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Il cinema come «arma più forte»

promozione del turismo

4.3 Il cinema come «arma più forte»

In linea con l’utilizzo delle moderne tecnologie culturali per il governo delle popolazioni native e per i progetti di modernizzazione dei territori imperiali da parte degli Stati dominatori europei, il cinema ha avuto un ruolo centrale nell’esperienza coloniale nazionale durante il fascismo [Ben-Ghiat 2003, p. 49]. Definito dal Duce stesso «l’arma più forte del regime», il suo potere di raggiungere vaste porzioni di popolazione in tutto il mondo e di superare le distanze geografiche e culturali, ne fanno uno dei principali strumenti di propaganda. Nell’ultimo decennio, le analisi sull’industria cinematografica legata al colonialismo si sono moltiplicate e ampliate, spesso inglobate all’interno di più ampie considerazioni sulla storia, la società, la narrativa e, a loro volta, estese a problematiche di razza, genere, modernità. Diversi sono stati anche i tentativi di divulgazione delle pellicole storiche all’interno di rassegne e festival, attraverso proiezioni spesso concepite come contraltare visivo ad incontri e dibattiti. Anche in quest’ambito, l’accostamento di tali prodotti culturali a produzioni postcoloniali lascia emergere elementi prima ignorati. L’interesse straniero per la produzione cinematografica coloniale, in precedenza meno vivace [Labanca 2000, p. 157], ha dimostrato negli ultimi anni una maggiore presenza.

Rispetto agli indirizzi seguiti nel decennio precedente, le ultime analisi sul cinema coloniale ne hanno messo in luce l’espressione di una cultura visiva attraverso la quale comprendere realtà sociale, estetica e ideologia legate al colonialismo. Nell’ambito di una tendenza critica comune ad altre discipline, come la letteratura, è

stato allargato lo sguardo, anche cronologicamente, alla produzione muta degli anni Venti, utile a mostrare parentele ed evoluzioni con quella sonora del periodo fascista. Giorgio Bertellini, ad esempio, ha letto nel cinema coloniale un processo «autistico», in quanto efficace strumento per la costruzione e il consolidamento dell’identità e coscienza nazionali attraverso il confronto con l’ “Altro” africano: lo studio dell’evoluzione di alcuni personaggi del cinema degli anni Venti e l’analisi delle specificità narrative e delle scelte linguistiche di due film coloniali degli anni Trenta condotto dallo studioso dimostra efficacemente questo processo [Bertellini 2003, pp. 255-278]. Permane tuttavia anche la convinzione, espressa inizialmente da Jean Gili, di vedere nel cinema coloniale «il sogno africano come soluzione dei problemi della metropoli, in un “Altrove improbabile”»52 [Gili in Labanca 2000, p. 157] oltre che la simbolizzazione del possesso di territori colonizzati [Ben-Ghiat 1996 e Boggio 2003]. Festival e rassegne, con una particolare concentrazione nell’anno della celebrazione del Settantesimo anniversario della fondazione dell’AOI, hanno contribuito a promuovere ulteriori riflessioni.53 La divulgazione dell’argomento in ambito universitario, anche tramite la presenza del Laboratorio di ricerca e documentazione storica audiovisiva fondato da Luigi Goglia presso l’Università di RomaTre, ha stimolato analisi da parte di giovani studiosi attraverso tesi di laurea e di dottorato.

Tra gli studiosi stranieri, Ruth Ben-Ghiat è meritevole di aver esteso l’attenzione a problematiche più apertamente postcoloniali, sociali e alla comparazione internazionale. Per la ricercatrice americana, autrice di numerosi studi sulla relazione tra fascismo e modernità,54 il cinema coloniale può essere analizzato anche quale strumento per comprendere «colonialism’s social realities as well as its

52 Il corsivo è dell’autore.

53 Tra i festival e le rassegne organizzate nell’ultimo decennio ispirate al colonialismo italiano, citiamo

in ordine cronologico: la XLIII edizione del Festival dei Popoli (Firenze, 15 - 21 novembre 2002) - retrospettiva Il sogno dell’Impero e l’incubo del dominio - Immagini del colonialismo italiano (coronata da un Convegno dal medesimo titolo); la II edizione del Saturno Film Festival (Alatri, 29 ottobre – 4 novembre 2006), retrospettiva cinematografica sul cinema coloniale italiano in occasione del LXX anniversario della fondazione dell’A.O.I., accompagnata da una tavola rotonda sul colonialismo italiano; la retrospettiva sul cinema coloniale italiano dal titolo Faccettanera: Il cinema

coloniale italiano (6 – 12 aprile 2006) all’interno del Festival PanAfricana 2006 (Roma, 1-9 aprile), VI

edizione; la Rassegna Cinematografica “Altri punti di vista ...” Il colonialismo italiano e francese e gli

scenari postcoloniali attuali (Roma, Cinema Apollo, 23 Maggio - 7 Giugno 2006); e, ancora in una

prospettiva postcoloniale, la retrospettiva sul cinema coloniale italiano dal titolo Italiani in Africa

(1949-73) per il Festival PanAfricana 2007 (Roma, 1-9 dicembre), VII edizione.

54 Tra questi, Ben-Ghiat 2001 apparso in traduzione italiana nel 2004; della stessa autrice, è inoltre di

prossima uscita il volume Italian Films and Italian Fascism: Colonialism, War, and the Legacies of

aestetics and ideology»; la rappresentazione visiva è dunque concepita quale «process that might allow us to better understand the ongoing tensions, miscommunications, and points of encounter that marked Italian and African experience of colonialism» [Ben-Ghiat 2003, p. 50]. Attraverso l’analisi delle testimonianze sulle reazioni del pubblico africano alle proiezioni, la studiosa americana rileva, ad esempio, la mancata corrispondenza tra effetti desiderati e effetti realmente sortiti dalle immagini in movimento, un vero e proprio «effetto boomerang», proponendo un ribaltamento di radicate convinzioni sul potere d’irregimentazione delle masse indigene nelle colonie attraverso il cinema [Ben-Ghiat 2003, p. 56-61], e inaugurando un filone di studi finora inesplorato. Prendendo spunto da lavori relativi al pubblico cinematografico coloniale nei possedimenti britannici, Ben-Ghiat promuove inoltre un’inedita prospettiva comparatistica sostenendo «the limitations of national paradigms in general for grasping the complexities of colonial history» [Ben Ghiat 2006, p. 383].

Sempre in ambito anglosassone, nell’ultimo decennio, sulla scia dei gender

studies, sono stati analizzati anche il pubblico femminile italiano e le sue relazioni col

sistema di rappresentazione della donna indigena [Pickering-Iazzi 2002].

Recenti lavori hanno offerto uno sguardo anche sulla componente musicale di alcune pellicole coloniali, (finora limitandosi a quelle firmate da Pizzetti nei film

Cabiria e Scipione l’Africano), sebbene focalizzato esclusivamente sul

coinvolgimento del compositore col regime e sulla relazione del mondo musicale con la nascente cinematografia.55