sovrapponendosi a tratti; una sezione conclusiva, costituita da materiali derivati dalla melodia precedente, chiude il brano.

Nel dicembre 1935, in piena campagna etiopica, l’Ente Radio Rurale (ERR), attivo dall’anno precedente come strumento di formazione a distanza per le scuole provinciali e di campagna,239 promuove una spedizione in Tripolitania per la preparazione di una «serie di trasmissioni atte a far conoscere le nostre Colonie» [AT 3/5/1936]. Il fine è quello di «cogliere e fissare su dischi alcune delle più caratteristiche e interessanti scene di vita indigena [...] che opportunamente illustrate vengono ad offrire agli ascoltatori un quadro efficace dell’ambiente arabo della nostra colonia nei suoi principali aspetti»240 [AT 3/5/1936]. A guidare l’iniziativa, Lando Ambrosini, direttore dell’ERR, e Cesare Ferri, direttore artistico. Dalle notizie, filtrate attraverso un articolo apparso sull’«Avvenire di Tripoli» del maggio 1936, sembra che le operazioni di raccolta si siano svolte in maniera piuttosto celere con l’usuale vanto per l’efficienza fascista:

[...] organizzava [L. Ambrosini accompagnato da C. Ferri] subito una serie di manifestazioni da incidere sui dischi. Il programma ideato ed elaborato si realizzava in brevissimo tempo con l’ausilio del personale tecnico che provvide ad eseguire le prese fonografiche, installando i macchinari in locali adattatti e messi a disposizione a Tripoli, Sugh el-Giuma [sic] e Misurata Marina [AT 3/5/1936].

Le trasmissioni vengono propagate anche attraverso l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR) [AT 3/5/1936], raggiungendo una parte ben più più ampia di popolazione nazionale.

I quattoridici dischi a 78 giri incisi in questa occasione, attualmente conservati presso l’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi (ICBSA) (ex-Discoteca di Stato) di Roma, sono stati poi inseriti sul mercato discografico, distribuiti sia nella madrepatria che nelle colonie:

[…] la Direzione dell’ERR, per aderire alle richieste di enti e privati i quali hanno espresso il desiderio di avere una collezione dei dischi incisi a Tripoli, ha deciso di mettere prossimamente in vendita al pubblico la serie

239 Fondato nel 1933 «al fine di contribuire all’elevazione morale e culturale delle popolazioni rurali»

[Zambotti 2007, p. 17], l’ERR si rivela un’efficace strumento di propaganda e controllo. Nato all’interno dell’EIAR coinvolgendo anche il Ministero dell’Educazione Nazionale, nel novembre 1934 passa sotto il controllo del PNF. Il progetto didattico, che prevedeva una sintonizzazione simultanea tre volte a settimana per 30 minuti ciascuna, copriva diversi ambiti disciplinari, tra i quali anche la musica, con lezioni pratiche e teoriche di canto corale e storia della musica. L’ascolto avveniva sotto la guida dell’insegnante e non si limitava ad un’approccio passivo, oltre ad essere preparato dal docente, veniva seguito da una fase di scrittura individuale dei contenuti dei programmi corredati da considerazioni personali. Le trasmissioni vengono diffuse fino all’aprile 1940. Per ulteriori apprfondimenti sull’ERR si veda Zambotti 2007.

240 In quegli anni l’uso del nastro magnetico non è ancora diffuso e il disco 78 giri rappresenta l’unico

mezzo per fissare su «supporto “fisso”» le trasmissioni radiofoniche. L’ERR incide su disco, come in questo caso, alcune delle trasmissioni, distribuendole per la casa Parlophone [Zambotti 2007, p. 9].

completa, al prezzo di L. 310. Sappiamo anche che, per interessamento del Governo della Colonia, i funzionari ed ufficiali residenti in Libia potranno acquistare la serie dei dischi di folklore tripolino a prezzo ridotto e con facilitazioni di pagamento per il tramite dell’Ufficio Studi del Governo stesso. [AT 3/5/1936]

Nella selezione dei documenti di folklore coloniale l’attenzione dei documentaristi italiani si rivolge al duplice contesto culturale tripolino, arabo ed ebraico, e ad un differente ambito espressivo: le tradizioni folkloriche legate alla vita civile, religiosa e militare. Le specificità culturali vengono in tal modo veicolate attraverso i moderni altoparlanti radiofonici, supportando un’immagine di arretratezza e manifestando la capacità di totale controllo sui territori dominati. Una scoperta manovra propagandistica, nella direzione di un estremo totalitarismo, è testimoniata anche dalla duplice incisione di Giovinezza su testo arabo ed ebraico, cantata da cori giovanili. Al fine di una capillare diffusione, il testo della canzone, che veniva insegnata nelle scuole della colonia, viene pubblicato anche sui periodici coloniali, in lingua araba.241

