• Non ci sono risultati.

Sul Messenkò: un tentativo di contaminazione musicale

NELLA LETTERATURA SCIENTIFICA: IL CASO DELL’ETNOGRAFIA MUSICALE

C ONTRIBUTI DI ETNOGRAFIA MUSICALE DURANTE IL FASCISMO

4. Un etnografo–musicista in colonia: l’inedita attività di Gavino Gabriel in Eritrea

4.3 Sul Messenkò: un tentativo di contaminazione musicale

La plurivoca attività di Gabriel in colonia, come abbiamo visto, non si arresta alle mansioni amministrative né alla passiva registrazione delle manifestazioni culturali delle popolazioni coloniali. L’espressione musicale tradizionale delle popolazioni eritree, in particolare, rappresenta per Gabriel una nuova fonte d’ispirazione e di materiali musicali. In quest’ambito potremmo parlare dell’emergenza di un “compositore coloniale” che tenta una originale sintesi tra gli elementi musicali etnici e la tradizione occidentale colta. Anche in quest’ambito, il folklorista sperimenta un sentiero parallelo a quello percorso nella madrepatria.227 Il fascino esercitato su di lui dal krar, la tipica lira abissina228 o dal fiume Mai Belà, presso il quale registra dei canti sudanesi, sfocia in due composizioni da camera per

ensemble strumentale occidentale.

Tra i documenti ritrovati, sono custodite, corredate dagli studi preparatori, due composizioni da camera d’ispirazione coloniale: Sul Messenkò, per quartetto d’archi, e Mai Belà (poi intitolato Divagazioni), per violino, violoncello e pianoforte. Delle due composizioni, mentre la seconda sembra rivelare un’ispirazione coloniale esclusivamente nel titolo, dedicato al fiume che attraversa Asmara - peraltro successivamente modificato in Divagazioni, Sul Messenkò rivela un interessante tentativo di utilizzo compositivo di materiali musicali extraeuropei. In tale direzione, Gabriel è l’unico musicista in colonia a tentare una contaminazione tra la musica occidentale e quella africana, di cui sia stata finora trovata testimonianza. In un periodo di forte pregiudizio razziale quale quello dell’ultima Era fascista, tale atteggiamento espresso dal folklorista manifesta, seppure all’interno di un contesto

227 L’«adozione di melodie folkloristiche (più o meno rimaneggiate) nella musica cameristica e

sinfonica» è una delle applicazioni del «filone folkloristico» in auge nella prima metà del Novecento [Nicolodi 2007, p. xvi].

fortemente eurocentrico e, per di più, fascistizzato, un certo grado di apertura e volontà di sperimentazione.

Del brano Sul Messenkò sono conservate complessivamente sette carte di appunti manoscritti, di cui una datata. I documenti contengono: lo studio per canto e pianoforte, la stesura in partitura per quartetto d’archi e la copia in bella delle singole parti strumentali.

Il fascino esercitato su Gabriel dalla lira abissina a sei corde, il krar, ispira questa composizione basata sul sistema d’accordatura dello strumento.229 Su un altro foglio di appunti, sul quale registra diversi canti e ritmi, datati tra la seconda metà di agosto e la fine di settembre del 1937 [Appendice II, Documento 5], il Gabriel ne riporta l’accordatura, trascritta probabilmente dopo un’audizione diretta:

ES. 1. ACCORDATURA DEL KRAR TRASCRITTA DA GAVINO GABRIEL.PARTICOLARE TRATTO DA UN FOGLIO DI APPUNTI CONSERVATO PRESSO L’AST [APPENDICE II, DOCUMENTO 5]

Come già rilevato, il musicista è particolarmente colpito da questa successione di altezze, secondo le fonti etnografiche tradizionali, accomunata alla musica colta europea per il tramite della tradizione teorica greca,230 intravvedendovi, oltre che una «suggestiva linea melodica», la manifestazione del pensiero armonico nella cultura musicale eritrea, prevalentemente melodica e ritmica [Gabriel 1971].

229 In un articolo di Gabriel pubblicato sul settimanale asmarino «Omnia», è riportata la stessa

successione di altezze in ordine invertito, ma con numerazione esatta delle corde dello strumento [Gabriel 1941]. Attraverso queste testimonianze Gabriel attesta un sistema di accordatura finora non riportato dagli studiosi che si sono occupati di musica abissina. Il folklorista stesso testimonia, in uno scritto di qualche anno più tardi, l’esistenza di varianti regionali dell’accordatura del krar, da cui dipende anche «la stesura del canto che perciò si presenta nei modi del Seraè, dell’Akkelè Guzai, del Hamasièn» [Gabriel 1971].

