ISTITUZIONI ARTISTICHE COLONIALI IN LIBIA
L E ULTIME STAGIONI LIRICHE
7. Modernità e tradizione locale: la programmazione musicale dell’EIAR di Tripol
Il ruolo svolto dalla radio per la comunicazione di massa negli anni Trenta è strettamente connesso con la politica di controllo sui mass media e con le strategie di consolidamento del consenso nei confronti della politica coloniale imperialista [Zambotti 2007, p. 7]. Nel 1929, con la trasformazione dell’URI (Unione Radiofonica Italiana) in EIAR (Ente Italiano Audizioni Radio), la comunicazione via etere cade sotto il monopolio dello Stato. La diffusione del mezzo radiofonico in Italia, inoltre, rientra nel «progetto di modernizzazione economica e sociale del paese» [Zambotti 2007, p. 7], esteso anche ai territori coloniali. Attraverso la radio gli italiani tentano di affermare il proprio prestigio di dominatori: sin dalla prima metà degl anni Trenta, l’EIAR inaugura un «servizio speciale di trasmissioni per l’Impero e per l’estero» e attiva potenti trasmettitori nelle colonie [Boscia 1940, p. 202]. Alla fine del decennio, a Tripoli, capitale del territorio prescelto quale vetrina del dominio italiano, un servizio esclusivo è inoltre offerto alla popolazione indigena: una radio coloniale in lingua araba.141 Alla vigilia della guerra viene così inaugurato un grande strumento di propaganda per il regime, coerente con l’opera di sviluppo e promozione dei territori coloniali, in grado di lusingare le autorità e i capi locali.
Oltre a sfruttare le enormi potenzialità del mezzo radiofonico per veicolare discorsi, suoni e “immagini” aderenti al clima politico del momento, la comunicazione attraverso l’etere consente un costante scambio con le colonie, in entrambe le direzioni e con finalità disparate. Attraverso la radio gli italiani della madrepatria possono seguire le operazioni in AOI e gli emigrati restare informati sull’evoluzione della politica interna ed estera; inoltre, la funzione d’intrattenimento svolta dal mezzo radiofonico consente ai coloni di astrarsi dal contesto spesso ostile in cui si trovano ad operare, lasciandosi trasportare dalle voci e dalle musiche familiari della madrepatria; di converso, permette a coloro che vivono in Italia di ascoltare le sonorità esotiche
141 Com’è ovvio, dato il particolare momento politico, la minoranza ebraica della popolazione libica
resta isolata dalle iniziative culturali di politica indigena. Il ruolo degli ebrei nella vita economica della Libia, tuttavia, impedisce agli italiani una totale estromissione dalle attività, soprattutto turistiche.
della musica africana delle colonie, raccolte attraverso le moderne tecniche di incisione su disco.142
A Tripoli, anche agli indigeni è consentito usufruire delle moderne tecnologie diffuse dalla madrepatria, detenendo in tal modo il primato di città coloniale moderna: una «modernissima stazione di grande potenza» è installata nel quartiere della Fiera143 [Appendice I, Figura 13] e si distingue per la realizzazione di programmi in lingua araba alimentati «con servizi locali aderenti appieno alla civiltà e alla religione di quegli ascoltatori» [Boscia 1940, p. 202]; la restante porzione del palinsesto prevede invece il collegamento con le maggiori stazioni italiane. Il fine principale di Radio Tripoli è, oltre quello informativo, «di natura [...] religiosa ed educativa» [AT 4/2/1939]: attraverso il nuovo potente mezzo, infatti, la comunità araba partecipa alle celebrazioni e ai riti religiosi ufficiali trovando un legale riconoscimento alla propria cultura, indispensabile al governo coloniale per assicurare la stabilità ed evitare ribellioni. Su Radio Tripoli, notizie, interviste, “proverbi umoristici”, incontri educativi, sono corredati da momenti religiosi di lettura del Corano e dall’esecuzione di musiche e canti tradizionali, trasmessi quotidianamente, organizzati e diretti da importanti personalità del mondo islamico [AT 4/2/1939].