Le tradizioni indigene selezionate per le trasmissioni riguardano: i principali eventi del vivere sociale (nascita, matrimonio, morte) scanditi attraverso pratiche religiose, islamiche ed ebraiche; i rituali legati al culto; le pratiche comunitarie connesse con l’economia e la politica e le manifestazioni di folklore inerenti la vita militare.242 I documenti realizzati, sebbene lacunosi nei dati riportati su esecutori, luoghi e modalità di registrazione, rappresentano le uniche testimonianze delle tradizioni libiche all’epoca. Le manifestazioni di folklore relativo al culto islamico rappresentano quelle maggiormente documentate attraverso: le cerimonie di iniziazione religiosa («Una Zauia (Cerimonia degli adepti)»); i caratteristici rituali legati all’invito ed alle varie fasi della preghiera («L’Adan [Adhan] - Il Quyam el

salat: invito e inizio della preghiera fatto dal muezzin»), al Ramadan («Il Saher el lel

(Nelle notti di Ramadan)») e al pellegrinaggio verso la Mecca («Pellegrini verso la Mecca»); le sonorità delle scuole coraniche («Scuola coranica: lo studio dell’Alfabeto; studio del corano; la Faitha: la Sura del corano»); le tradizioni legate alla nascita («Le

241 Tra questi, si veda IC, gennaio 1937, p. 28.

242 Alcune delle tradizioni musicali libiche incise dall’ERR si riscontrano nella sezione dedicata agli

«Usi e costumi» dei musulmani e degli israeliti presente nella Guida del TCI [Bertarelli 1929, pp. 218- 229].

zamzamat: canto per la nascita», «Zagarit (tre trilli) per la nascita di un maschio»243), al matrimonio («Le zamzamat»244, «Il maluf (Accompagnamento dello sposo alla casa nunziale)», «Canto per il matrimonio») e alla morte («Le prefiche (Neddabit)», «Il funerale (El Zenàza)». Per il culto ebraico è registrato un unico documento inerente il rito del matrimonio («Finale di benedizione nunziale; Benvenuto agli ospiti»). Delle pratiche comunitarie caratteristiche della vita quotidiana legate all’economia e alla politica troviamo testimonianze attraverso il mercato e le attività commerciali («Costumanze tripoline: un mercato arabo», «Scaricatori del porto di Tripoli»), i rituali caratteristici della vita dei beduini del deserto («Cammello e cammelliere») e l’alzabandiera («L’ammaina bandiera al castello di Tripoli»). Risultano infine documentate le manifestazioni di folklore inerenti la vita militare (fantasie degli ascari libici ed eritrei). L’analisi dei documenti sonori ritrovati esorbita dai nostri fini, risulta tuttavia interessante notare come, in particolare nelle fantasie, le melodie e i testi dei canti facciano accenno alla presenza italiana in colonia, alternando l’italiano all’arabo («Prima Fantasia Ascari libici» da 2’38” a 2’45”).

In appendice è riportato l’elenco dei quattordici dischi 78 rpm con le incisioni di folklore libico realizzati per le trasmissioni dell’ERR, corredati dal numero di collocazione relativa all’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi (ICBSA) di Roma; a sinistra abbiamo indicato la categoria di appartenenza delle tradizioni sonore. I titoli indicati sono rispondenti a quelli riportati sulle etichette dei dischi [Appendice III, Tabella D].

Altre raccolte a quel tempo disponibili in commercio, relative alle tradizioni musicali dell’Africa orientale italiana, si trovano elencate in appendice al saggio di Guglielmo Barblan, incise per diverse etichette italiane e straniere (Odeon, Columbia, Cetra, Fonotecnica) [Barblan 1941, pp. 135-137]. Purtroppo su queste collezioni non possediamo ulteriori informazioni.

Nell’elenco di testimonianze discografiche delle tradizioni musicali dell’Africa orientale riportato dal Barblan, di cui dicevamo sopra, si trovano dischi incisi per

243 «Appena avvenuto il parto, esso viene annunciato da una donna, salita sul terrazzo della casa, con tre

trilli (zagarìt)» [Bertarelli 1929, p. 218]. Trilli di dolore emessi dalle donne, chiamati con lo stesso nome, annunciano la morte [Bertarelli 1929, p. 225]

