NELLA LETTERATURA SCIENTIFICA: IL CASO DELL’ETNOGRAFIA MUSICALE
C ONTRIBUTI DI ETNOGRAFIA MUSICALE DURANTE IL FASCISMO
4. Un etnografo–musicista in colonia: l’inedita attività di Gavino Gabriel in Eritrea
4.2 Le trascrizioni di folklore musicale e il progetto per l’«Impianto fonografico per l’Impero»
Attivo nell’ambito degli studi di folklore musicale in Italia, Gabriel non interrompe le sue indagini in colonia. Com’è dimostrato dai documenti dell’archivio, fin dal suo arrivo in Eritrea, oltre a proseguire le analisi sulla musica sarda, si dedica alla raccolta di canti e musiche indigene, occupandosi anche degli strumenti musicali
209 Gabriel è stato aiuto regista in Casta Diva (1935) di Gallone; visti i risultati, nello stesso anno
Umberto Giordano gli consiglia di proporsi ad Augusto Genina per il film Chénier prodotto dalla Scalera film [Uras 1999, p. 130] e collabora alla realizzazione di documentari per l’istituto L.U.C.E. [Nicolodi 2007, p. x].
210 Presso l’AST si conserva il dattiloscritto della sceneggiatura per Il re Teodoro assieme ad alcune
testimonianze epistolari che lasciano supporre la stesura risalente al 1954. Ringraziamo Giuseppe Sotgiu per questa informazione.
211 La data compare sul dattiloscritto custodito presso l’AST. Oltre al questa testimonianza si conserva
anche la prima carta del manoscritto.
212 In una lettera a Umberto Giordano datata Asmara, 27/05/1947, Gabriel scrive: «[...] Durante questo
confino non ho cessato di smaniare in ricerche e studi di ogni genere. [...] Ho imbastito un soggetto di pura vita abissina (Lette Berhan, cioè La Figlia della Luce), che la SCALERA FILM ha accettato di realizzare fra poco. Ho raccolto notizie preziose sugli strumenti musicali locali (tcherà uatà, messenkò, meleket, scembukò, embiltà, beghenà, ecc.) che utilizzerò nel film. [...]» [AST].
delle popolazioni con le quali entra in contatto, soprattutto, come vedremo, dei due cordofoni più diffusi. Numerose sono le testimonianze del forte stimolo che l’immersione in un universo socio-culturale nuovo e diverso provoca in lui, ovvero di quella che lui stesso definisce «la mia malattia folkloristica» [Gabriel, in Uras 2004, p. 52], che lo accompagna anche in colonia. L’interesse per le diverse manifestazioni del folklore, non limitate all’ambito prettamente musicale, lo vede attivo nella ricerca e nella divulgazione sia in ambito pubblicistico,213 sia, come abbiamo visto, attraverso incontri pubblici organizzati ad Asmara, sia nella collaborazione a mostre ed esposizioni coloniali organizzate dal Governo fascista. Tra queste, citiamo la Fiera di Tripoli del 1937 e la grandiosa Prima Mostra Triennale delle Terre italiane d’Oltremare di Napoli del 1940 [Uras 2004, pp. xxxvii e 131].
Per quanto riguarda gli anni africani, nel fondo privato sono stati rinvenuti: fogli di appunti con trascrizioni di musiche, poesie e canti popolari [Appendice II, Documenti 4, 5, 6]; descrizioni organologiche di strumenti musicali tradizionali corredate da disegni e trascrizioni dei nomi in lingua tigrina [Appendice II, Documento 3]; il dattiloscritto del progetto «per un impianto fonografico nell’Impero» [Appendice II, Documento 7]; carteggi con notizie di progetti editoriali sull’etnografia [Appendice II, Documento 11]; sceneggiature cinematografiche su soggetti coloniali [Appendice II, Documento 10]; raccolte sparse di rassegna stampa [Appendice II, Documenti 14 e 15]; composizioni manoscritte ispirate al folklore eritreo [Appendice II, Documento 17].214
Ai tempi di Gabriel, gli studi specifici sulla musica Eritrea, come abbiamo visto sopra, sono esigui, ed ancora oggi non si può parlare di un’ampia conoscenza delle manifestazioni musicali di quel territorio.215 Dunque, lo studioso, nel tentativo di documentarsi sul folklore eritreo, si è di certo trovato di fronte a non poche
213 Per il quotidiano asmarino col quale collabora Gabriel raccoglie numerosi proverbi eritrei, in seguito
in parte ripubblicati dalla rivista «Affrica». Il manoscritto dell’intera raccolta di 160 Proverbi eritrei è invece conservato, da quanto riporta L. S. Uras nel saggio Musica, scuola e nazione, presso il Centro Studi Etiopici di Asmara [Uras 2003, p. xxxvii, nota 39].