Come già esposto in precedenza, la politica indigena dell’ultimo Governatore, si muove in una direzione assimilazionista, o più precisamente di preservazione dell’elemento locale, consentendo la realizzazione di specifiche iniziative destinate ai libici [Goglia 1998, p. 290]. Oltre a quelle più strettamente economiche - «istituzione di un prestito presso la Cassa di Risparmio di Tripoli, [...] supporto all’organizzazione e commercializzazione dell’artigianato locale, [...] colonizzazione agricola musulmana» [Goglia 1998, pp. 290-291] - diverse sono anche le azioni in ambito sociale e culturale - scuole, istituti culturali,144 «gruppi sanitari mobili nel deserto», ricerche mediche, centri di cura [Goglia 1998, p. 291] - e a queste si aggiunge anche la radio.145
142 Cap. IV, Par. 5.
143 «La stazione dell’Eiar tripolina che è una delle più potenti e moderne ha i suoi impianti tecnici
nell’oasi di Zanzur mentre il suo auditorio si trova nel Quartiere della Fiera in quel grazioso padiglione costruito sullo stile di casa araba che accolse negli scorsi anni le Mostre del Governo Generale della Libia.» [AT 4/2/1939].
144 Tra tutti, l’Istituto di cultura islamica [Goglia 1998, p. 291].
145 É opera di Balbo anche la fondazione del mensile in lingua araba «La Nuova Libia» [Goglia 1998, p.
La funzione di propaganda internazionale rivestita dal nuovo impianto, emerge chiaramente dalle cronache:
La sezione araba della nostra stazione EIAR ha voluto attuare un programma diverso da quello di altre stazioni che danno trasmissioni in lingua araba in modo che i nostri ascoltatori sentano qualcosa di nuovo rispetto a quanto possono raccogliere da Tunisi, da Algeri, da Rabat, dal Cairo, da Gerusalemme; e in modo che coloro che ascolteranno la nostra stazione oltre i confini della Libia, abbiano la possibilità di conoscere il nostro paese e le nostre ricchezze spirituali. [AT 30/12/1938]
La fondazione della sede tripolina dell’EIAR alla fine del 1938 va ascritta tra le conquiste più importanti ed originali, dal forte impatto sulla società coloniale, soprattutto indigena. La radio si pone infatti come un importante punto di contatto tra le autorità islamiche libiche e i dominatori italiani e come un importante strumento di “salvaguardia” della cultura locale sotto molteplici aspetti, non ultimo quello musicale.
Nel seguente paragrafo ci soffermeremo sullo spazio concesso alla musica araba tradizionale all’interno del quotidiano palinsesto di Radio Tripoli, sulle peculiarità e sull’evoluzione dell’iniziativa. Le informazioni riportate sono tratte principalmente dal quotidiano coloniale «L’Avvenire di Tripoli» e dal settimanale «Radiocorriere», in mancanza di fonti di prima mano, quali le registrazioni delle trasmissioni radiofoniche, o testimonianze orali. Alcuni dati sulle figure centrali della tradizione musicale libica sono stati inoltre riscontrati attraverso ricerche incrociate, in particolare nel recente studio etnomusicologico sul folklore libico condotto dall’etnomusicologo Philip Ciantar [Ciantar 2003].