244 Le zenzamat sono «donne cantatrici ... stipendiate dalla famiglia dello sposo» che accompagnano le

cerimonie legate alla festa per il matrimonio, che dura una settimana: «Le zenzamat accompagnano queste cerimonie cantando a tempo di tamburo lodi speciali agli sposi e alle loro famiglie. Queste

zenzamat sono pagate molto spesso lautam. al fine di ottenere che i loro canti contengano l’elogio più

bello e gradito. Esse sono temute perché, se malcontente, esercitano la maldicenza in modo terribile ...» [Bertarelli 1929, p. 221].

diverse etichette (Odeon, Columbia, Cetra, Fonotecnica). In calce, l’autore vi menziona, inoltre, una ben più ricca raccolta di 248 canti di diverse regioni dell’Impero, realizzata nel 1939 dalla casa discografica La Voce del Padrone, per iniziativa di un ricco commerciante eritreo di Addis Abeba, Salhed Ahmed Checchia,245 in collaborazione con l’Ufficio Studi della Triennale d’Oltremare, presso il quale erano al tempo custoditi.246 Per la selezione dei canti, da quanto testimonia il Barblan, viene indetto un vero e proprio concorso. Non conosciamo tuttavia, né i criteri di selezione, né i membri della commissione giudicatrice e tantomeno le modalità di realizzazione delle incisioni. La collezione rappresenta la più ampia testimonianza disponibile a quell’epoca di canti tradizionali di numerose aree del vasto territorio abissino. Tra i soggetti prescelti non mancano naturalmente gli inni di lode al Capo del Governo e al promotore dell’iniziativa di Checchia. Si tratta tuttavia di dischi non commercializzati, fatta eccezione per due canti [Barblan 1941, pp. 137- 138].

Ma soprattutto fondamentali per formarsi una conoscenza del canto abissino, sono le 248 canzoni raccolte dalle svariate regioni (Ancilling, Bisotiè, Itiemelà, Uollo, Bati, Adderec, Arada, Scillelà, Chebretalem, Gurrò- ghedai, Jebicciaè, Mecomminiè, Ghennè, Bisenadirn, Tammanai, Alluomiè, Logan-Scibò, Zelessegnà, Gassamaie, Teiccò, Massè, Tigrè, ecc.) eseguite da solisti o da coro con accompagnamento di violino, di cetra, di arpa, di flauto, di zufolo o di tamburo, che furono fatte incidere nel 1939 dalla casa «Voce del Padrone» per incarico di un facoltoso commerciante eritreo di Addis Abeba, Saleh Ahmed Checchia, su suggerimento del Cap. Dott. Giovanni Siletti e dell’Ufficio Studi della Triennale d’Oltremare. La scelta delle canzoni fu fatta con molto accorgimento, in seguito ad un concorso pratico di fronte ad una commissione, ed al quale parteciparono tutti i più noti menestrelli dell’Impero.

I soggetti delle canzoni sono sacri o profani; i sacri sono costituiti da lodi a Dio, ai Santoni, a Mosè, alla Madonna; i profani sono canti d’amore o inni di lode al Re, al Capo del Governo, ai guerrieri, ai notabili, alle popolazioni dei vari luoghi, ai sultani, agli amici e alle loro famiglie, alle donne delle varie provincie; oppure trattano episodi bellici o gesta di eroi famosi.

È questa la più avveduta, fedele e organica raccolta, indispensabile per chi voglia farsi, a distanza, un concetto della lirica popolare etiopica.

[…]

245 La collezione del Checchia è citata anche da Gavino Gabriel in una lettera indirizzata ad un certo

Leuenberger [Appendice II, Documento 12].

La raccolta di Checchia non è purtroppo, per ora in commercio, ove si eccettuino i due canti che la casa «La Voce del Padrone» ha edito per suggerimento e dietro indicazioni della Mostra Triennale d’Oltremare (Disco A I. 602 - Temelsò Chelete, Canzone Massè, Lode ai Capi eritrei;

Fecreselassiè Oglasghì, Storia del Cantiba Bechit, con acc. di chirar).247

[Barblan 1941, pp. 137-138]

Attraverso le nostre ricerche siamo riusciti a reperire alcuni di questi dischi 78 rpm, finora introvabili, oggi custoditi presso l’archivio privato della studiosa americana Cynthia Tse Kimberlin, esperta di musica abissina, amhara e tigrina.248 Tra questi è presente il 78 rpm commercializzato da «La Voce del Padrone», con numero di etichetta A I. 602, di cui parla Barblan. In appendice sono elencati i documenti sonori in oggetto, mantenendo il numero progressivo fornito dalla ricercatrice [Appendice III, Tabella E].

Le raccolte di folklore realizzate in epoca coloniale, però, come abbiamo anticipato, non stimolano analisi scientifiche da parte degli studiosi.

5.1 «Il Duce fa vibrare le corde di un’arpa araba»: le