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Le origini del modello adottato in Finlandia e la sua compatibilità con la seconda

3. Il diritto finlandese e la riforma del diritto societario (Limited Liability Companies

3.2. Le origini del modello adottato in Finlandia e la sua compatibilità con la seconda

Il modello delle c.d. true no-par value shares, fin qui descritto, ha avuto origine

nel diritto statunitense

340

. Lo stato di New York fu il primo che, nel 1912, consentì

l’emissione di no-par value shares e, progressivamente, questa disciplina si diffuse in

tutto il paese

341

. Attualmente, la maggior parte degli stati nordamericani consentono alla

società di scegliere se emettere par value sharesoppure no-par value shares mentre, in

anche H. DE WULF, op. cit., 249 ss. Il Finnish Companies Act del 2006 prevede, in particolar, che ad ogni

azione corrisponda un diritto di voto, salvo che sia diversamente previsto Così il chapter 3, Sec. 3, par. 1.

337 H. DE WULF, op. cit., 221 ss.

338 Le due operazioni sono disciplinate separatamente, la prima al chapter 9 (intitolato «Share issue») e la

seconda al chapter 11 (intitolato «Increase of the share capital») del Finnish Companies Act del 2006.

339 Così M. AIRAIKSINEN, op. cit., 325. 340 H. DE WULF, op. cit., 248.

341 J.D. COX,T.L.HAZEN, Treatise on the Law of Corporations, 3rd ed., vol. 3, St. Paul, 2010, 320. Prima

di quel momento, le azioni dovevano necessariamente avere un par value e l’ammontare del capitale sociale (stated capital) si calcolava sommando il par value delle azioni in circolazione. Le azioni non potevano essere emesse below par, ossia ad un prezzo inferiore al loro par value. Questo sistema è ancora in vigore negli stati che consentono l’emissione di par value shares. Per una ricostruzione storica si vedano B. MANNING,J.J.HANKS JR., Legal capital, 4th ed., St. Paul, 2013, 27 ss. e R.C. CLARK, Corporate law,

altri stati, il concetto di par value è stato definitivamente abbandonato

342

. Il sistema basato

sull’emissione di azioni dotate di valore nominale viene da molti considerato, infatti,

desueto ed arcaico

343

. Tra gli stati che consentono l’emissione di par value shares, vi è

anche quello del Delaware, al quale il legislatore finlandese si è ispirato nella redazione

del Finnish Companies Act del 2006

344

. Il Delaware, oltre a consentire l’emissione di par

value shares, è uno dei pochi stati ad aver conservato il concetto di legal capital

345

che,

negli Stati Uniti, è stato da tempo messo in discussione da parte della dottrina e

abbandonato nella maggior parte delle legislazioni nazionali, in favore di altri

meccanismi di tutela degli interessi dei creditori

346

.

Nei primi anni duemila fu presa in considerazione, da più parti, l’opportunità di

modificare la seconda direttiva europea in materia societaria, al fine di consentire

342 Come rilevano J.D. COX, T.L. HAZEN, op. cit., 315-316 «California began what has become an

accelerating trend within corporate statutes to accord no legal significance to a share’s par value». Il modello adottato in California è stato recepito anche nel Model Business Corporation act (MBCA), che, nella versione attualmente vigente (9 dicembre 2016), ha completamente privato di rilevanza giuridica il concetto di par value. Tra gli stati che continuano a contemplare la possibilità di emettere par value shares si ricorda, oltre al Delaware, lo stato di New York.

343 J.D. COX,T.L.HAZEN, op. cit.,315,osservano che: «Par value is a rapidly vanishing feature of corporate

law». Nelle pagine seguenti, il modello basato sull’emissione di par value shares viene definito «outmoded», «vestigial» e «archaic».

344 Ai sensi della Sec. 102, (a), (4) della Delaware General Corporation Law attualmente vigente, il

certificate of incorporation deve specificare il par value delle azioni emesse dalla società, oppure prevedere

che le azioni siano prive di par value. Ai sensi della Sec. 153, le par value shares non possono essere emesse per un prezzo inferiore al par value mentre, per quanto riguarda le no-par value shares, il prezzo può essere determinato liberamente dall’organo amministrativo oppure dai soci, a seconda di quanto previsto nell’atto costitutivo. La Sec. 154 prevede, infine, che il prezzo delle no-par value shares possa essere imputato a capitale oppure a patrimonio, secondo la valutazione discrezionale dell’organo amministrativo. Invece, nel caso in cui le azioni siano dotate di par value, è prevista una regola simile alla parità contabile, nel senso che la somma del par value delle azioni in circolazione deve essere sempre almeno pari al valore del capitale sociale. Per approfondire la disciplina del Delaware si veda E.P. WELCH

et. al., Folk on the Delaware General Corporation Law, 6th ed., New York, 2017.

