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L’assenza di una disciplina di legge e le soluzioni adottate dalla dottrina

Nell’ordinamento italiano, il divieto di sottoscrivere azioni proprie fu esplicitato

a livello legislativo soltanto al momento dell’attuazione della seconda direttiva europea

in materia societaria. Come si è avuto modo di vedere, infatti, il codice civile si occupava

soltanto di disciplinare l’acquisto di azioni proprie e la concessione di anticipazioni e

prestiti, oltre ad alcuni aspetti relativi alle partecipazioni incrociate. Ciononostante, negli

anni precedenti al recepimento della seconda direttiva

414

, la dottrina prevalente, ma non

pacifica, riteneva che il divieto di sottoscrizione dovesse essere considerato

implicitamente vigente nell’ordinamento

415

. Alla base di questa interpretazione vi era,

secondo alcuni, il divieto di sottoscrizione reciproca di azioni di cui all’art. 2360 c.c.

mentre, secondo altri, la disciplina prevista per l’acquisto di azioni proprie ai sensi

dell’art. 2357 c.c.

413 La Relazione ministeriale al codice civile del 1942, n. 964, evidenziava che il divieto di cui all’art. 2360

c.c. «è posto a qualsiasi sottoscrizione reciproca di azioni, per il riflesso che con queste operazioni si possono moltiplicare all’infinito i capitali in un gioco di rifrazioni finanziarie inconsistenti come il castello di carta che né e la risultante». Sulla ratio di tutela del capitale dell’art. 2360 c.c. si vedano C. PASTERIS, op. cit., 215 ss.; F. CARBONETTI, op. cit., 10; L. GIORGIO, Sottoscrizione di azioni proprie, in L.BUTTARO, A.PATRONI GRIFFI (a cura di), La seconda direttiva CEE in materia societaria, Milano, 1984, 257 ss., 249,

in nota e G. FERRI, Le società, 1a ed., in F. VASSALLI (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Torino,

1971, 706.

414 Il problema dell’ammissibilità della sottoscrizione di azioni proprie fu esaminato dalla dottrina soltanto

dopo l’entrata in vigore del codice civile del 1942. Il dibattito si sviluppò soprattutto dalla fine degli anni ’50 del XX secolo, traendo spunto dalla discussione relativa alla sorte del diritto di opzione inerente alle azioni proprie detenute in portafoglio dalla società. Prima di allora, una sporadica affermazione della impossibilità di sottoscrivere azioni proprie in occasione della costituzione della società emittente si trova in C. VIVANTE, op. cit., 161.

415 In questo senso si pronunciarono i primi commentatori della seconda direttiva, rilevando che il divieto

di sottoscrizione previsto all’art. 18 non rappresentava una novità per l’ordinamento italiano. Così L. GIORGIO, Sottoscrizione di azioni proprie, in L.BUTTARO,A.PATRONI GRIFFI (a cura di), La seconda

direttiva CEE in materia societaria, cit., 257 ss.; G. MARASÀ, La seconda direttiva CEE in materia di società per azioni, in Riv. dir. civ., 1978, II, 668; L. BIAMONTI,P.L.BIAMONTI,CORAPI,D.DI BRINA, La riforma delle società per azioni in Italia e le iniziative comunitarie in materia di armonizzazione delle legislazioni societarie nei paesi membri della CEE, in Riv. dir. comm., 1973, I, 255; G. PARTESOTTI, Le operazioni sulle azioni, in G.E.COLOMBO,G.B.PORTALE (diretto da), Trattato delle società per azioni, 2*,

Torino, 1991, 451 ss. Quest’ultimo rilevava che, mentre sull’inammissibilità della sottoscrizione di azioni proprie in sede di atto costitutivo non vi erano dubbi, la questione era risolta in modo difforme per l’aumento del capitale sociale.

Secondo i sostenitori della prima tesi, visto che gli effetti patrimoniali della

sottoscrizione di azioni proprie e della sottoscrizione reciproca di azioni erano i

medesimi, il divieto di cui all’art. 2360 c.c. doveva essere interpretato estensivamente,

applicandosi ad entrambe le operazioni

416

. In tutte e due i casi, infatti, si poneva l’esigenza

di garantire la reale ed integrale copertura del capitale sociale, che sarebbe venuta meno

se alla sottoscrizione delle azioni non fossero corrisposti dei reali conferimenti nel

patrimonio sociale

417

.

