2. Analisi dell’evoluzione normativa e del diritto vigente in Germania, Francia e Regno
2.1.1. Il sistema tedesco
In Germania, il divieto di acquistare azioni proprie fu previsto per la prima volta
con la Aktienrechstnovelle del 1870
174. Questa riforma introdusse, all’art. 215, par. 3
dell’ADHGB (Allgemeines Deutsches Handelsgesetuzbuch) il divieto inderogabile per la
società di acquistare proprie azioni
175. Nella nota esplicativa al progetto di legge questa
norma venne giustificata sulla base di tre motivazioni: l’acquisto di azioni proprie non
era ritenuto coerente con la natura della società per azioni, l’esercizio dei diritti inerenti
alle azioni da parte degli amministratori si sarebbe potuto prestare ad abusi e, infine, vi
con la sua sopravvivenza. Così S.PUGLIATTI, Il rapporto giuridico unisoggettivo, in Diritto civile. Metodo, teoria, pratica. Saggi, Milano, 1951, 395 ss.
172 B. POZZO, op. cit., 30 ss., la quale analizza i problemi emersi nel sistema francese, tedesco, italiano ed
inglese. La preoccupazione relativa all’integrità del capitale è comune a tutti gli ordinamenti, anche se in misura diversa e con diverse sfumature. Si veda anche F. CARBONETTI, op. cit., 32 ss., il quale pone in
evidenza due ulteriori problemi: «l’interesse del mercato alla regolare formazione della quotazione e l’interesse dei soci a un corretto dispiegarsi della dialettica interna alla società». I diritti connessi alle azioni proprie, in mancanza di regolamentazione, vengono infatti esercitati dagli amministratori, i quali potrebbero trovarsi, in questo modo, a godere di una posizione di controllo.
173 Si veda l’analisi che segue per quanto riguarda gli ordinamenti tedesco, inglese e francese.
Dell’evoluzione del diritto italiano si tratterà, invece, nel capitolo terzo.
174 Infatti, l’ADHGB (Allgemeines Deutsches Handelsgesetzbuch) del 1861 non conteneva alcuna
disposizione in materia. La prima Aktienrechtsnovelle (riforma del diritto delle società per azioni) fu emanata in data 11 giugno 1870. Si vedano M. LUTTER, sub § 71, in W. ZÖLLNER (Hrsg.), Kölner
Kommentar zum Aktiengesetz, Band 1, Köln-Berlin-Bonn-München, 1985, 568; A. BENCKENDORFF, Erwerb eigener Aktien im deutschen und US-amerikanischen Recht, Baden-Baden, 1998, 36 ss.; R.
NÜRNBERGER, Der Erwerb eigener Aktien durch die Aktiengesellschaft, Nolte, 1938, 1; H. MERKT, sub § 71, in K.J.HOPT (ed.) et al., Aktiengesetz, Großkommentar, Lieferung 28, Berlin, 2007, 80-81; B. POZZO, op. cit., 18 ss.; F. CARBONETTI, op. cit., 24 ss.
175 L’art. 215 par. 3 ADHGB prevedeva che «Die Aktiengesellschaft darf eigene Aktien nicht erwerben».
Si vedano H. MERKT, op. cit., 80-81 e C.H.BARZ,sub § 71, in C.H.BARZ et. al. (Hrsg.), Großkommentar zum Aktiengesetz, Band 1, Berlin-New York, 1973, 537.
sarebbe stato il rischio di un rimborso anticipato agli azionisti
176. Tuttavia, già in fase di
elaborazione della norma
177, la previsione di un divieto assoluto sollevò numerose
critiche
178. In quel tempo, infatti, i negozi di acquisto di azioni proprie iniziavano ad
essere diffusi e perciò, secondo la dottrina, la previsione di un divieto di questo tipo
avrebbe comportato un ostacolo ingiustificato ai traffici giuridici
179.
