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COLONIAL/POSTCOLONIAL STUDIES

2. Cultural studies e colonial/postcolonial studies

2.1 Cultural studies

I cultural studies nascono in Inghilterra nella seconda metà degli anni Cinquanta all’interno della critica sociale impegnata rivolta al sistema educativo della classe operaia inglese, con un particolare focus sulla letteratura, e conoscono un notevole sviluppo negli ultimi decenni del XX secolo investendo pressoché tutti gli ambiti disciplinari.1 Per cultural studies s’intende «lo studio della cultura o, più specificamente, lo studio della cultura contemporanea» [During 1993, p. 1], attraverso

1 Per una più approfondita trattazione delle origini e della storia dei cultural studies si rimanda a

un innovativo sguardo onnicomprensivo ed un insolito approccio trans-disciplinare. La novità, diremmo rivoluzionaria, da essi rappresentata, risiede infatti in una significativa apertura sia dei campi d’indagine che delle metodologie, con un’accentuata tendenza allo scambio e collaborazione tra le discipline. Due ulteriori caratteristiche dei cultural studies delle origini, strettamente connesse tra loro, sono indispensabili per comprenderne sia l’identità che il percorso di sviluppo: l’attenzione nei confronti della soggettività, quindi «lo studio della cultura in relazione alla vita degli individui», che permette ai cultural studies di superare il positivismo scientifico sociale, l’oggettivismo, e l’essere una disciplina impegnata, che consente ai cultural

studies di rappresentare un’alternativa al sistema culturale dominante, nella loro

attenzione, come abbiamo visto, nei confronti dell’interpenetrazione tra cultura e potere [During 1993, pp. 1-2].

Il contesto all’interno del quale i cultural studies hanno origine e soprattutto la finalità che perseguono, quella di colmare lo iato tra le scienze umanistiche e la società contemporanea, rappresentano un importante punto di partenza per la comprensione dell’enorme successo che hanno progressivamente riscosso a partire dagli anni Ottanta. Alla base del nuovo ambito di studi c’è una fondamentale riconsiderazione del concetto di cultura, non più chiuso all’élite intellettuale ma aperto ad una prospettiva antropologica ed etnologica, come «l’insieme dei valori, simboli, concezioni, credenze, modelli di comportamento, e anche delle attività materiali, che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale».2 In tale accezione l’oggetto dei

cultural studies si presenta ampio e variegato.3 L’attenzione riservata alla società nel suo complesso permette inoltre agli adepti di guardare senza pregiudizi alle pratiche sociali di gruppi differenti, le cui diversità si trovano del resto progressivamente fagocitate all’interno di un meccanismo globalizzante in grado di livellare e mescolare senza sosta. Dai cultural studies deriva quindi una revisione del modo di concepire la cultura e di approcciarsi ad essa. Non più torre d’avorio degli intellettuali, ma «pratiche di masse, di ceti e di nazioni», da trattare «come un insieme di pratiche significanti e forme sociali simboliche», nella plurivocità delle sue manifestazioni, superando i pregiudizi su ciò che è “alto” e “basso”. Storia, sociologia, antropologia, etnologia, letteratura, arti ed altre discipline, convivono all’interno dei cultural studies

2 Voce cultura del vocabolario Treccani, 19972, vol. I (A-C), pp. 1051-1052.

3 Raymond Williams, uno dei padri fondatori dei cultural studies, ha definito il termine cultura «one of

condividendo oggetti e metodi che rendono ormai inadeguati i rigidi confini disciplinari.

L’altra caratteristica dei cultural studies delle origini risiede nel loro essere una «engaged form of analysis» [During 1993, p. 1], rivolta alla presa di coscienza dell’ineguaglianza sociale, di una squilibrata possibilità di accesso degli individui all’educazione, al danaro, alla cura della salute, e ad un tentativo di operare «negli interessi di coloro che hanno meno risorse» [During 1993, p. 2]. Tale punto di vista consente al nuovo ambito di studi di assumere un’identità propria: «In this it differed not only from the (apparently) objective social sciences but from the older forms of cultural criticism, especially literary criticism, which considered political questions as being of peripheral relevance to the appreciation of culture» [During 1993, p. 2]. I due testi considerati pietre miliari dei cultural studies, The Uses of Literacy di Richard Hoggart (1957) e Culture and Society: 1780-1950 (1958) di Raymond Williams elaborano una profonda riflessione su entrambe le questioni esposte sopra. Williams, in particolare, mette sotto accusa le conseguenze della separazione tra «hig culture» e «culture as a whole way of life» e, soprattutto, tra cultura e società [During 1993, p. 2], una questione centrale per i futuri sviluppi della disciplina. Sebbene meditata autonomamente da Williams, su tale problematica i cultural studies incontrano il pensiero di Antonio Gramsci, la cui figura diverrà di prima importanza per la disciplina, in particolare per un ambito specifico, quello dei postcolonial studies.

In seguito alla trasformazione della classe operaia inglese e alla conseguente rottura della tradizionale identità di classe, negli anni Settanta la riflessione sul rapporto tra cultura e società incontra i concetti di egemonia e di ideologia, elaborati nel pensiero marxista e sviluppati dall’intelettuale italiano Antonio Gramsci e dal filosofo francese Louis Althusser [During 1993, pp. 5-6]. La cultura è ora interpretata quale espressione di un sistema dominante che condiziona tutti gli individui di una società: il concetto di «culture as a whole way of life» prima difeso da Hoggart e Williams cede quindi a quello di «industria culturale» teorizzato da Adorno e Horkheimer e da questo momento in poi, il fine dei cultural studies sarà quello di offrire «un’analisi critica degli effetti egemonici della cultura» [During 1993, p. 5]. L’ideologia, nell’accezione gramsciana del temine, indica l’insieme di opinioni, concetti, rappresentazioni, discorsi condivisi «which constitue the most widespread

knowledge and values» [During 1993, p. 5]. Per Althusser, la forza dell’ideologia

mutevole [During 1993, p. 5]. Il sistema culturale, indirizzato ad un pubblico quanto mai ampio e variegato, si esprime attraverso forme di pratica discorsiva, messaggi discreti, i quali necessitano dell’intervento della semiotica per un’accorta decodifica: il potere, infatti, tende a neutralizzare, almeno in superficie, questi messaggi. Ma non basta: secondo le riflessioni di Gramsci «hegemonic forces constantly alter their content as social and cultural conditions change: they are improvised and negotiable», perciò «counter-hegemonic strategies must also be constantly revisited» [During 1993, p. 5]). Di qui l’importanza attribuita da parte dei cultural studies al linguaggio e l’applicazione di «metodi di analisi testuale» per la lettura di forme e prodotti culturali sulla base del contesto [Vélez 2008]. In tal modo i cultural studies propongono un’alternativa al sistema culturale dominante, espressione del potere, attraverso il suo stesso smascheramento.