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Cenni storici sul colonialismo italiano in Libia

ISTITUZIONI ARTISTICHE COLONIALI IN LIBIA

2. Cenni storici sul colonialismo italiano in Libia

La Libia, annessa nel 1911 dopo Eritrea e Somalia, rappresenta, in ordine cronologico, l’ultima conquista italiana dell’età liberale. «Trampolino di lancio contro l’Egitto britannico […] [e] strumento di controllo del ‘Mare nostrum’» [Labanca 2004, p. xiii], il territorio si presta a rivestire il ruolo di vera e propria “vetrina” per il potere coloniale italiano. Dopo una lunga fase di pacificazione militare seguita alla conquista, conclusa all’inizio degli anni Trenta al costo di pesanti misure repressive, la colonia conosce il periodo di massimo sviluppo economico e culturale sotto il governo di Italo Balbo (1934-1940). Contestualmente al progetto di «italianizzazione» e di pacificazione civile promosso dal ferrarese, espliciti segnali di dominio si affiancano ad operazioni di modernizzazione e progresso economico e la cultura locale conosce originali operazioni di preservazione e valorizzazione, per giunta in conflitto con le nuove leggi razziali del Governo centrale. Durante la seconda guerra mondiale, l’Italia perde il dominio militare, che passa al controllo britannico (British Military Administration - B. M. A.).

Dopo l’occupazione dei due territori dell’Africa orientale, il Governo italiano, guidato da Giovanni Giolitti, persegue l’obbiettivo di rafforzare la presenza sul Mediterraneo. Le mire espansionistiche inglesi e francesi nel Nord Africa, infatti, minacciano di escludere l’Italia dai traffici commerciali con l’Africa e l’Oriente. La Libia, regione prospiciente la penisola italiana, di antica dominazione romana, rappresenta la materializzazione dell’agognata «terra promessa», il cui richiamo proviene dal passato, dalla potenza imperiale di Roma [Del Boca 1986, p. 54 - 56]. L’invasione della Libia è preceduta da uno sforzo di penetrazione pacifica, economica e culturale inaugurato nel primo decennio del Novecento, per iniziativa del Banco di Roma, ed è sostenuta da una diffusa campagna interventista in grado di raggiungere tutti gli strati della popolazione italiana [Goglia - Grassi, p. 40]. I miti su cui poggia la campagna si alimentano nelle forme più disparate della stampa e dei nuovi mezzi di comunicazione, diffusi, per la prima volta, su vasta scala: cartoline illustrate, giornali popolari, libri divulgativi, cinema muto, documentari evocano il «destino imperiale di Roma […] il diritto della “grande proletaria” a popolare e coltivare; la missione di civiltà» [Goglia - Grassi 1981, pp. 139-144]. Anche le canzonette rivestono un ruolo non di secondo piano nella diffusione delle idee espansioniste: nei luoghi di ritrovo e

di intrattenimento di inizio Novecento, come i cafè-chantant, orgogliose incitazioni patriottiche e superbe asserzioni di certa vittoria risuonano come motivi popolari.

Dopo la conquista, la difficile situazione provocata dalle continue azioni di ribellione da parte della popolazione locale, porta ad una rapida caduta del consenso nei confronti delle azioni espansionistiche della madrepatria. Per di più, delle due ampie regioni che costituiscono la Libia, Tripolitania e Cirenaica, quest’ultima, strenuamente difesa dai senussi,61 ricade sotto la loro amministrazione e tutto il dominio italiano sul Mediterraneo inizia a vacillare.

All’indomani della Marcia su Roma (1922), la situazione della politica coloniale è critica e alto è il rischio di perdere il controllo sui domini africani. Contestualmente alla salita al potere di Mussolini riprendono le operazioni di riconquista militare della Tripolitania iniziate da Amendola, il Ministro delle Colonie dello Stato liberale, per iniziativa del Governatore Volpi. Dopo un lungo periodo di dominio indiretto sulla Cirenaica, con pieni poteri di governo lasciati ai senussi, ristabilita la sovranità diretta degli italiani, la completa pacificazione militare della colonia mediterranea si compie nel 1932, a seguito di crudeli azioni vessatorie. In questa situazione i colonizzatori si macchiano di delitti incancellabili, tornati alla luce soltanto in seguito alla riapertura degli archivi coloniali, grazie alle ricerche dello storico Angelo Del Boca. Protagonista della politica di repressione indiscriminata è il generale Rodolfo Graziani, al servizio dei diversi Governatori della colonia che si succedono negli anni, prima Giuseppe Volpi (1921 - 25), poi Emilio De Bono (1925 - 28) ed infine Pietro Badoglio (1928-33), sotto il quale, dopo la riconquista della regione più a Est, i due Governatorati di Tripolitania e Cirenaica si riuniscono sotto un’unica autorità: il Governatore Generale della Libia.

