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1928: IL PRIMO RIFACIMENTO PER « UN VERO TEATRO COLONIALE »

ISTITUZIONI ARTISTICHE COLONIALI IN LIBIA

1928: IL PRIMO RIFACIMENTO PER « UN VERO TEATRO COLONIALE »

Con l’ascesa del totalitarismo di regime l’edilizia coloniale entra progressivamente nella sfera di interessi del Governo [Fuller 2007, p. 12]. Il regime, dal canto suo, persegue l’obiettivo di forgiare i territori coloniali secondo un’idea di progresso, modernizzazione e civilizzazione che, secondo l’ideologia del tempo, soltanto una società superiore può rendere concreta. Edifici, strade, opere pubbliche e monumenti nascono proprio come oasi nel deserto, anche se una distinzione va fatta tra i territori dell’Africa orientale e la Quarta Sponda, e in quest’ultima tra aree cittadine, periferie e piccoli centri. Inoltre, se precedentemente l’iniziativa privata si muove senza un piano preciso, con il risultato di un’assoluta eterogeneità di stili architettonici, progressivamente gli architetti a sevizio del regime stabiliscono e impongono direttive ben precise. Queste ultime saranno a loro volta riviste con il passaggio del testimone da una generazione all’altra e col parallelo e progressivo mutamento di concezioni, da un primo tentativo di coniugare modernità e folklore locale, volendo conferire al territorio coloniale un’identità propria e originale (comunque di marca italiana), ad un inconfondibile marchio nazionale di stampo modernista e razionalista nella seconda metà degli anni Trenta [Fuller 2007].

Con la raggiunta pacificazione della regione e l’incremento delle attività economiche sotto le direttive del nuovo Governatore, il Quadrumviro Emilio De Bono - alla guida della colonia dal luglio 1925 al 1934 - si fa sempre più urgente la necessità di fornire l’«Africa romana» di un «vero teatro coloniale»:

[…] un Teatro che sarà all’altezza dei più importanti spettacoli, che darà lustro e decoro alla Capitale coloniale in questo periodo di rinnovazione edilizia, di effervescenza di vita nuova di preparazione a nuovi slanci sulla base sempre più solida e più vasta della sua valorizzazione agraria. [Ricci 1928]

Tale esigenza si concretizza nella costruzione ex-novo del Miramare, dalle macerie del nucleo precedente, raso al suolo [Placido 1928, p. 149]. Retoricamente

89 Il diretto riferimento all’atmosfera tripolina contenuto nel testo della canzone, lascerebbe intuire che

la composizione risalga al periodo tripolino o a quello successivo. Tale dato, tuttavia, resta da verificare.

funzionale alla celebrazione di una “nuova era” del processo di colonizzazione, con il nuovo Miramare

[…] uscita dal buio Suk el Turk, l’anima teatrale della ridente cittadina africana oggi respira più ampiamente sotto il sole immenso, al cospetto del mare e dell’oasi, alla stessa guisa che s’allieta di più ampio ritmo tutta la vita e la coscienza coloniale dell’Italia Nuova. [...] [Placido 1928, p. 149]

Il nuovo edificio, dalla gaia facciata in stile neo-moresco [Appendice I, Figura 2], risplende nella passeggiata del Lungomare Volpi e s’intona per sfarzo e luminosità ad altre importanti costruzioni italiane a Tripoli di nuova realizzazione [Appendice I, Figura 1], come la Banca d’Italia e il Palazzo del Governatore [Fuller 2007, p. 154- 155]. La tendenza a fondere il vernacolo locale con elementi stilistici nostrani, in voga in quegli anni, in un’accezione di mediterraneità alquanto sfumata [Fuller 2007, p. 158], si manifesta anche in questo caso:

[...] La decorazione all’esterno è fatta a graffito giallo su rosso e giallo su verde e tutti i motivi decorativi sono del tipo orientale addolcito dai nostri stili. Tale criterio fu giustamente seguito anche per la decorazione interna. [...] [Ricci 1928]

La scelta di uno stile orientale consente, allo stesso tempo, di non «distaccarci eccessivamente dalla bellezza esotica e viva dell’ambiente» [Placido 1928, p. 149] e di garantire alla colonia un contesto caratteristico, affascinante per i turisti. Una scelta in futuro criticata dagli architetti razionalisti che provvederanno ad adattare l’estetica del Teatro al rinnovamento del gusto.