Con l’Aktienrechtsnovelle del 1884, la normativa fu modificata e il divieto, non
più assoluto, si trasformò in una Sollvorschrift
180. Con questo termine si intende una
norma che, pur continuando a non ammettere l’acquisto, non costituiva un vero e proprio
precetto legislativo a pena di nullità, quanto piuttosto un monito del legislatore, la cui
violazione comportava soltanto un obbligo di risarcimento dei danni da parte dei
componenti dell’organo amministrativo e di sorveglianza
181. Nella prassi, la mancanza di
sanzioni finì per trasformare quello che formalmente era un divieto in una sorta di
autorizzazione in bianco attribuita agli amministratori, ai quali veniva così riconosciuta
176 Il rischio di rimborso anticipato veniva evidenziato in riferimento all’ipotesi di acquisto di azioni non
interamente liberate. In questo caso, l’azionista alienante avrebbe beneficiato della remissione dell’importo ancora dovuto. Sulla relazione di accompagnamento al progetto di legge si veda H. MERKT, op. cit., 81.
177 In fase di elaborazione della norma vi furono delle proposte meno radicali, quali ad esempio quella di
consentire l’acquisto purché, a tal fine, fossero impiegate esclusivamente somme provenienti dagli utili sociali. In favore di questa proposta, che non ebbe seguito, si evidenziò il fatto che già in Francia ed in Inghilterra la previsione di un divieto assoluto ed inderogabile fosse stata superata. Si veda H. MERKT, op. cit., 81.
178 In alcune sentenze del Reichsoberhandelsgericht (ROGH) si manifestò inoltre un indirizzo
giurisprudenziale che, a dispetto della lettera della legge, consentiva in certi casi l’acquisto di azioni proprie. Questo indirizzo, però, restò minoritario, visto che la maggior parte delle sentenze stabilirono che l’acquisto effettuato in violazione del precetto legislativo dovesse considerarsi nullo perché in violazione di norma imperativa. Si vedano M.LUTTER,sub § 71,cit.,568;C.H.BARZ,op. cit.,537;veda H. MERKT, op. cit., 81 e B. POZZO, op. cit., 19.
179 Così B. POZZO, op. cit., 18, che riporta le critiche espresse da G. LOMMER, Erwerb unbezahlter und
nicht vollbezahlter Aktien, Inaugural-Dissertation, Eisenberg, 1913, 19. Le critiche riguardarono soprattutto
i casi in cui non sussistono i rischi che erano stati evidenziati in occasione dell’introduzione del divieto, come ad esempio l’acquisto di azioni a titolo gratuito e l’acquisto di azioni finalizzato alla riduzione del capitale. In quel periodo, tra l’altro, molte società erano state costituite con un capitale più elevato del necessario e, perciò, la possibilità di acquistare azioni proprie sarebbe stata molto utile nella prassi per poter procedere alla riduzione del capitale con annullamento delle azioni. Sulle critiche espresse al divieto si vedano H. MERKT, op. cit., 81 e A. BENCKENDORFF,op. cit.,36.
180 Aktienrecthsnovelle del 18 luglio 1884, art. 215 d, ove fu previsto che la società per azioni non può
(«soll… nicht») acquistare azioni proprie. L’impiego del verbo sollen lascia intendere che il divieto non è perentorio. Si vedano H. MERKT, op. cit., 82; C.H.BARZ,op. cit.,537;M.LUTTER,sub § 71,cit., 569;A.
BENCKENDORFF,op. cit.,36. Per approfondire la differenza tra Soll- e Mussvorschft nel diritto tedesco si
veda D. WEBER-PETRAS, Ordnungs- und Sollvorschriften im Strafprozeßrecht, Frankfurt am Main, 1992.
un’ampia facoltà di deroga
182. Il divieto restò in vigore come mera Sollvorschrift
183fino
agli anni ’30 quando, nel contesto della crisi finanziaria di quegli anni, il legislatore
riformulò la disciplina, rendendo perentorio il divieto di acquistare azioni proprie, salvo
che si rientrasse in una delle eccezioni esplicitamente ammesse
184. Questa disciplina andò
poi a confluire, senza modificazioni di carattere sostanziale, nel § 65 dell’Aktiengesetz
del 1937
185.