All’inizio del 1934, la nomina di Italo Balbo a Governatore Generale segna una nuova fase nella politica coloniale d’Oltremare. Al momento dell’assegnazione dell’ufficio, Balbo è un gerarca fascista di primo piano, in vista presso l’opinione pubblica mondiale per il suo dinamismo e la sua indole carismatica; in principio egli accetta suo malgrado la volontà del Duce, ma nel giro di qualche anno è in grado di trasformare la colonia in un vero e proprio prolungamento della madrepatria e di farne un luogo di prestigio. Balbo giunge in Libia in un periodo particolarmente propizio: la

61 Musulmani residenti nello stato territoriale cirenaico con capitale Giarabub fondato da Muḥammad

ibn ῾Alī as-Sanūsī (1787-1859), padre della confraternita religiosa musulmana “Sanūsiyya”, dal quale discendono.

pace militare delle due regioni, raggiunta nel 1932, rende la gestione del territorio e il governo delle popolazioni per molti versi meno complicati; con la campagna d’Etiopia e la fondazione dell’Impero, inoltre, l’attenzione della madrepatria nei confronti dei territori coloniali si rafforza. Grazie all’operato dei Governatori precedenti, la colonia già presenta, all’investitura di Balbo, un profilo di territorio coloniale italiano e moderno: durante la gestione di Giuseppe Volpi l’edilizia coloniale conosce una prima fase di intervento governativo con la realizzazione delle prime opere pubbliche, come il prestigioso Lungomare Volpi, ben visibile all’arrivo delle navi; con De Bono giunge a compimento la fase di “rinascita” della Tripolitania con l’edificazione di chiari segni di dominio, tra cui il sontuoso Teatro Miramare, collocato in posizione preminente sul Lungomare, nei pressi del Castello di Tripoli; con Badoglio, infine, lo sviluppo economico della colonia raggiunge importanti obiettivi, attraverso originali operazioni di organizzazione del turismo e con la Fiera di Tripoli.

Per iniziativa del «Maresciallo dell’aria», si assiste ad una vera e propria trasformazione della Libia, da un lato attraverso un consistente processo di italianizzazione della colonia, dall’altro per mezzo di una politica indigena alternativa, perseguita «prendendo molto sul serio la sua missione di rappresentante di una nazione civilizzatrice» [Segre 1985, p. 1058].

Come abbiamo già affermato, il fine del colonialismo nazionale non è soltanto quello dello sfruttamento delle risorse dei territori coloniali e della loro valorizzazione, ma anche quello della risoluzione di pressanti problemi interni, quali la sovrappopolazione, la disoccupazione e l’emigrazione nelle regioni atlantiche. L’italianizzazione della regione nordafricana è perseguita per mezzo di un progetto di «colonizzazione demografica intensiva» [Del Boca 1988, p. 256] - ovvero il trasferimento di ingenti masse di coloni sul dominio territoriale62 - e attraverso l’annessione del territorio e della popolazione libica costiera nell’ordinamento della madrepatria [Segre 1985]. La strategia della «provincializzazione della Libia», che Balbo adotta per la gestione del dominio coloniale, è, tuttavia, strettamente funzionale all’indirizzo della trasmigrazione, consolidato nella seconda metà degli anni Trenta. A partire dall’anno del suo insediamento, la Libia costiera viene “modellata” in ragione

62 Nell’ottobre del 1938 Balbo guida la cosiddetta «migrazione dei Ventimila», il trasferimento in

massa di ventimila italiani destinati agli appezzamenti terrieri e alle attività produttive della colonia. Con una operazione spettacolare, in linea con l’estetica della politica fascista, Balbo inaugura la «grandiosa opera di colonizzazione» della «Libia italiana». Cinque erano le migrazioni di massa annuali previste, delle quali si realizzano soltanto le prime due, nel 1938 e 1939 [Segre 1985, pp. 1043- 1057].

di una «stretta aderenza di quel territorio mediterraneo al restante teritorio nazionale, unità di indirizzo nelle più diverse attività, funzione ideale e materiale di inziative e di propositi.» [Pistolese, in Goglia 1998, p. 295]. Tra i principali provvedimenti atti ad ufficializzare il “prolungamento” del territorio nazionale al di là del Mediterraneo ricordiamo: l’unificazione delle due regioni della Tripolitania e Cirenaica in un’unica colonia chiamata Libia,63 retta, come abbiamo anticipato, da un Governatore Generale, con la costituzione di quattro Commissariati Provinciali (Tripoli, Misurata, Derna e Bengasi); l’istituzione delle associazioni professionali corporative (1935) e, infine, l’annessione delle quattro provincie libiche al territorio del Regno d’Italia con la concessione ai libici musulmani di una cittadinanza speciale.64 La fondazione della sede tripolina dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista (INCF),65 di cui il Governatore tiene la presidenza, consolida la fusione sul piano spirituale.