214 In seguito alla recente donazione della famiglia Gabriel all’AST, sono stati recentemente rinvenuti
anche i numerosi diari stesi da Gabriel durante il periodo africano e il saggio inedito dal titolo Il ritorno
di Gavino Gabriel, oggi custoditi nel Fondo privato. Inviato all’amico Giuseppe Prezzolini, il saggio,
preparato per l’edizione, non viene pubblicato su consiglio dell’intellettuale. Prezzolini dissuade Gabriel dall’impresa, ritenendo Gabriel «un testimonio importante di un momento poco importante della storia mondiale», ma profetizzando un valore futuro delle annotazioni dell’amico sardo: «Un giorno quello che hai notato sarà utile. [...] Se nel 2000 si occuperanno ancora delle nostre faccende, qualcuno ci guarderà». Il carteggio relativo alla questione è pubblicato in Uras 1999.
215 Gli unici contributi esistenti ad oggi sul folklore eritreo vanno rintracciati quasi esclusivamente
difficoltà.216 Com’è dimostrato anche dai blocchetti di appunti conservati nell’archivio privato, Gabriel si dedica alla ricerca e allo studio etnografico delle tradizioni indigene con una certa costanza fin dal suo arrivo in colonia.217
La trascrizione musicale più remota conservata tra i documenti risale al 27 marzo 1936, dunque al primissimo periodo del suo arrivo in colonia [Appendice II, Documento 4]. Nella maggior parte dei casi, Gabriel appunta meticolosamente, accanto ai dati etnografici, data (a volte anche l’ora), luogo, organico, etnia degli interpreti e talvolta occasione dell’esecuzione e andamento o velocità della stessa [Appendice II, Documenti 4, 5 e 6]. Vengono anche fissati i testi dei canti, spesso con traduzione del significato e informazioni sulla genesi, e gli strumenti musicali usati. Tale materiale è in parte pubblicato nei corsivi etnografici che prepara per il quotidiano locale o altri periodici eritrei [Appendice II, Documento 15], in parte preparato per l’edizione, in seguito non portata a termine. Da quanto dichiarato in una lettera scritta da Gabriel al regista Anton Giulio Majano218 nel 1949, egli ha, a quel tempo, «pronto per la pubblicazione un ricco materiale critico-documentario [sulla musica abissina] con speciale riguardo a due strumenti: il m’ss’nkò e il tcerà ’uatà»219 [Appendice II, Documento 11]. Si tratta infatti dei due strumenti musicali indigeni a corda per i quali Gabriel, come vedremo, manifesta un particolare interesse e che stimolano la sua vena compositiva. Il progetto di pubblicazione dichiarato nella
216 Tra i testi della sua biblioteca, custodita a Tempio Pausania assieme agli altri documenti, è stata
ritrovata una copia dei primi due volumi della prima parte dell’Enciclopèdie et Dictionnaire de la
Musique di Lavignac - de La Laurencie. Non sappiamo se lo studioso ne possedesse altri, ad esempio il
quinto, dove sono pubblicati i due capitoli sulla musica africana a cura di Modon-Vidailhet e di Tiersot, considerati all’epoca tra le fonti più autorevoli sull’argomento.
217 Dalle tracce presenti in archivio, possiamo dedurre che girasse sempre con taccuino e lapis nella
tasca.
218 Anton Giulio Majano (Chieti 1909 - Marino 1994), regista e sceneggiatore cinematografico e
televisivo, autore del film Vento d’Africa (1949).
219 La denominazione degli strumenti musicali etnici africani mostra frequenti incongruenze tra zone di
diffusione o tra diversi studiosi. Ringraziamo la studiosa americana Cynthia Tse Kimberlin, una delle poche ad aver affrontato lo studio della musica eritrea, per averci confermato che cherawata - che Gabriel scrive con la lezione tcerà ’uatà - è il termine tigrino per l’amarico masēnquo, lo strumento ad una corda sfregata con l’arco dalla caratteristica cassa di risonanza romboidale [Appendice II, Documento 16]. Gabriel ne riporta anche la traduzione italiana con «coda di menestrello», dall’uso delle crine di cavallo per l’arco [Gabriel 1941]. Quello che il folklorista sardo indica in questo luogo con m’ss’nkò, corrisponde invece allo strumento più comunemente detto krar sia in amarico che in tigrino - termine in seguito usato anche da Gabriel - la lira a sei corde pizzicate con le dita o con il plettro. Anche in questo caso, le lezioni riscontrate nella letteratura scientifica sono più d’una (chirar,
chiràr, kirar, kerar), ma oggi gli studiosi sembrano condividere l’uso di krar [Barblan 1941, p. 79]. Lo
stesso Gabriel usa indifferentemente i termini m’ss’nkò, messenkò, messonkò, messenquò. È possibile che ad Asmara, territorio sul quale oggi esistono pochissimi studi etnomusicologici, comunque risalente ad un periodo successivo di almeno trent’anni rispetto a quello coloniale italiano, venisse impiegata questa denominazione per lo strumento, diversamente dalle altre parti dell’Abissinia. In un foglio di appunti, comunque, Gabriel riporta, accanto al disegno dei principali strumenti eritrei, le trascrizioni in lingua tigrina dei nomi relativi e ne fornisce una sintetica descrizione [Appendice II, Documento 3].
