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Il colonialismo italiano: un problema storiografico

DEI CULTURAL STUDIES SUL COLONIALISMO ITALIANO

3. Il colonialismo italiano: un problema storiografico

L’esperienza coloniale nazionale non ha conosciuto grande favore tra gli studiosi nei primi decenni del secondo dopoguerra. All’indomani del conflitto mondiale, problemi più urgenti catalizzano l’opinione pubblica, ma soprattutto preme la volontà di cancellare una vicenda poco gloriosa del passato nazionale [Palumbo 2003, p. 1]. Sapienti manovre politico-culturali guidate dai governi repubblicani hanno dunque condotto verso una manipolazione, rimozione e «perdita della memoria del proprio passato coloniale» [Labanca 1993, p. ix]. Ciò ha determinato un ritardo negli studi storiografici affrancati da legami ideologici e ha inibito analisi al di fuori dell’ambito politico-istituzionale. «Ambigui ‘ritorni’ di colonia [manifestati] a più livelli» in Italia [Triulzi 2002, p. 3], soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta, tuttavia, hanno progressivamente ridestato dall’oblio un capitolo non irrilevante di storia passata.

Parallelamente alla caduta della dittatura nell’immediato dopoguerra, la perdita delle colonie e i gravosi debiti in seguito alla sconfitta nel secondo conflitto mondiale aggravano l’urgenza di porre fine ad un passato tutt’altro che illustre. Per quasi quarant’anni, dunque, l’epoca coloniale italiana è stata presentata come «un periodo chiuso riguardo al quale ciò che doveva essere detto era già stato detto» [Romain Rainero, in Sbacchi 2007, p. 168]. Ad affrettare il processo di occultamento della parentesi coloniale concorre anche il tentativo della giovane Repubblica di trovare un compromesso con le Nazioni Unite al fine di assicurare la conservazione almeno della colonia nord-africana sul Mediterraneo [Dumasy 2008, p. 83]. Con l’obiettivo di archiviare ogni rischio e di esaurire i discorsi sull’esperienza coloniale, durante il primo ventennio della prima età Repubblicana viene pubblicato un monumentale studio sul colonialismo in 50 volumi, L’Italia in Africa, frutto del lavoro di un selezionato gruppo di simpatizzanti e appartenenti alla lobby coloniale, presentato quale summa definitiva del sapere coloniale; parallelamente viene posto il divieto di accesso agli archivi storici per gli altri studiosi, caduto soltanto alla fine degli anni Ottanta. La conseguente mancanza di un’oggettiva valutazione critica del colonialismo, a differenza di altre nazioni dal passato coloniale, ha tuttavia lasciato circolare miti e falsificazioni e ha tenuto sospese annose questioni politico-

diplomatiche, ancora oggi aperte27 [Del Boca 1989, 1991, 1992, 2003]. La negazione del passato coloniale ha inoltre impedito all’Italia di dar vita ad un vero e proprio processo di decolonizzazione, ritardato anche dalla mancanza, nel dopoguerra, di storici provenienti dalle ex-colonie, anche in conseguenza della politica culturale perseguita dagli italiani in Africa. Tali lacune in ambito storiografico hanno, in più, a lungo inibito analisi al di fuori dell’ambito storico-istituzionale o burocratico- amministrativo [Triulzi 2002, p. 5]. È ormai opinione condivisa che «The minimization of colonial history within Italian contemporary historiography has been one of the negative consequences of this Italian repression and passivity» [Taddia 2005, p. 210]. Il costante impegno degli studiosi, soprattutto dall’ultimo ventennio del secolo scorso, ha tuttavia consentito la lenta ma inevitabile riabilitazione della memoria e la progressiva ricostruzione del fenomeno in tutta la sua complessità, un’operazione del resto necessaria dal momento in cui «la questione coloniale in Italia […] permane non solo come questione storiograficamente irrisolta […] ma ‘ritorna’, come ogni memoria latente o rimossa» [Triulzi 2002, p. 5].

Avvenimenti recenti, infatti, testimoniano la permanenza di legami con le ex- colonie. Nell’ultimo decennio diversi episodi hanno risollevato la questione, tra cui la pubblica ammisione degli errori e crimini commessi dall’Italia nei confronti dei Paesi coloniali28 e la restituzione dell’Obelisco di Axum,29 uno dei principali simboli della «vocazione imperiale del fascismo» [Aruffo 2007], sottratto all’Etiopia dal governo fascista e innalzato a simbolo dell’Impero.30 Tali avvenimenti hanno inoltre probabilmente inaugurato una riflessione parzialmente liberata da gravi pesi morali. In

27 L’ultimo Governo Berlusconi ha firmato, il 30 agosto 2008 a Bengasi, un accordo bilaterale con la

Libia, il Trattato di Amicizia, partenariato e cooperazione, il cui movente principale è la richiesta di risarcimento del periodo coloniale con l’obiettivo della definitiva chiusura del passato coloniale. Cinque miliardi di dollari è la cifra del contenzioso coloniale che l’Italia ha garantito alla Libia in

vent’anni. Il Trattato è entrato in vigore il 2 marzo 2009.