Sfoggio di luci, colori, ornamenti, pitture e stucchi decorativi risplende all’interno

[…] l’originalità dello stile è sapientemente accoppiata ad una certa grandiosità di prospettive e di linee, ed il tutto è armonicamente alleggerito da meravigliosi ricami decorativi. Uno sfarzoso lampadario di diciottomila candele inonda di una luce poderosa ed uguale tutto l’ampio spazio che va dall’ingresso al palcoscenico, e conferisce all’azzurro cupo della volta un mirabile contrasto luminoso con le auree decorazioni profuse in giro. Magnifici i due foyer ampii, ariosi, spaziosi e fastosi di bellissime pitture ornamentali. [...] [Placido 1928, p. 149]

Il palcoscenico, di 17 metri di profondità, è osservato da una platea di 400 metri quadri con 900 posti, cinta da 25 palchi di primo ordine, compreso il palco Reale al centro, 22 di secondo e una galleria a due ordini di posti in grado di contenere 550 spettatori seduti. Altri posti, a prezzi ridotti, sono ricavati nel piano rialzato

circostante la platea [Ricci 1928]. In totale il Teatro è in grado di ospitare un pubblico di circa 1800 spettatori, distinguendosi come il più grande e prestigioso teatro coloniale, dotato di scene fisse dello scenografo del Teatro alla Scala, Antonio Rovescalli90[Placido 1928, p. 149].

Il teatro è dotato di due ampi foyers e di un lussuoso bar in stile orientale [Placido 1928; Appendice I, Figure 4 e 5]. Inoltre, a partire dal 1932, con la valorizzazione dell’elemento di colore locale quale mezzo di attrazione per i turisti, una delle sale accessorie in stile orientale,91 rinominata «salone moresco», ospita anche compagnie di spettacoli orientali. Nei mesi estivi, la vasta terrazza sovrastante il Teatro rappresenta un ulteriore spazio di attività, dedicata all‘intrattenimento mondano [Ricci 1928].

[...] Vernacolo locale e modernità si fondono in una struttura dotata di tutti i comfort, come il lussuoso bar, e sovrastata da una terrazza che si affaccia sul lungomare, in estate allestita per l’intrattenimento serale, con orchestrina o pianobar. [...] [Placido 1928, p. 149]

A progettare e realizzare il nuovo teatro coloniale, due professionisti residenti a Tripoli, Aldo Bruschi e Angelo Piccardi.

L’omaggio di De Bono alla città costiera porta indelebile il suo nome, impresso sulla parte frontale dell’arco strutturale che sovrasta il palcoscenico, preceduto dall’anno dell’Era fascista: «Anno VI Consule De Bono».

A rinforzare la già forte paternità italiana e l’orgoglio nazionalista per le realizzazioni coloniali, è un’allegoria dipinta sul sipario, opera del pittore catanese Alessandro Abate,92 dal titolo L’Italia moderna nel suo sviluppo, illuminata dalla

visione di Roma Imperiale [Ricci 1928]. L’immagine si staglia orgogliosamente sullo

sfondo di ogni celebrazione ufficiale ospitata dal Teatro, con la bandiera italiana e il simbolo reale ben visibili sul lato superiore [Appendice I, Figura 3].

L’edificio è costruito e gestito dalla Società per Alberghi, Ristoranti e Teatri (S.P.A.R.T.), diretta dal Cav. Giuseppe Abela Salinos - probabilmente lo stesso proprietario dell’Albergo Savoia e del Teatro, citato prima - già peraltro attivo in

90 Antonio Rovescalli (1864 - 1936), illustre scenografo del Teatro alla Scala di Milano dal 1911 al

1936.

91 Dalle descrizioni non è ben chiaro quale fosse, ma è possibile che sia il bar o uno dei due foyers. 92 Alessandro Abate (Catania 1867 - 1953), pittore e decoratore. Legato all’arte figurativa si esprime in

una molteplicità di stili in voga al tempo, dalla pittura tradizionale all’art nouveau, non trascurando l’ispirazione verista. É autore di un significativo numero di lavori, soprattutto in ambito catanese [Bonaiuto 2009].

ambito impresariale con il Teatro Politeama, il Supercinema Alhambra e impegnata anche nella gestione dello Stadio Italia e del bar ristorante del Teatro Miramare [Placido 1928, p. 149]. Si tratta, con ogni probabilità, di una prima esperienza di gestione delle strutture turistiche, più tardi estesa e ufficializzata con la fondazione dell’Ente Turistico Alberghiero della Libia (ETAL) nel 1935, un’organizzazione sponsorizzata dalle autorità fasciste, chiamata a guidare l’industria del turismo in Libia [McLaren 2006, pp. 58-77]. All’interno dell’ETAL è attivo il Servizio per il Teatro e gli Spettacoli con il compito di promuovere e gestire attività culturali e ricreative destinate ai turisti [McLaren 2006, p. 63]. Purtroppo la documentazione specifica relativa a tale organizzazione non è stata rinvenuta.