Sin dal loro inizio le trasmissioni in lingua araba dell’EIAR di Tripoli diffondono, tramite altoparlanti collocati in diversi punti strategici della città, le sonorità (per noi) esotiche del folklore musicale arabo.146 Diretti da rinomati musicisti nordafricani, tre differenti ensemble strumentali arabi tradizionali, appartenenti a tradizioni musicali diverse (libica, tripolina, egiziana), si esibiscono quotidianamente presso la sede della radio e in breve tempo si stabilizzano, inaugurando l’orchestra
146 Nella tradizione musicale araba il termine ‘folklore’ è inteso in opposizione alla categoria di musica
d’arte (cfr. nota 125), e si riferisce ad una molteplicità di idiomi e di generi, sia vocali che strumentali. Sono compresi: differenti forme di canto sacro, canti di lavoro, brani narrativi, canzoni liriche e didattiche e canti e danze d’intrattenimento in occasione del matrimonio. L’enorme varietà di manifestazioni di folklore musicale arabo rispecchia le disparate condizioni sociali di provenienza delle tradizioni, dai campi nomadi in zone aride e desolate, ai piccoli villaggi, ai centri urbani. Anche la provenienza degli esecutori varia: dilettanti, professionisti, semi-professionisti e specialisti [Wright et alii 2009].
araba dell’EIAR. Queste attività, finalizzate alla conservazione e diffusione delle tradizioni locali, oltre a rappresentare le più evidenti testimonianze degli effetti della politica indigena di Balbo, sono le prove di un quotidiano interscambio culturale tra arabi e italiani in colonia.
Le radiotrasmissioni in arabo della stazione EIAR di Tripoli si inaugurano il 29 dicembre 1938, corrispondente al «primo venerdì del mese di Dhu l-qà’da del 1357 dell’Egira» [AT 17/12/1938],147 un periodo in cui vengono ultimati i preparativi per il Pellegrinaggio alla Mecca [AT 30/12/1938] - un avvenimento di rilievo nella cultura islamica che trova uno spazio particolare nel palinsesto dell’emittente coloniale. Attraverso il mezzo radiofonico l’Islam tripolino riceve un’inedita attenzione e le ricorrenze del calendario islamico trovano nelle trasmissioni un’ampia risonanza, consentendo anche ai residenti italiani ed ai turisti di parteciparvi, sebbene passivamente. Nella programmazione quotidiana un notiziario precede la recitazione cantata del Corano o un momento di conversazione con un rappresentante della fede islamica, seguito da un concerto di un’orchestra tradizionale libica, egiziana o tripolina. Le musiche eseguite appartengono al folklore arabo, sia sacro che profano, riflettendo l’estrema varietà di idiomi musicali convergenti sotto la stessa etichetta. Dei programmi dell’EIAR di Tripoli non sono stati purtroppo conservati nastri o dischi, ma siamo stati in grado di reperire l’intera programmazione pubblicata sul «Radiocorriere» e sul quotidiano locale della capitale libica. L’interesse del nostro lavoro risiede tuttavia nella divulgazione delle tradizioni musicali orientali attraverso il canale radiofonico, le cui trasmissioni vengono intercettate anche da ricevitori in altri territori del Nord Africa [AT 30/12/1938].
Il successo della nuova stazione radio determina, nel giro del primo mese di attività, un incremento del tempo di trasmissione, inizialmente limitato a quarantacinque minuti in prima serata, distribuito in due momenti diversi della giornata [Appendice I, Tabella C]. A partire dall’inizio di febbraio 1939, inoltre, attraverso altoparlanti posizionati in punti strategici di grande affluenza della capitale libica, le trasmissioni raggiungono tutta la popolazione tripolina.148 Un’operazione di
147 Il calendario islamico parte dall’anno 622, in cui fu compiuta l’Egira dal profeta dell’Islam
Maometto, e si compone di 12 mesi alternativamente di 30 e 29 giorni. L’anno islamico è, in totale, di 354 giorni.
148 Gli altoparlanti sono dislocati all’incrocio della Dahra Grande con via San Francesco, all’inizio di
Sciara Zavia, entro Suk el Turk, in Piazza dell’Orologio, in Corso Sicilia, in via Arba Arsaat, in Piazza Legna, presso la Galleria Mariotti, in Piazza Banco di Roma, in via dei Bastioni e presso l’Arco di Marco Aurelio [AT 4/2/1939].
diffusione degli apparecchi radio privati è, in più, promossa attraverso la riduzione dei costi. Nei mesi successivi, gli altoparlanti pubblici vengono dislocati anche in tutti i Comuni libici [AT 4/2/1939]. L’allargamento del pubblico radiofonico coloniale al di fuori dell’ambito borghese e urbano in tal modo ottenuto, garantisce al governo fascista un totale controllo sulla popolazione locale149 e nel contempo un diffuso consenso.