230 L’accordatura della lira abissina ha colpito per primo Guillaume-André Villoteau, etnologo al

seguito di Napoleone nella spedizione in Egitto, pioniere nelle indagini etnografiche sulla musica africana. Nel primo Novecento, Mondon-Vidaillet ne riprende le riflessioni: «J’ai été tout aussi frappé que le fut Villoteau chez les Abyssins d’Egypte en constatant l’accord bizarre de cet instrument [krar], que ce dernier transcrit ansi et où il dècouvre la progression harmonique suivante . [...] «chacune de ces quartes répond à un des principaux tétracordes du système parfait des Grecs... » [Mondon-Vidailhet 1922, pp. 3187-3188]. Seguendo le fonti precedenti, Gabriel riscontra nella musica modulata dal krar paralleli con la musica greca: «[modi del Seraè, dell’Akkelè Guzai, del Hamasièn] come nella Grecia antica nel modo lidio, frigio o dòrico: si parva licet...» [Gabriel 1971]

[...] Ma dove l’attenzione d’ogni studioso dell’anima di questa gente deve arrestarsi e approfondirsi è nell’esame di quell’intimo strumento dell’etere che alcuni chiamano keràr e altri, più propriamente, messenkò.

[...]

La caratteristica singolare del messenkò […] è tutta nella sua accordatura che rivela una delle più originali impalcature armoniche dell’Oriente.

Con una rigorosa ricerca della ragion d’essere di tale sistema di cordiera si può arrivare al ritrovamento dell’originale tetracordo greco, osservando come nel canto accompagnato sul messenkò la voce della cantatrice si aggiri entro quel primo ristretto intervallo.

L’accordatura sillabata è di per sé una suggestiva linea melodica. [...] Col messenkò […] si entrerebbe nel terzo stadio musicale, sommità della evoluzione estetica, quello armonico. [Gabriel 1941]

Gabriel sceglie dunque lo strumento più vicino alla tradizione occidentale, simile, anche per alcune caratteristiche organologiche, allo strumento da lui stesso suonato per accompagnare i canti sardi: la chitarra.

I primi schizzi esplicitamente riferiti al brano, riportano la data «11-7 XV [1937]/ domenica/ h 19». Questa prima bozza in due carte è realizzata stendendo una parte melodica e la relativa armonizzazione scritta su doppio pentagramma inferiore. Sotto la melodia è scandito il testo verbale, che sembra ad una prima lettura ispirato ad un canto abissino; lo stesso testo è trascritto integralmente, con qualche lieve modifica, in calce a questa prima versione. Ritroviamo le parole anche nella bozza in partitura per archi, sotto la linea del violino e qualche accenno, a matita leggera, nella copia in bella delle singole parti del brano.

Hailè, Hailè! Il bianco Re è venuto per me Canta sul messenkò la tua più gaia canzon. Un fascio d’or

scolpì sul [segnò il /sul] mio cor. Così [Quand’ei mi guardò così] [Ah] Di dolcezza morrò

Il testo sembra ricalcare la grazia d’ispirazione [Barblan 1941, p. 138] e lo stile laconico dei canti d’amore in lingua amarica - poi ripetuti all’infinito - documentati anche in diversi articoli sulla poesia indigena pubblicati sulle riviste coloniali durante il fascismo e in appendice alla monografia sulla musica e gli strumenti musicali dell’Africa orientale Italiana di Guglielmo Barblan [Barblan 1941, p. 138].

Che si voglia o meno leggere tra le righe del canto un riferimento ai protagonisti dell’esperienza coloniale italiana in Eritrea (bianco Re, fascio d’or), la posizione di Gabriel nei confronti della presenza degli italiani nella regione africana è palesata in un breve saggio sulla Musica eritrea pubblicato nel volume La Sardegna

di sempre231 [Gabriel 1971]. Nello scritto, il folklorista ribadisce, senza risparmiare incisi polemici, alcuni importanti meriti all’amministrazione coloniale italiana sulla cultura e la società africana mettendone in rilievo in primis quello di aver determinato la nascita - in popolazioni estremamente distanti dal punto di vista culturale se non addirittura in lotta tra loro, sebbene assai vicine geograficamente - di una coscienza nazionale scaturita dalla pratica del lavoro comune e dal miglioramento dell’economia, dopo averne ristabilito la pace. Più avanti, quando, dopo la guerra, verrà messo in discussione il destino dell’ex-colonia, Gabriel parteggierà proprio la scelta dell’autonomia dell’Eritrea rispetto all’Etiopia.232

L’Eritrea è una “invenzione” italiana.

Più che geografica e politica (donde le accuse del Longrigg e l’avventata proposta di spartizione), l’Eritrea è un’invenzione morale e giuridica; primo esempio, nella storia ora torbida ora cruenta del colonialismo, di diversi e avversi agglomerati tribali, portati dalla convivenza più che dal governo degli italiani a una superiore coscienza unitaria che prelude il sorgere della coscienza nazionale.

Nel suo territorio, vasto quasi quanto il Piemonte, la Lombardia, le Tre Venezie e l’Emilia messe insieme, si contano razze di civiltà crepuscolare come i Cunama, confinati nel Bassopiano Occidentale tra Gasc e Setit, e razze stanche e involute, come gli abissini dell’Altopiano: razze che l’imponente rete stradale, gli stabilimenti sanitari, le scuole, le aziende agricole e industriali, gli istituti giudiziari e il diuturno umanissimo contatto con lavoratori, professionisti e funzionari italiani hanno avvicinato, amalgamato, se non affratellato, sino a far sì che quei che si dicevano Assaortini o Beni Amer, Abab oTigrini, Hafar o Bileni, oggi si dicono e si

231 Del saggio è conservata copia dattiloscritta nel fondo privato di Gabriel a Tempio Pausania, senza

data.