345 Il Delaware continua a seguire le «traditional legal capital rules» anche se con numerose variazioni. Così

R. BOOTH, Capital Requirements in United States Corporation Law in M. LUTTER (ed.), Legal capital in Europe, Berlin, 2006, 634 ss.

346 L’abbandono del concetto di par value è strettamente collegato alla crisi della dottrina del legal capital.

L’attribuzione a ciascuna azione di un valore nominale corrispondente alla frazione del capitale sociale che rappresenta assicura, infatti, che per le azioni di nuova emissione sia pagato un prezzo minimo, da vincolare necessariamente a capitale. La dottrina del legal capital, come strumento principale di tutela per gli interessi dei creditori, è stata da tempo messa in discussione da parte della dottrina statunitense. Attualmente, questo sistema è stato abbandonato dalla maggior parte degli stati nordamericani. Fa eccezione, insieme ad altri, lo stato del Delaware. Sull’evoluzione del concetto di capitale sociale, sulla sua crisi e sugli strumenti alternativi di tutela dei creditori nel diritto societario nordamericano si vedano B. MANNING,J.J.HANKS

JR., op. cit.; J.J. HANKS JR., Legal capital and the Model Business Corporation Act: an essay for Bayless Manning, in Law and Contemporary Problems, 2011, 211 ss.; R. BOOTH, op. cit., 620 ss. e A. ENGERT, Life Without Legal Capital: Lessons from American Law, in M. LUTTER (ed.), Legal capital in Europe, cit.,

espressamente alle società di emettere c.d. true no-par value shares. Questa proposta fu

inizialmente presa in considerazione da parte della Commissione ma, in seguito, fu

abbandonata

347

. Una soluzione analoga a quella adottata in Finlandia, invece, è stata

prevista nell’European Model Companies Act (EMCA), elaborato da un gruppo di

studiosi al fine di favorire l’armonizzazione del diritto societario europeo

348

. L’EMCA

Group, nell’adottare questo sistema, si è espressamente ispirato alla normativa contenuta

nel Finnish Companies Act del 2006

349

.

La possibilità di emettere c.d. true no-par value shares comporta svariati vantaggi

per la società perché, rimuovendo una serie di ostacoli di natura formale, semplifica le

operazioni sul capitale, consente una riduzione dei costi e offre maggiore flessibilità nella

gestione sociale

350

. Uno dei vantaggi più importanti riguarda la determinazione del prezzo

347 Il dibattito sul par value si inseriva in quello, più generale, relativo alla revisione dell’impostazione

basata sulla dottrina del legal capital. Lo SLIM Working Group, istituito dalla Commissione nel 2000 al fine di elaborare proposte per la modernizzazione e la semplificazione del diritto societario europeo, evidenziò la necessità di effettuare degli studi «sulla possibilità di introdurre azioni che rappresentino semplicemente una frazione della società e il cui valore non abbia alcun rapporto diretto con il capitale della società». Così COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Relazione della Commissione, Risultati della Quarta Fase SLIM, 4 febbraio 2000, COM(2000) 56 definitivo, 4-5. Negli stessi termini si pronunciò

anche il HIGH-LEVEL GROUP OF COMPANY LAW EXPERTS, A Modern Regulatory Framework for Company Law in Europe: Final Report, 4 novembre 2002, pp. 82-83, ove fu rilevato che «Wide demand for no par

value shares is being expressed by the financial industry and the legal professions». La Commissione, nell’Action Plan del 2003, prese in considerazione queste proposte, commissionando a tal fine un ulteriore studio. Questo studio, condotto da un’importante società di revisione contabile, si concluse in termini sfavorevoli all’abbandono del sistema del legal capital nella normativa europea. Perciò, negli anni successivi, la questione dell’introduzione delle c.d. true no-par value share fu definitivamente abbandonata da parte della Commissione, come si evince dal fatto che né nella direttiva di modifica del 2006 né nell’Action Plan del 2012 si fa alcuna menzione a questa problematica. Per ulteriori riferimenti al dibattito relativo alle no-par value shares e all’interpretazione dell’art. 8 della seconda direttiva, si vedano M. PATAKYOVÁ, B. GRAMBLIČKOVÁ,op. cit., 142 ss. e E. FERRAN,L.C.HO,op. cit., 74. Per una ricostruzione

più dettagliata del dibattito, più generale, sulla possibile revisione del sistema del legal capital, si veda il primo capitolo, in particolare alla nota 34.