Il contenuto della programmazione quotidiana, divulgato dalla cronaca locale, è modellato sulla base delle ricorrenze della religione islamica (passaggio dei pellegrini diretti alla Mecca, solennità religiose, etc.) e sulle esigenze della popolazione araba. Un’enfasi particolare è assegnata al ruolo educativo della radio, sia in ambito sacro, con momenti di lettura del Corano, sia profano, con trasmissioni dedicate alle donne musulmane. A Radio Tripoli, inoltre, uno spazio particolare è occupato dalla musica «originale e tipica della regione» [AT 4/2/1939]. Sin dal primo giorno di trasmissione, piccoli gruppi strumentali tipici si esibiscono presso la sede nordafricana dell’EIAR in musiche e canti tradizionali.
La larga accoglienza delle trasmissioni arabe da parte del pubblico locale promuove l’iniziativa portando progressivamente anche ad un’estensione del tempo della programmazione musicale. Inizialmente ridotto, lo spazio riservato alla musica tradizionale si estende progressivamente, richiedendo la partecipazione di formazioni stabili ed in seguito anche l’uso di dischi registrati in alternanza all’esecuzione dal vivo. Collaborano al progetto, in qualità di direttori d’orchestra, Kamel El Qadi,150 Bescir Fehmi e Mukthar el Mrabet, già attivi come musicisti e rinomati custodi delle tradizioni musicali indigene. Progressivamente si stabilizzano tre piccole orchestre, ognuna diretta da uno dei maestri arabi, ed in seguito il programma si arricchisce di nuove proposte e di nuove personalità del mondo musicale arabo. Le piccole compagini prendono il nome dalla tradizione musicale di riferimento: nascono le orchestre arabe La Libica, diretta da Bescir Fehmi, L’Orientale, guidata da Muktar el
149 Senza altoparlanti pubblici l’iniziativa sarebbe di certo rimasta isolata: la diffusione della radio nelle
abitazioni private in quegli anni era limitata, soprattutto per gli indigeni, e i centri rurali restavano isolati rispetto alla città.
150 Kamel El Quadi (el-Qady) (1908-79) è un noto shaykh (anziano maestro la cui autorevolezza deriva
dalla funzione di depositario delle tradizioni popolari, in questo caso musicali e poetiche) di Tripoli, esperto di maluf, un genere musicale vocale, di presunta origine andalusa, con accompagnamento strumentale, diffuso in Nord Africa. Oltre ad essere un riconosciuto poeta di zajal (versi colloquiali) in grado di improvvisare interi componimenti in occasioni particolari, è un rinomato suonatore di qanun (cetra a corde pizzicate di forma trapezoidale) e di ud [Ciantar 2003, p. 139]. Per ulteriori approfondimenti sulla tradizione del maluf arabo si veda Ciantar 2003.
Mràbet e La Tripolina, diretta da Kamel El Qady, attive e stabilizzate fin dal primo mese di attività della radio, alle quali si aggiungono in seguito altre formazioni, come
La Bengasiana di Alì Sciaalia e con le quali collaborano artisti nordafricani. Ciò che
preme agli organizzatori, tuttavia, è la volontà di divulgare, al di là della religione, la specifica cultura locale attraverso la promozione di musiche e canti tripolini. A partire da metà febbraio 1939, infatti, nasce un’orchestra araba dell’EIAR diretta da Ismail Gaber Mohammed Alì e composta (con ogni probabilità) da elementi tripolini [AT 4/2/1938]; dall’anno successivo, inoltre, un complesso corale si aggiunge agli strumenti [«Radiocorriere» dicembre 1938 - marzo 1940]. Il programma musicale diviene dunque, da subito, un appuntamento fisso all’interno del palinsesto di Radio Tripoli ed un efficace strumento di diffusione della cultura locale [Appendice I, Tabella C].