missiva non ha, però, esito e neppure di tale materiale è stata rinvenuta traccia tra i documenti conservati.220 Non è da escludere che l’atmosfera politica nazionale nei confronti della questione coloniale negli anni Cinquanta, abbia dissuaso Gabriel da ogni iniziativa riguardante l’ex colonia italiana.221
Come nella madrepatria, lo studioso si batte per l’applicazione delle nuove tecnologie alla ricerca etnografica e ne caldeggia l’utilizzo anche per le esigenze dell’amministrazione coloniale. Se in patria aveva perseguito la fondazione della Discoteca di Stato con finalità culturali [Uras 1999] e l’uso del «grammofono educativo» nelle scuole, in colonia propone, nel settembre 1938, la costruzione di un «impianto fonografico per l’Impero», al fine di sopperire alla mancanza di «documentazione ‘oggettiva’ cioè meccanica, delle singolarità fonetiche dei popoli africani»; secondo Gabriel, infatti, questi «presentano i più edificanti fonemi dell’umanità» [Appendice II, Documento 7]. «Votato alla promozione dei valori dell’oralità» [Morelli, in Uras 2004, p. xviii], l’etnografo sardo si muove dunque in una direzione parallela rispetto alle iniziative attuate in ambito popolare nazionale:
Il programma di raccolta investe una formidabile responsabilità di fronte alla cultura universale.
Parlate e canti: ritmi di danze vocali e strumentali: modulazioni e inflessioni che distinguono età, sesso, stato d’animo, condizione sociale: questo è un materiale, enorme per mole e per importanza, che può chiarire, offerto all’esame scientifico più vario, problemi antropologici, linguistici, storici, psicologici e financo politici. [Appendice II, Documento 7]
Gli ambiti di applicazione della proposta non si limitano all’etnografia musicale, ma si aprono a tutti gli interessi etnografici passibili di registrazione e all’ambito educativo per l’apprendimento delle lingue, un “punto caldo” del governo della colonia.222
[...] Si potrebbero: 1) Compilare CORSI DISCOGRAFICI (Linguaphone) in amarico, tigrignà, tigrè: per i funzionari, militari, commercianti; 2) Raccogliere motti, proverbi; scongiuri, imprecazioni,
novelle; 3) Raccogliere nenie e melopee: canti di guerra, religiosi, ecc
220 A causa delle alterne vicende cui è stato sottoposto l’archivio, oggetto di saccheggi e manomissioni,
mancano allo stato attuale le eventuali registrazioni e le numerose foto scattate dal Gabriel in Eritrea con finalità etnografiche, di cui si ha notizia attraverso le lettere.
221 In una lettera a Prezzolini, Gabriel confessa: «il “veto” chigiano a occuparsi delle ex colonie mi ha
paralizzato» [Uras 2004, p. 40].
222 La questione dell’apprendimento delle lingue locali ha rappresentato un ostacolo permanente al
dominio degli italiani in Africa, sia per la gestione amministrativa che per gli studi etnografici [Grottanelli 1985, pp. 1144-1148].
4) Raccogliere timbri e moduli di tutti gli strumenti musicali. [...] [Appendice II, Documento 7]
Per Gabriel, i documenti registrati avrebbero rappresentato un importante contributo alla Discoteca di Stato e messo «la fonografia e la scienza italiana in primissimo piano nel campo della cultura mondiale» [Appendice II, Documento 7]. Lo studioso fornisce anche un dettaglio dei costi per la realizzazione.
Lo studioso è con ogni probabilità l’unico esperto di folklore musicale presente per lungo tempo in un territorio coloniale italiano. Tuttavia, a dispetto del suo intenso e costante impegno nello studio delle tradizioni musicali indigene, egli non ci ha lasciato lavori sistematici editi.223 Difatti, alla fine della sua esperienza africana, Gabriel non giunge a dare alle stampe uno studio compiuto ed organico sulla musica eritrea e non riesce nell’obiettivo di diffondere i risultati delle sue ricerche etnografiche e delle analisi organologiche sui due strumenti della tradizione locale da lui prediletti. Tutto il materiale di cui lascia testimonianza nei carteggi, resta inedito e viene presto dimenticato. Le uniche tracce edite delle sue indagini, tuttavia difficilmente accessibili, vanno rintracciate nei quotidiani e periodici coloniali del periodo in cui risiede in Africa. Le motivazioni della mancata diffusione dei suoi studi vanno ricercate in primis nel clima politico e culturale che accompagna l’esperienza coloniale italiana dagli esordi fino al periodo di decolonizzazione (forzata), ma probabilmente anche nello «spirito irrequieto» [Uras 2004, p. x] dell’eccentrico intellettuale, nella centripeta e multisfaccettata attività in colonia, così come accade nella madrepatria.