348 Il sistema delle no-par value shares è stato adottato nell’European Model Companies Act (EMCA),

versione 2017, con espresso richiamo alla soluzione adottata in Finlandia. Questo testo normativo è il frutto del lavoro di un gruppo di ricerca (EMCA Group), formato su iniziativa del prof. P.K. Andersen e del prof. T. Baums e composto da numerosi studiosi di diritto commerciale, che rappresentano i diversi Stati membri dell’Unione europea. L’obiettivo di questo lavoro è la creazione di un modello normativo, da lasciare a disposizione dei legislatori nazionali e del legislatore europeo al fine di favorire il processo di armonizzazione e di offrire spunti per soluzioni innovative. Per il testo completo dell’ EMCA si vedano P.K. ANDERSEN,J.B.ANDERSSON et. al., op. cit.

349 Si vedano P.K. ANDERSEN,J.B.ANDERSSON et. al., op. cit., 49 ss. e 91 ss.

350 In favore del sistema basato sull’emissione delle c.d. true no-par value shares si sono pronunciati una

serie di autori. Si vedano, ex multis, E. WYMEERSCH, op. cit., 6 ss.; L. GULLIFER,J.PAYNE, op. cit., 154-

155; H. DE WULF, op. cit., 215 ss.; K. ANDERSEN,J.B.ANDERSSON et. al., op. cit., 50 e 94; M. PATAKYOVÁ,

B. GRAMBLIČKOVÁ, op. cit., 154 ss. Come si vedrà nel corso della presente analisi, però, non tutti

concordano sul fatto che questo modello sia compatibile con la seconda direttiva. Alcuni, pur riconoscendone i vantaggi o, comunque, evidenziando le problematiche che sono connesse all’emissione di azioni dotate par value, ritengono che, per poter introdurre legittimamente nelle legislazioni nazionali

delle azioni di nuova emissione. Se le azioni sono dotate di valore nominale, infatti, il

prezzo di emissione non può essere inferiore alla frazione del capitale che

rappresentano

351

. Questa regola costituisce un problema soprattutto per le imprese in crisi,

perché ostacola le operazioni di ricapitalizzazione

352

. Nel caso in cui le azioni abbiano un

valore nominale superiore al loro valore di mercato, infatti, è altamente probabile che

nessuno sarà disposto a pagare il prezzo minimo richiesto dalla legge per la sottoscrizione

di tali azioni. Per questo motivo la società, prima di poter procedere ad un aumento di

capitale finalizzato al reperimento di nuove risorse, dovrà porre in essere alcune

operazioni preliminari, aumentando i costi e dilatando le tempistiche necessarie per

risolvere lo stato di crisi

353

. Invece, il prezzo di emissione delle c.d. true no-par value

shares può essere liberamente determinato, senza tener conto del valore delle azioni

preesistenti

354

. Un altro vantaggio del sistema delle c.d. true no-par value shares riguarda

la determinazione dei diritti sociali connessi alle azioni. Nei sistemi in cui le azioni sono

emesse con indicazione del valore nominale, infatti, i diritti dei soci devono essere,

almeno tendenzialmente, proporzionali alla partecipazione al capitale

355

. Invece, se le

un sistema basato sull’emissione di c.d. true no-par value shares, sia imprescindibile una modifica dell’art. 8 della direttiva. Altri, invece, ritengono che il testo della direttiva non contenga alcun ostacolo all’adozione di un sistema di questo tipo, interpretando l’art. 8 in un senso particolarmente restrittivo.

351 Ciò vale sia nel caso in cui le azioni siano emesse con indicazione del valore nominale, sia nel caso in

cui le azioni siano dotate di valore nominale c.d. implicito, nel senso che, rappresentando una frazione del capitale sociale nominale, non possono essere emesse per un prezzo inferiore al valore del capitale nominale suddiviso per le azioni in circolazione.

352 Questo problema viene messo in evidenza da K. ANDERSEN,J.B.ANDERSSON et. al., op. cit., 92 ss.; e

H. DE WULF, op. cit., 238 ss. E.L. ENRIQUES,J.R.MACEY, Creditors Versus Capital Formation: The Case

against the European Legal Capital Rules, in Cornell Law Review, 2001, 1198.