232 Diversa era la posizione degli inglesi, sotto la cui amministrazione militare l’Eritrea cade durante la

guerra. Per questi ultimi, infatti, l’artificiosità della colonia e l’incapacità di autosufficienza economica non ne rendevano plausibile l’indipendenza, giustificandone al contrario la spartizione. Per ulteriori approfondimenti sulla questione cfr. Taddia 1986, pp. 361-371.

vantano “Eritrei” e si vogliono autonomi con una legge che non è più o solo quella consuetudinaria, ma è la uova legge che lo jus gentium importato da Roma e innestato nei vari diritti locali ha reso accetta e gradita tanto nei torridi Bassipiani quanto nel freddo acròcoro.

[...] [Gabriel 1971, pp. 177-179]

Anche per l’espressione musicale la convivenza al fianco degli italiani è considerata dal folklorista come un’indispensabile mezzo di evoluzione:

[...]

Delle tre fasi di sviluppo dell’attività musicale nella storia umana - ritmica, melodica e armonica - l’Eritrea dimostra matura quella ritmica (danze-tripudio, tamburi e sistri), in fieri quella melodica (melopee, cantilene e monodie doppiate da strumenti) e neppure accennata nelle salmodie quella armonica.

[...]

Ma l’armonia con parti reali e consapevoli portate per giuste affinità di rapporti da uno ad altro accordo, codesta armonia in Eritrea non potrà nascere autoctona: anche in tale disciplina sta operando profondamente la convivenza con gli italiani. [Gabriel 1971, p. 179]

Tornando al brano scritto da Gabriel, Sul Messenkò, la composizione è di sole 45 misure distinte in cinque sezioni di differente ampiezza, contrassegnate da lettere alfabetiche progressive233 e precedute da sei battute introduttive. L’indicazione di metro è uniforme, in 3/4 per tutta la durata del brano. L’indicazione di andamento «a valzer» riflette una tendenza, comune anche nelle trascrizioni etnografiche, a percepire nella musica africana riminiscenze della musica europea (melodie, ritmi di danze). Gabriel gioca sull’aspetto timbrico chiedendo effetti differenti: accentato, staccato, «arco», «pizzicato», probabilmente a rievocazione dei plurimi possibili attacchi di suono, con le dita o con il plettro, della lira abissina. L’indicazione di velocità ( = 60), presente nella bozza per canto e pinoforte, non ricompare nella copia in partitura e nelle singole parti conservate.

L’interesse nei confronti del lavoro risiede nella testimonianza di un inedito tentativo di contaminazione della cultura musicale occidentale con materiale indigeno che Gabriel, come abbiamo visto, raccoglie attraverso osservazione diretta. L’autore tuttavia, non solo tramite l’organico, riconduce gli elementi originali all’interno del

proprio contesto culturale: la scala pentafonica [Figura 1], presentata anche in forma melodica, è reinterpretata, infatti, come scala minore armonica con tonica Re, fondamentale non presente - insieme al IV grado - nell’accordatura del cordofono abissino. Tale esplicazione tonale è confermata dai ricorrenti pedali di tonica (mm. 7- 15, 18-19, 24-26, 41-42), cadenze perfette composte a Re (mm. 31-32) e cadenza conclusiva a Re minore su quadriade di sesta specie.

Gabriel, dunque, sceglie un materiale etnico legittimato dall’ascendenza greca, quindi da un origine comune con la musica occidentale, per tentare un esperimento compositivo. Si tratta in ogni caso di un tentativo inedito di commistione tra due tradizioni musicali distanti, ma vi si scorge un atteggiamento comune alle posizioni del tempo nei confronti dello sguardo razziale. Anche nella rappresentazione che fornisce dell’altro cordofono diffuso ad Asmara, e in tutta l’Abissinia, il cherawata, com’è possibile estrapolare dall’articolo pubblicato su «Ominia», Gabriel lascia emerge una volontà di ricondurre l’espressione africana a quella europea [Gabriel 1941; Appendice II, Documento 15]. Sembra dunque che l’impulso dello studioso ad inaugurare un nuovo campo di studi dell’etnografia musicale italiana, proveniente da un interesse etnografico personale, sia frenato dal contesto: la cosiddetta “missione civilizzatrice”, presupposto del colonialismo moderno, è, nel caso del modello coloniale italiano, la linea-guida per l’organizzazione sociale e culturale delle colonie. Gavino Gabriel, mentre fornisce un altro saggio della sua apertura mentale e volontà sperimentale, non riesce ad uscire dalla lettura canonica dell’“Altro” africano.

5.

Ascoltare l’esotico: le raccolte di folklore e gli strumenti