In quel periodo, però, l’assolutezza del divieto di sottoscrizione reciproca era

oggetto di dibattito ed erano state introdotte in via interpretativa alcune limitazioni tali da

restringerne la portata

418

. Innanzitutto, si sosteneva che la sottoscrizione reciproca fosse

vietata soltanto se intenzionalmente diretta alla costituzione di capitali fittizi e, quindi,

preordinata attraverso un’intesa tra le società interessate

419

. In secondo luogo, il divieto

veniva ristretto entro gli stessi limiti previsti dall’articolo precedente per l’acquisto di

azioni emesse dalla società controllante da parte della controllata

420

. In questo senso, la

sottoscrizione reciproca di azioni doveva considerarsi vietata soltanto se effettuata

416 G. FANELLI, Le partecipazioni sociali reciproche, cit., 69; L. GIORGIO, Sottoscrizione di azioni proprie,

in L.BUTTARO,A.PATRONI GRIFFI (a cura di), La seconda direttiva CEE in materia societaria, cit., 248.;

G. MARASÀ, La seconda direttiva CEE in materia di società per azioni, cit., 668 e L. BIAMONTI,P.L.

BIAMONTI,CORAPI,D.DI BRINA, op cit., 255. In senso contrario C. PASTERIS, op. cit., 161, il quale criticava

la posizione espressa da Fanelli e G. PARTESOTTI, op. cit., 452, limitatamente alla sottoscrizione di azioni

proprie in sede di atto costitutivo.

417 G. FANELLI, Le partecipazioni sociali reciproche, cit., 69 e ID., Le partecipazioni sociali reciproche

dopo la miniriforma del 1974, in Giur. comm., 1976, I, 184.

418 È evidente che le stesse limitazioni, per chi le sosteneva, si sarebbero applicate automaticamente anche

al divieto di sottoscrivere azioni proprie, nei limiti della compatibilità. Il dibattito è riportato, con ampi riferimenti bibliografici, L. GIORGIO, Sottoscrizione di azioni proprie, in L.BUTTARO,A.PATRONI GRIFFI

(a cura di), La seconda direttiva CEE in materia societaria, cit., 248, in nota. In favore dell’assolutezza del divieto di sottoscrizione reciproca si pronunciavano G. FANELLI, Le partecipazioni sociali reciproche, cit.,

in particolare 96 ss. e FERRI1, op. cit., 707.

419 Gli elementi da cui desumere tale intesa venivano individuati nella contemporaneità e nella connessione

tra le sottoscrizioni. Qualora tra le società non vi fosse alcun rapporto precedente, l’accordo diretto alla sottoscrizione reciproca poteva costituire elemento sufficiente a considerarle collegate. Così G. FRÈ, Società per azioni, in A. SCIALOJA E G.BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile, 1, Del lavoro (artt. 2523-2461), Bologna-Roma, 1972, 289 ss. L’autore, pur riconoscendo che il potenziale pregiudizio

per il capitale prescinde dalle intenzioni delle società coinvolte, riteneva che il legislatore avesse ritenuto sufficiente colpire le operazioni preordinate allo scopo di creare una ricchezza soltanto apparente. In questo senso anche C. PASTERIS, op. cit., 218-219 e F. FERRARA JR., Gli imprenditori e le società, Milano, 1980,

422. Questo autore, pur sostenendo che si applichi questa limitazione, la critica, evidenziando che il pregiudizio per il capitale sociale prescinde dalla preordinazione delle operazioni.

420 La disposizione alla quale fanno riferimento gli autori di seguito richiamati è l’art. 2359, c. 1 c.c., nel

testo anteriore alla modifica intervenuta con la legge 7 giugno 1974, n. 216. Questa disposizione aveva il seguente tenore letterale: «Le società non possono investire, nemmeno parzialmente, il proprio capitale in azioni della società che esercita il controllo su di esse o di altre società controllate dalla medesima».

mediante impiego di risorse vincolate a capitale

421

. Al contrario, in caso di utilizzo di

somme prelevate dagli utili o dalle riserve disponibili, l’operazione era valida.

Applicando queste condizioni, infatti, non si correva il rischio di mettere in pericolo

l’integrità del capitale sociale, nel pieno rispetto della ratio della disposizione

422

.