Gli ensemble strumentali si cimentano nell’esecuzione di un programma vario, non di rado arricchito dalla presenza di noti artisti arabi o di virtuosi degli strumenti tradizionali, spesso gli stessi direttori. La prima trasmissione musicale vede ad esempio, lo stesso Kamel El Qady in qualità di solista al liuto arabo e, qualche giorno più tardi a dirigere l’orchestra tripolina con la partecipazione della cantante Nègemet el Sahara. Canti e musiche legati ad occasioni celebrative, come la Nuba, il maluf, le
zamzamat151, si alternano a brani didattici e uno spazio è inoltre riservato alle «nuove creazioni musicali sempre di natura locale» [AT 4/2/1939].
Quale isolato tentativo di dialogo tra le tradizioni europea e araba, nel 1939 la nota clavicembalista italiana Corradina Mola, in tournée a Tripoli, varca la soglia della sede tripolina dell’EIAR per l’esecuzione di musiche arabe presso la radio cittadina [AT 22/1/1939]; in quell’occasione l’interprete assimila il clavicembalo al cembalo orientale, e vi esegue brani di «musica araba» come aveva già sperimentato nel programma presentato al Teatro Uaddan.152
L’impatto immediato della radio tripolina sulla cultura locale non passa in secondo piano: essa influisce sulle tradizioni indigene, estraniandole per la prima volta dal contesto originale. Diversamente da quanto si credeva [Ciantar 2003, pp. 142-143], non bisogna attendere il dopoguerra per conoscere un primo stravolgimento delle tradizioni di folklore libico. La dislocazione della componente musicale dal
151 Si tratta, rispettivamente, di tradizioni musicali del folklore islamico nordafricano legate alle
ricorrenze del matrimonio (nuba e maluf) e della nascita (zamzamat). Cfr. Cap. IV, Par. 5.
152 Cfr. Par. 6 e Appendice I, Tabella B. Purtroppo non siamo riusciti a reperire ulteriori informazioni
contesto di appartenenza, infatti, provoca una totale alterazione della tradizione, soprattutto nel caso delle manifestazioni musicali legate a ricorrenze della vita religiosa. La decontestualizzazione dei brani comporta la conseguente mutazione di talune caratteristiche: ai fini dell’adeguamento ai ridotti tempi della registrazione su disco e della trasmissione radiofonica, ad esempio, la durata dei brani subisce una forzata riduzione; inoltre, l’uso del mezzo radiofonico comporta una diffusione ben al di là del luogo e dell’occasione performativa. Purtroppo non abbiamo ad oggi testimonianze dirette degli ascoltatori di Radio Tripoli, italiani o arabi, al di là delle notizie pubblicate su «L’Avvenire di Tripoli» - che non possiamo considerare attendibili in un periodo di forte controllo dello Stato sulla stampa - per comprendere l’effetto della moderna tecnologia sulla cultura tripolina.
Di certo l’operazione deve aver rinsaldato i legami tra gli arabi e i colonizzatori: il nuovo mezzo di comunicazione, forte indice di modernità, strumentalizzato a livello ideologico, diviene un potente strumento di propaganda nei confronti della popolazione locale. Un altro aspetto da non tralasciare, però, è l’immagine della cultura tripolina e araba in generale divulgata attraverso la radio, comunque accessibile dai turisti e dagli italiani residenti in colonia. Ciò che viene presentato è, infatti, l’aspetto tradizionale della cultura locale e, da questo punto di vista, possiamo concordare con l’ipotesi, largamente sostenuta, della volontà degli italiani di «impietrire la comunità araba nel passato»153 [Steer, in Segre 1985, p. 1060], arrogandosi il vanto di sostenerne il processo di “rinascita” e modernizzazione.
153 Cfr. Cap III, Par. 3.