Il divieto di acquistare azioni proprie scomparve, a livello formale, a partire
dall’Aktiengesetz del 1965, § 71
186. Il legislatore tedesco, infatti, adottò una formulazione
peculiare: al posto di prevedere un divieto formale corredato da un certo numero di
eccezioni, furono tipizzate una serie di ipotesi, da considerarsi eccezionali, nelle quali era
consentito acquistare azioni proprie
187. Tra queste, la più rilevante riguardava il caso in
cui l’operazione fosse necessaria per evitare un danno grave alla società, visto che
introduceva una clausola generale, grazie alla quale gli amministratori potevano godere
di una certa discrezionalità nella gestione di queste operazioni
188.
182 Così M. LUTTER, sub § 71,cit., 569, secondo il quale «In der Praxis wurden die weite Fassung und der
Charakter einer Sollvorschrift als Blanketterlaubnis mißverstanden».
183 La formulazione della norma rimase, infatti, pressoché invariata nel § 226 HGB (Handelsgesetzbuch)
del 1897. M.LUTTER,sub § 71,cit., 569.
184 Negli anni ’20, infatti, si fece ampio ricorso all’acquisto di azioni proprie, nel tentativo di mantenere
elevato il corso di alcuni titoli azionari. Questa prassi contribuì al fallimento di molte società tedesche ed è per questo che, con la novella del 19 settembre 1931, venne riformulato l’art. 226 dell’HGB (Handelsgesetzbuch). Si vedano M. LUTTER, sub § 71,cit., 569 e F. CARBONETTI, op. cit., 15, il quale rileva
che, negli anni 1930-31, alcune importanti banche arrivarono a possedere il 55%-60% del proprio capitale sociale.
185 M. LUTTER, sub § 71,cit., 569.
186 Aktiengesetz vom 6. September 1965 (BGBI: I S. 1089), che, pur dopo aver subito numerose modifiche,
è ancora in vigore. Il § 71 dell’Aktiengesetz del 1965, nella formulazione che verrà brevemente esposta, costituiva la disciplina prevista per l’acquisto di azioni proprie alla vigilia dell’emanazione della seconda direttiva. In quel periodo, le motivazioni evidenziate dalla dottrina alla base della disciplina sull’acquisto di azioni proprie riguardavano principalmente la tutela del capitale sociale. Si riteneva, in particolare, che tramite l’acquisto si sarebbe potuta realizzare una surrettizia distribuzione del patrimonio in favore dei soci, danneggiando la garanzia che spetta ai terzi creditori. Per un commento a questa norma si veda R. VON
GODIN, H. WILHELMI, Aktiengesetz vom 6. September 1965: Kommentar, Berlin, 1971, 372 ss.
187 Le ipotesi individuate dalla norma furono le seguenti: 1) se l’acquisto è necessario per evitare alla società
un danno grave; 2) se i titoli sono acquistati per essere offerti ai dipendenti; 3) se le azioni servono a soddisfare azionisti di minoranza nelle fattispecie disciplinate dai § § 305(2) e 320(5); 4) se le azioni, interamente liberate, sono acquistate a titolo gratuito o per commissione di acquisto; 5) oppure per successione universale; 6) oppure per ridurre il capitale mediante il ritiro dei titoli. Attualmente, in seguito alle modifiche intervenute, la norma individua non più sei bensì otto casi.
188 Sull’interpretazione della clausola del «danno grave» (schweren Schaden) si vedano M. LUTTER, sub §
71,cit., 574 ss.; R. VON GODIN, H. WILHELMI, op. cit., 375 ss.; E.BUNGEROTH, sub § 71, in E. GEßLER et
al., Aktiengesetz, Kommentar, Band 1, Monaco, 1983, 433 ss. Secondo l’interpretazione datane dalla dottrina e dalla giurisprudenza, per danno doveva intendersi qualsiasi tipo di perdita gravante sul patrimonio della società, nella forma del danno emergente oppure del mancato guadagno. Il danno poteva essere imminente oppure già verificato purché fosse «grave», secondo una valutazione che doveva tener conto
Fu poi introdotto un limite quantitativo: la società non poteva acquistare né
detenere azioni proprie per un ammontare superiore al decimo del capitale sociale, fatta
eccezione per i casi in cui le azioni, interamente liberate, fossero acquistate a titolo
gratuito, per successione universale oppure per ridurre il capitale mediante il ritiro dei
titoli
189. Alla società non spettava alcuno dei diritti inerenti alle azioni proprie detenute in
portafoglio, ivi compresi il diritto di voto ed il diritto di opzione
190. Infine, per le azioni
acquistate in violazione della disciplina di cui al § 71, fu prevista una disciplina del tutto
peculiare
191. Il trasferimento delle azioni, avvenuto in violazione della legge, doveva
considerarsi inefficace soltanto nel caso in cui le azioni non fossero interamente
liberate
192. Qualora, invece, le azioni fossero interamente liberate, l’acquisto si
consolidava in capo alla società ed era considerato valido ed efficace
193.