Altri autori esaminarono la legittimità della sottoscrizione di azioni proprie da una

diversa prospettiva, facendo riferimento, piuttosto che al divieto di sottoscrizione

reciproca, alla disciplina prevista per l’acquisto. Questo diverso modo di ragionare, che

traeva spunto dal dibattito relativo alla sorte del diritto di opzione spettante alle azioni

proprie in portafoglio, fece emergere opinioni di senso opposto. Uno dei primi autori che

si occuparono del problema ritenne di risolverlo basandosi sui principi che regolano

l’interpretazione della legge

423

. Secondo questa opinione, poiché «i divieti non si

presumono, né si sottintendono», il divieto di acquisto di cui all’art. 2357 c.c. non poteva

essere esteso ad altre fattispecie che non fossero espressamente richiamate. Perciò, non

essendo escluso da alcuna norma, la società poteva esercitare il diritto di opzione che le

spettava sulle azioni proprie precedentemente acquistate, sottoscrivendo le azioni di

nuova emissione

424

.

421 G. F, op. cit., 277 ss. La stessa tesi è stata sostenuta, in tempi più recenti, da C. COSTA, Il divieto di

sottoscrizione reciproca di azioni, in G.E.COLOMBO,G.B.PORTALE (diretto da) Trattato delle società per azioni, 2**, Torino, 1991, 508-509.

422 CosìG. F, op. cit., 277 ss. In senso contrario, G. FANELLI, Le partecipazioni sociali reciproche, cit.,

64 ss. e 96 ss., e ID., Le partecipazioni sociali reciproche dopo la miniriforma del 1974, cit., 205, secondo

il quale l’assolutezza del divieto di sottoscrizione reciproca di azioni era pienamente giustificata, vista la difficoltà di stabilire, in concreto, se e fino a che punto l’impiego di utili o di riserve disponibili non compromette l’integrale copertura del capitale sociale. La notevole complessità della materia non consente, infatti, di distinguere con esattezza fino a che punto l’incrocio di patrimoni non si risolve anche in un incrocio di capitali. Riguardo all’ulteriore problema di giustificare la disparità di trattamento esistente tra sottoscrizione e acquisto, lo stesso autore riteneva che il divieto di sottoscrizione reciproca avesse una particolare giustificazione. Essa consiste nella necessità di evitare che il capitale subisca una perdita «irrimediabile ed inevitabile» proprio nel momento in cui viene costituito ex novo. Questo problema non sussiste per l’acquisto di azioni proprie visto che, in questo caso, si verificherebbe una normale perdita patrimoniale, intervenuta nel corso della vita della società.

423 F. MESSINEO, Spettanza dei dividendi sulla propria azione acquistata dalla società, in Riv. soc., 1966,

421.

424 Ibid., 421. Secondo questo autore, le azioni sottoscritte dovevano essere assoggettate al medesimo

trattamento normativo previsto per le azioni acquistate (indisponibilità da parte degli amministratori, sospensione del diritto di voto). Questa opinione, anche se autorevolmente sostenuta, rimase isolata. In senso espressamente critico T. SEGRÈ, Sulla proprietà di azioni in capo alla stessa società emittente, in Riv. dir. civ., 1980, II, 133 ss., in particolare 139.

Al contrario, secondo altra dottrina, la disciplina di cui all’art. 2357 c.c. doveva

essere applicata anche alla sottoscrizione, al fine di evitare elusioni

425

. Le condizioni

richieste per l’acquisto di azioni proprie, però, erano considerate incompatibili con la

sottoscrizione che, per questo motivo, doveva considerarsi vietata senza eccezioni

426

. Ai

sensi dell’art. 2357 c.c., infatti, l’acquisto poteva avere ad oggetto soltanto azioni

interamente liberate e tali non potevano essere le azioni di nuova emissione

427

. Inoltre,

l’acquisto doveva avvenire mediante l’impiego esclusivo di utili il che, nel caso della

sottoscrizione in esercizio del diritto di opzione, si sarebbe posto in contrasto con lo scopo

dell’aumento di capitale a pagamento

428

.