In Eritrea Gabriel attende a numerosi impegni quotidiani: la direzione della biblioteca, dell’Ufficio Studi, la Presidenza dell’INCF, del Liceo Musicale, la collaborazione all’organizzazione delle esposizioni coloniali in Italia e a Tripoli. Un atteggiamento dispersivo, del resto già riscontrato nelle precedenti analisi sul folklorista, in seguito ai numerosi impegni su diversi fronti; un atteggiamento che caratterizza tutta l’attività di Gabriel e che ne giustifica anche in parte l’isolamento della figura, la quale sfugge a qualunque classificazione, nonché la mancanza di studi specifici fino ad anni recenti.224 Tuttavia, ciò non basta a giustificare il silenzo della
223 Sappiamo inoltre, da testimonianze, documenti, carteggi e attraverso alcuni scritti del sardo, che il
suo interesse per la cultura eritrea si amplia a diversi aspetti oltre la musica, tra cui la linguistica e la letteratura orale.
224 «Il suo eclettismo, molto prossimo per la sua dispersività a un geniale dilettantismo, puè essere un
storia. Come abbiamo anticipato, va al folklorista il merito dell’acquisizione da parte dell’Italia dell’Archivio Storico eritreo, costruito negli anni della colonizzazione.225 Rientrato in Italia, orgoglioso del risultato raggiunto, Gabriel è costretto ad arrestarsi di fronte alle nuove direttive dell’Italia postcoloniale nei confronti della spinosa questione degli ex-domini.226
Del resto, la direzione degli studi antropologici in età imperialista, orientati piuttosto verso il poligenismo, dunque la negazione di un’origine biologica comune tra le razze umane (indispensabile supporto all’elaborazione delle teorie che sarebbero presto scaturite nella proclamazione delle leggi razziali), non favorisce di certo l’approfondimento delle conoscenze di quelle che al tempo erano viste come «culture inferiori». La nuova antropologia di regime stava, infatti, lavorando all’elaborazione di teorie razziste:
[…] all’interno della disciplina ci si muoveva in quegli anni verso un determinismo razziale di tipo biologico che non prendeva più in considerazione il ruolo degli aspetti ambientali sulla formazione degli individui. [Sòrgoni 2001, p. 206]
Inoltre, il passaggio ad un pieno dominio diretto degli italiani nelle colonie a partire dagli anni Trenta rende le conoscenze etnografiche sempre meno necessarie alla gestione della vita in colonia. Il nuovo atteggiamento imperialista assunto dal regime, quindi, non gioca affatto a favore degli interessi dello studioso sardo. I resoconti etnografici divulgati in questo periodo divengono, infatti, molto superficiali e privi di valore scientifico [Sòrgoni 2001, p. 23].
In ogni caso, le ricerche del Gabriel, sebbene limitate ad uno stadio embrionale, restano importanti testimonianze di una volontà di conoscenza dell’ “Altro” in qualche modo contrastata dal contesto generale. La pubblicazione dei suoi lavori, ad oggi irreperibili, avrebbe di certo contribuito alla conoscenza delle tradizioni musicali dell’Eritrea, un territorio ancora oggi poco “battuto” da questo punto di vista.
Dopo la caduta del dominio italiano con l’occupazione militare britannica, nell’aprile 1941, grazie alla ferma padronanza della lingua inglese, alla sua preparazione culturale e alle sue competenze in ambito coloniale ed etnologico, Gabriel riceve, dalla nuova amministrazione britannica dell’Eritrea (British Military
225 Oggi inaccessibile insieme ai numerosi documenti coloniali custoditi presso il MinA.E.. 226 Cfr. nota 221.
Administraion of Eritrea, B. M. A. E.), l’ufficio di consulente e traduttore per la sezione Atti legali e la conservazione della carica di Capo dell’Ufficio Studi («Head of Research Section») e di direttore della biblioteca della capitale, Asmara, fino al 1953 [Gabriel s. d., pp. 27-28]. Com’è testioniato da una lettera custodita presso l’Archivio Sotgiu, durante il periodo britannico in Eritrea, lo studioso ha continuato a coltivare i suoi interessi etnografici [Appendice II, Documento 13]