353 Tra le operazioni preliminari possibili si ricordano, ad esempio, la riduzione del capitale per perdite

prima di procedere all’aumento oppure, se la legge lo permette, la creazione di due categorie di azioni con valore nominale differente. Si vedano H. DE WULF, op. cit., 238 ss. e K. ANDERSEN,J.B.ANDERSSON et.

al., op. cit., 92 ss. Negli ordinamenti in cui è obbligatorio emettere azioni dotate di valore nominale, le società, per evitare questi inconvenienti, sono portate a stabilire un valore nominale molto basso per le proprie azioni. Ciò si è verificato anche negli Stati Uniti, prima che fossero ammesse le no-par shares. Si vedano L. GULLIFER,J.PAYNE, op. cit., 153 (per il Regno Unito) e B. MANNING,J.J.HANKS JR., op. cit.,

34 ss. (per gli Stati Uniti).

354 Normalmente, il valore nominale delle azioni non coincide con il loro valore di mercato (e spesso se ne

discosta notevolmente) anche nelle società che non stanno vivendo un momento di crisi. Per questo motivo, si ritiene che la presenza del valore nominale possa risultare fuorviante e creare fraintendimenti sia da parte degli azionisti sia, soprattutto, dei terzi che intendono entrare in società sottoscrivendo un aumento del capitale. Così H. DE WULF, op. cit., 238 ss.

355 Com’è noto, la regola generale dell’attribuzione proporzionale dei diritti è soggetta a numerose eccezioni

anche nei sistemi in cui le azioni sono emesse con indicazione del valore nominale. Queste eccezioni, però, sono corredate da alcune limitazioni, nel senso che l’attribuzione dei diritti in maniera non proporzionale alla partecipazione al capitale è consentita nel rispetto delle disposizioni di legge che la ammettono. Invece, nel caso in cui sia consentito alla società di emettere c.d. true no-par value shares, il principio della proporzionalità non vale, perché le azioni non si trovano in un rapporto di proporzionalità rispetto al capitale

azioni non sono collegate al capitale sociale da un rapporto di proporzionalità, i diritti

spettanti a ciascun socio possono essere determinati liberamente, secondo le indicazioni

contenute nello statuto e nella decisione di emissione

356

.

A fronte di questi vantaggi, l’adozione di un sistema di questo tipo all’interno

degli Stati membri dell’Unione europea presenta una serie di problematiche. Innanzitutto,

è dubbia la compatibilità delle c.d. true no-par value shares con la regola sancita all’art.

8 della seconda direttiva

357

. Secondo la tesi tradizionale, infatti, anche nel caso in cui le

azioni siano emesse senza l’indicazione del valore nominale, il prezzo di emissione non

può essere inferiore al valore del capitale nominale preesistente suddiviso per le azioni in

circolazione, corrispondente al loro c.d. valore nominale implicito

358

. In questo senso

deve essere intesa, infatti, la disciplina di cui all’art. 8, secondo cui non è possibile

emettere azioni per un prezzo inferiore al valore contabile. A questo si aggiunge che il

sistema delle c.d. true par value shares, ispirato al modello americano, non è compatibile,

oltre che con l’art. 8, anche con il sistema normativo europeo nel suo complesso, alla luce

dei principi fondamentali stabiliti nella seconda direttiva

359

. Perciò, prima di poter

sociale. Perciò, i diritti spettanti a ciascuna azioni possono essere liberamente determinati. Si veda H. DE

WULF, op. cit., 251 ss.

356 Ibid., 251 ss. In questo modo è possibile differenziare i diritti spettanti a ciascuna azione tenendo conto,

ad esempio, del prezzo pagato al momento dell’emissione delle azioni.

357 Le autorità di Regno Unito e Svezia, nel momento di riformare il proprio diritto societario, avevano

preso in considerazione la possibilità di introdurre un sistema simile a quello fin qui descritto. In entrambi i casi, tuttavia, è stato mantenuto un sistema basato sull’emissione di azioni dotate del valore nominale, sulla base della ritenuta incompatibilità delle c.d. true no-par value shares con la seconda direttiva. Si vedano E. FERRAN,L.C.HO,op. cit., 74 e H. DE WULF, op. cit., 247-248.

358 Nel senso dell’incompatibilità del sistema delle c.d. true no-par value shares con la seconda direttiva si

pronunciano J. RICKFORD et. al., op. cit., 929; E. FERRAN,L.C.HO,op. cit., 74; L. GULLIFER,J.PAYNE, op. cit., 154; E. WYMEERSCH, op. cit., 6; E.A.BALDAMUS, Reform der Kapitalrichtlinie, Köln, 2002, 114; M.