delle dimensioni dell’azienda e del tipo di attività esercitata. La clausola del danno grave fu recepita nella seconda direttiva ove, all’art. 19 par. 2, si consentiva alla società di prescindere dal requisito dell’autorizzazione assembleare, normalmente richiesto per l’acquisto di azioni proprie, nel caso in cui l’acquisto fosse necessario per evitare alla società un danno grave ed imminente.
189 Questo limite era previsto dal primo paragrafo del § 71 soltanto per le ipotesi individuate dai numeri da
1 a 3 (acquisto necessario per evitare un danno grave alla società; acquisto di azioni al fine di offrirle ai dipendenti; azioni acquistare al fine di soddisfare gli azionisti di minoranza). Negli altri tre casi (da 4 a 6) tale limite non si applicava. Su tale limite R. VON GODIN, H. WILHELMI, op. cit., 381 ss.
190 Così il § 71 (6). In questo modo, si preveniva il rischio che gli amministratori potessero esercitare il
diritto di voto relativo alle azioni proprie, esercitando un controllo indebito sulle decisioni assembleari. Si veda R. VON GODIN, H. WILHELMI, op. cit., 386 ss. Questa regola, in seguito al recepimento della direttiva,
fu prevista al § 71b.
191 Questa disciplina era contenuta al § 71, secondo Absatz e rimase invariata in seguito al recepimento
della direttiva.
192 La terminologia impiegata dal § 71 è unwirksam. Si vedano R. VON GODIN, H. WILHELMI, op. cit., 382-
383; M. LUTTER, sub § 71,cit., 582. In caso di acquisto inefficace, il socio riotteneva le azioni e veniva nuovamente iscritto nel libro soci ma era obbligato a restituire le somme ricevute a titolo di compenso da parte della società.
193 Così R. VON GODIN, H. WILHELMI, op. cit., 382, il quale rileva che l’acquisto, nonostante la sua
invalidità, fosse «voll wirksam und gültig». Questa conclusione si ricavava dal testo della norma, che disciplinava soltanto il caso contrario: «Ein Verstoß gegen Absatz 1 macht den Erwerb eigener Aktien nur unwirksam, wenn auf sie der Nennbetrag oder der höhere Ausgabebetrag noch nicht voll geleistet ist». Poiché il trasferimento veniva considerato inefficace «soltanto» qualora le azioni non fossero interamente liberate se ne deduceva, al contrario, che l’acquisto di azioni proprie interamente liberate fosse sempre efficace. La norma prevedeva, poi, in apparente contraddizione, che il negozio obbligatorio di trasferimento concluso al di fuori dei casi di cui al § 71 era nullo. Questa contraddizione si spiega facendo riferimento al sistema del trasferimento di cose mobili vigente in Germania, nel quale erano contemplati due momenti: un negozio obbligatorio ed un negozio reale. Con il primo, le parti si assumevano reciprocamente l’obbligo di trasferire la proprietà, da un lato, e di pagare il corrispettivo, dall’altro. Con il secondo, ossia la traditio, si trasferiva il diritto di proprietà, perfezionando così gli effetti reali della vendita. con il quale si producevano gli effetti di trasferimento della proprietà. effettivamente trasferito. La consegna volontaria veniva considerata come un negozio astratto che, come tale, si perfezionava anche qualora il negozio obbligatorio, da cui era nata l’obbligazione di trasferire la proprietà, fosse venuto a mancare per qualsiasi ragione. Ecco perché, per i due negozi, si prevedevano sorti diverse: la nullità per il negozio obbligatorio di acquisto e l’inefficacia, limitata all’ipotesi in cui le azioni non fossero interamente liberate, per il negozio reale. Per approfondire questo aspetto, si veda B. POZZO, op. cit., 149 ss.