[http://www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera/Aree_Geografiche/Mediterr_MO/Rapporti+bilaterali+Pae si+del+Maghreb/Libia.htm].

28 La prima condanna pubblica del colonialismo italiano di fronte alle popolazioni ex-coloniali è stata

pronunciata dal Presidente Scalfaro nella visita ad Addis Abeba del 1997; recentemente nuove scuse sono state poste alla Libia dal Governo Berlusconi.

29 La città di Axum è ubicata al centro della regione del Tigrè, dove si trova Adua.

30 Per le vicissitudini legate all’ammissione delle colpe dell’Italia nei confronti dei paesi colonizzati e

alla restituzione della stele di Axum si vedano Del Boca 2003, pp. 21-25 e Sbacchi 2007, pp. 192-193. Il definitivo riassestamento del monumento etiope, portato a Roma da Mussolini nel 1937 e restituito all’Etiopia nel 2005, è stato portato a termine il quattro settembre 2008, inaugurato da una cerimonia ufficiale presieduta dalle massime autorità etiopi e da una delegazione italiana presieduta dal sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica [LR 4 settembre 2008]. Alla fine dell’agosto 2008, in occasione della firma dell’accordo bilaterale Italia-Libia, è stata celebrata un’altra restituzione coloniale, la statua della Venere di Cirene, saccheggiata nel 1913 durante il conflitto italo-turco, richiesta fin dal 1989 dal governo libico [LR 30 agosto 2008].

un recente articolo, Alberto Sbacchi, ad esempio, ha tentato di indicare, questa volta alla luce delle nuove acquisizioni e di una superiore oggettività consentita dal maggiore distacco storico, «gli aspetti positivi della presenza italiana in Etiopia» [Sbacchi 2007, p. 167]. Recenti sono anche alcuni tentativi «to review the influence and effects of the Italian colonial experience for State making in the Horn of Africa» [Calchi Novati 2008, p. 41].

Parallelamente, l’attenzione politico-economica euro-americana verso l’area mediterranea e la pressante questione dell’immigrazione dalle ex-colonie nel nostro Paese hanno reso sempre più urgente la riflessione nei confronti del passato coloniale [Palumbo 2003, p. 1]. Il ciclico riaffiorare del passato, pubblico e privato, negli eventi contemporanei, sia per le reiterate promesse dei governi di saldare i debiti di guerra ancora aperti, sia per mezzo della pubblicazione di testimonianze di soggetti nati nei luoghi segnati dall’esperienza coloniale italiana, continua a fornire nuovi stimoli. Inoltre, il proliferare di studi sulle interazioni tra Stato e cultura durante l’epoca fascista, un ambito precedentemente negletto, ha stimolato le indagini anche sulla parentesi coloniale del regime. Il contributo dei cultural studies, la tendenza intellettuale che, come abbiamo visto, più ha dato vigore, negli ultimi decenni, allo studio di questo tema, ha consentito lo sviluppo di analisi su aspetti del colonialismo italiano precedentemente inesplorati.

L’impostazione derivata dai cultural studies ha indirizzato la discussione e la ricerca sui temi della memoria, della retorica, dell’immaginario, del razzismo, delle questioni di genere e della sessualità, dell’incontro e dello scambio colonizzati- colonizzatori, nei più diversi luoghi della cultura. Espressioni artistico-culturali coloniali come letteratura, architettura, arte, cinema e fotografia non rappresentano più territori oscuri: in essi è oggi possibile iniziare ad orientarsi per meglio comprendere l’esperienza coloniale in maniera complessiva. Mentre negli anni Novanta si lamentava ancora una scarsità di ricerche, nel corso dell’ultimo ventennio l’interesse degli studiosi italiani e stranieri ha permesso una rivisitazione delle questioni legate alla cultura coloniale nazionale, proponendo nuovi interrogativi e utilizzando metodi e teorie già impiegati nelle analisi di altri contesti coloniali e postcoloniali. Tra gli ambiti d’indagine: il coinvolgimento degli ambienti intellettuali, la permanenza di stereotipi e pregiudizi nelle relazioni con l’ “Altro”, il peso dell’esperienza coloniale sulla costruzione dell’identità nazionale, nonché le attuali ripercussioni della dominazione italiana sulla cultura dei territori ex coloniali. Come ha affermato

Patrizia Palumbo «the Italian colonial past […] must also be a primary object of investgation since, in spite of its limits, it obviously has had huge repercussions in Italy and in the colonies» [Palumbo 2003, p. 2]. Un capitolo di storia sommerso sembra progressivamente tornare alla luce, capovolgendo le certezze di un sapere comune a lungo distorto ed aprendo nuove prospettive per una più obiettiva cognizione del passato ed una più profonda consapevolezza del presente. Quello che si voleva far apparire come un periodo chiuso e non più degno di discussione si rivela essere in realtà ancora da esplorare, soprattutto per quegli ambiti rimasti ancora estranei alle indagini.