LUTTER, W. BAYER, J. SCHMIDT, op. cit., 525; S. GRUNDMANN, Europäisches Gesellschaftsrecht,

Heidelberg, 2011, 169; M. HABERSACK,D.A.VERSE, Europäisches Gesellschaftsrecht: Einführung für Studium und Praxis, München, 2011, 150. Nella dottrina italiana, si veda M.S. SPOLIDORO, Valore nominale, azioni senza indicazione del valore nominale e aumento del capitale sociale, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2017, 69 ss.

359 Secondo J. RICKFORD et. al., op. cit., 929 «True NPV shares, (…), are therefore inconsistent with the

theory of capital maintenance and accordingly implicitly prohibited under European law. They are also inconsistent with many of the detailed rules adopted to implement the theory». F. KÜBLER, A comparative Approach to Capital Maintenance: Germany, in European Business Law Review, 2004, 1033-1034 sostiene

che il successo del sistema americano, che combina le no-par value stock con l’istituto dell’authorized

capital, dipende in larga parte dalle particolari caratteristiche in cui opera. Tra queste, la trasparenza della

gestione finanziaria e i principi, rigorosamente perseguiti, dei doveri di fedeltà e lealtà degli amministratori e dirigenti. Queste condizioni non ricorrono, ad oggi, in Germania (che l’autore prende a riferimento per testare la compatibilità del modello delle no-par value shares). Così anche V. PÖNKÄ, op. cit., 12-13.

adottare una soluzione di questo tipo, occorrerebbe intervenire non solo sull’art. 8, ma

anche sull’impostazione complessiva della seconda direttiva

360

.

Al problema della compatibilità con la seconda direttiva si aggiunge che, se si

consentisse alla società di emettere c.d. true par value shares, verrebbero lesi gli interessi

tutelati dal divieto di emettere azioni sotto la parità contabile

361

. La presenza del valore

nominale, secondo questo ordine di idee, tutela gli azionisti contro il rischio di diluizione

della propria partecipazione e assicura, a beneficio dei creditori, che una certa somma del

prezzo pagato per le azioni di nuova emissione sia necessariamente destinata a capitale

362

.

In senso contrario si rileva che la tutela degli azionisti si realizza non tanto impedendo

l’emissione di azioni sotto il loro valore nominale, quanto, piuttosto, assicurando che il

prezzo di emissione non sia inferiore al loro valore patrimoniale e di mercato

363

. Per

quanto riguarda i creditori, la tutela dei loro interessi non riguarda tanto l’imposizione di

un prezzo minimo predeterminato, che potrebbe discostarsi ampiamente dal prezzo di

mercato, bensì l’obbligo che il conferimento, o una sua parte, sia vincolato a capitale

364

.

360 In senso contrario, si veda HIGH-LEVEL GROUP OF COMPANY LAW EXPERTS, A Modern Regulatory

Framework for Company Law in Europe: Final Report, cit., 82-83, secondo cui «Offering the possibility

to have no par value shares does not necessarily require major changes in the system».

361 Per un’ampia ricostruzione, anche di diritto comparato, in favore del mantenimento del divieto di

emettere azioni sotto la parità contabile si veda M. S. SPOLIDORO, op. cit., 69 ss.

362 Per quanto riguarda la tutela degli azionisti, il divieto di emettere azioni per un prezzo inferiore al valore

nominale assicura che, per l’ingresso in società, venga pagato un prezzo minimo uguale per tutti. In questo modo si assicura anche la parità di trattamento tra i soci. Per questa tesi M. S. SPOLIDORO, op. cit., 102 ss.

363 Il valore nominale delle azioni, di per sè, ha scarso significato visto che, normalmente, non coincide con

il valore reale delle azioni. Inoltre, la determinazione di un prezzo di emissione congruo è compito dell’organo amministrativo e la decisione finale spetta, in ogni caso, all’assemblea dei soci. Così E. WYMEERSCH, op. cit.,7, e P. SANTELLA, R.TURRINI, Capital Maintenance in the EU: Is the Second Company Law Directive Really That Restrictive?, in European Business Organization Law Review, 2008,

446. A ciò si aggiunge che se il divieto di emettere azioni sotto la parità contabile fosse riferibile esclusivamente agli interessi dei soci, si dovrebbe ammetterne la deroga, a condizione che la delibera di emissione sia approvata all’unanimità.

364La tutela dei diritti dei creditori può essere realizzata, perciò, senza le rigidità imposte dal sistema

tradizionale. Così M. AIRAIKSINEN, op. cit., 313-314; E. FERRAN,L.C.HO,op. cit., 72 e L. GULLIFER,J.

PAYNE, op. cit., 154. Un discorso a parte deve essere fatto per il caso in cui, essendo il valore nominale

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