Balbo, inoltre, riesce a neutralizzare gli effetti della repressione italiana nei confronti della popolazione locale perseguita dai suoi predecessori, attraverso un’originale politica indigena. Le nuove direttive per il governo delle popolazioni locali, in forte contrasto con le azioni repressive dei governatori precedenti, è orientata nella direzione dell’assimilazione giuridica e del rafforzamento dell’elemento tradizionale [Segre 1985, p. 1060], presto in conflitto con le disposizioni della madrepatria. Se i suoi predecessori erano stati interpreti della «politica dura nei rapporti con gli indigeni» [Goglia 1981, p. 204] adottata da Ferdezoni, primo ministro delle Colonie sotto il fascismo, Balbo, all’interno del progetto di pacificazione civile, prevede misure di tutela e rispetto della popolazione locale. Persuaso dell’impossibilità, per la popolazione libica costiera, di tollerare a lungo una situazione di totale sottomissione, Balbo promuove provvedimenti atti ad integrarla a quella della madrepatria [Del Boca 1988, p. 238] e, nel contempo, a tutelarne la specificità culturale [Segre 1985, p. 1060]. Sotto la sua giurisdizione viene, inoltre, varato un programma educativo che copre tutta la Libia con numerose scuole e istituzioni culturali destinate agli arabi [Segre 1985, p. 1062-1063]. Gli edifici religiosi islamici vengono restaurati [Fuller 2007, p. 79]. Anche gli ebrei conoscono

63 Legge n. 2012 del 3 dicembre 1934 [Del Boca 1988, p. 279].

64 Approvata con R. D. L. n. 70 del 9 gennaio 1939 [Del Boca 1988, p. 279].

65 Nel 1937 l’Istituto Nazionale Fascista di Cultura, fondato nel 1925, in linea con il progetto totalitario,

cambia statuto, rientrando sotto il controllo del PNF e mutando la denominazione in Istituto Nazionale di Cultura Fascista. Nello stesso anno, vengono fondate sedi dell’Istituto anche nelle principali città delle colonie italiane: a Tripoli, come abbiamo visto nel capitolo precedente, per iniziativa di Italo Balbo, e ad Asmara, per interessamento di Gavino Gabriel. Cfr. Cap. IV, Par. 4.1.

vantaggi dall’amministrazione italiana, soprattutto attraverso la promozione del turismo [Goglia 1998, p. 290]. Quest’ultimo risulta essere un fattore determinante per la volorizzazione dell’elemento indigeno.

Attraverso una sapiente manovra, infatti, il Governatore è in grado di coniugare le nuove direttive di politica indigena con le operazioni di sviluppo economico della colonia proprio per mezzo della promozione dell’organizzazione turistica. L’investimento del Governo sul turismo nelle colonie riguarda sia la costruzione di infrastrutture quali reti stradali, linee ferroviarie e alberghi, che la valorizzazione dell’elemento di colore locale al fine di rendere più appetibile l’itinerario sull’altra sponda del Mediterraneo. Vengono infatti inclusi nelle operazioni di preservazione non solo i resti dell’antica dominazione romana presenti sul territorio, ma anche edifici religiosi indigeni, come le moschee [Fuller 2007, p. 79].

Nell’ambito dei provvedimenti di politica indigena adottati da Balbo, la Libia presenta un contesto multiculturale nel quale le diverse culture manifestano le proprie specificità e conoscono operazioni di tutela e valorizzazione anche attraverso i nuovi strumenti della modernità, come la radio.

Le azioni di pacificazione civile promosse da Balbo in Libia, condotte con l’aiuto di fedeli uomini venuti al suo seguito dalla madrepatria, si inseriscono, dunque, nel quadro di generale modernizzazione e sviluppo della colonia, iniziato nel decennio precedente [Goglia 1998, pp. 288-290]. Sotto il suo governatorato la colonia raggiunge lo status di “vetrina” dell’Italia coloniale anche dal punto di vista artistico e architettonico. Con Balbo vede inizio, dunque, quella che è stata definita la «fase imperiale della Quarta Sponda» [Pistolese, in Goglia 1998, p. 293], attraverso la quale il territorio dominato si uniforma a quello della madrepatria:

Tutte le sue risorse e tutte le sue funzioni [della colonia Libia] di carattere politico, strategico, economico e sociale vengono così potenziate unitariamente con la visione della maggiore potenza e del maggiore benessere del popolo italiano [Pistolese, in Goglia 1998, p. 293].

In ragione di quanto enunciato in questo paragrafo, il caso della Libia presenta elementi di un certo interesse anche ai fini della nostra indagine, volta ad individuare i riflessi in ambito artistico-musicale della politica coloniale italiana perseguita nel dominio che affaccia sul Mediterraneo.