Infine, fu sostenuta una terza tesi, favorevole all’ammissibilità della sottoscrizione

di azioni proprie

429

. Secondo questa ricostruzione, non era corretto partire dall’assunto

che l’art. 2357, riferito esclusivamente all’acquisto, dovesse applicarsi integralmente

anche alla sottoscrizione. Piuttosto, era necessario soffermarsi sulla ratio legis e applicare

la disciplina nei limiti della compatibilità, tenuto conto delle differenze esistenti tra le due

operazioni. Partendo da questo presupposto, fu ritenuto sufficiente richiedere che il

conferimento relativo alle azioni sottoscritte dalla società fosse pagato con somme

prelevate dagli utili visto che, in questo modo, veniva preservata l’integrità del capitale

sociale

430

. All’argomento relativo alla frustrazione dello scopo dell’aumento di capitale a

425 Secondo T. SEGRÈ, op. cit., 139 ss. si doveva addirittura ritenere direttamente applicabile l’art. 18, c. 1

della seconda direttiva, nonostante non fosse stata ancora recepita nell’ordinamento italiano.

426 Così P. BOERO, Titolarità di azioni da parte di società e diritto di opzione, in Riv. dott. comm., 1980,

1100; G. ADDESSI, Acquisto di azioni proprie: per conto di chi?, in Riv. soc., 1984, 460 ss.; T. SEGRÈ, op. cit., 139 ss.; R.NOBILI,M.VITALE, La riforma delle società per azioni – Commento alla Legge 7 giugno 1974, n.216 e ai Decreti delegati, Milano, 1975, 354; R. ALESSI, Il socio di sé stesso: l’art. 2357 c.c., in Riv. soc., 1984, 483 ss. Questi autori, pur concordando sull’inammissibilità della sottoscrizione di azioni

proprie, giungevano a conclusioni diverse per quanto riguarda la spettanza del diritto di opzione relativo alle azioni proprie in portafoglio. Secondo P. Boero, G. Addessi e T. Segrè, il diritto di opzione non spettava alla società. Secondo tutti gli altri autori citati, invece, alla società spettavano i diritti di opzione ma essa doveva limitarsi a venderli, non potendoli esercitare direttamente. Si segnala che R. Nobili, prima di sposare questa tesi, aveva sostenuto la tesi contraria in R. NOBILI, Contributo allo studio del diritto di opzione nelle società per azioni, Milano, 1958, 148 ss.

427 P. BOERO, op. cit., 460 ss.; R.NOBILI,M.VITALE, op. cit., 354.; R. ALESSI, op. cit., 483 ss.; G. ADDESSI,

op. cit., 460 ss.

428 P. BOERO, op. cit., 460 ss.; R.NOBILI,M.VITALE, op. cit., 354.; R. ALESSI, op. cit., 483 ss, G. ADDESSI,

op. cit., 460 ss. Come mettono in evidenza questi autori, lo scopo dell’aumento del capitale è quello di

finanziare l’attività sociale mediante l’investimento di nuove risorse.

429 F. CHIOMENTI, Può la società esercitare per le azioni proprie in portafoglio il diritto di opzione su un

aumento di capitale?, in Riv. dir. comm., 1980, I, 407 ss.

430 Ibid., 407 ss. Non aveva senso, invece, soffermarsi sulla lettera dell’art. 2357 c.c. e sul fatto che

l’acquisto dovesse avere ad oggetto azioni interamente liberate, perché ciò che contava era che lo scopo perseguito dal legislatore venisse rispettato.

pagamento si rispondeva che, nel caso in cui a sottoscrivere le azioni fosse stata la stessa

società emittente, la stessa distinzione tra aumento oneroso e gratuito non aveva ragione

di esistere

431

. Questa distinzione, basandosi sul carattere esterno (o incrementativo) o

interno (o contabile) degli apporti, poteva valere soltanto nei confronti dei soci, ma non

aveva senso per la società, il cui conferimento non poteva che essere prelevato dal

patrimonio sociale

432

. Un ultimo requisito era che fossero gli stessi soci, e non gli

amministratori, a decidere sull’esercizio del diritto di opzione da parte della società, al

fine di prevenire eventuali abusi

433

.

È interessante notare come, pur applicando disposizioni diverse (l’art. 2360 da un

lato e l’art. 2357 dall’altro), una parte della dottrina avesse raggiunto conclusioni simili.

Ragionando sulla ratio delle due norme fu ritenuto sufficiente, al fine di ammettere la

sottoscrizione reciproca di azioni e così la sottoscrizione di azioni proprie, l’impiego di

somme prelevate dagli utili o dalle riserve disponibili. In questo modo, infatti, non si

metteva a rischio l’integrità del capitale sociale. In quel periodo, peraltro, veniva

generalmente ammessa l’assegnazione gratuita di azioni in favore della società in

occasione di un aumento gratuito, in proporzione alle azioni proprie già possedute

434

.

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