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4 3 [Attuale concezione sul fondamento teorico-dogmatico del

principio di affidamento] Attualmente, il punto fermo da cui la dottrina parte per

116 Cfr. F.ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, op. cit., p. 151, secondo il quale, se così non fosse, cioè se si

addossassero a ciascuno le conseguenze delle condotte colpose frutto della consapevole autodeterminazione di terzi, si giungerebbe ad ipotizzare casi di responsabilità oggettiva, in violazione dell’art. 27, comma 1 Cost. Sui doveri secondari di diligenza, cfr. già G. MARINUCCI-G. MARRUBINI, Profili penalistici del lavoro medico-

chirurgico in équipe, op. cit., p. 220; G.COGNETTA, La cooperazione nel delitto colposo, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1980, pp. 63 e ss.; recentemente, C.CANTAGALLI, Brevi cenni sul dovere secondario di controllo e sul rilievo dello scioglimento

anticipato dell’équipe in tema di responsabilità medica, op. cit., pp. 2838 e ss.

117 M.MANTOVANI, Sui limiti del principio di affidamento, op. cit., pp. 1195 e ss.

118 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 107, il quale evidenzia che, nella

prospettiva adottata da Schumann, il principio di autoresponsabilità determina una ripartizione rigida delle sfere di competenza e responsabilità fra vari soggetti interagenti; pertanto non si spiega, sulla base dell’autoresponsabilità come presupposto dell’affidamento, come possa la percezione dell’altrui errore modificare il riparto di competenze e responsabilità normativamente fissate. E infatti, l’Autore tedesco sostiene comunque la sussistenza fra i soggetti interagenti di un dovere di attenzione teso a evitare pericoli riconoscibili, il che contraddice platealmente il principio di autoresponsabilità, che non può quindi fondare il principio di affidamento.

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individuare il fondamento dogmatico del principio di affidamento è la considerazione secondo cui, in caso di attività plurisoggettiva, ciascuno dei partecipi può legittimamente partire dal presupposto che tutti coloro con cui si trovi ad interagire si conformino alle richieste di diligenza ad essi normativamente rivolte dall’ordinamento. Tale aspettativa poggia sul fatto che tutti i consociati, facenti parte del medesimo ordinamento, devono considerarsi assoggettati alle prescrizioni di comportamento che questo rivolge indistintamente ad ogni soggetto119.

Il problema, dunque, è comprendere quale sia il fondamento di tale aspettativa che l’ordinamento ripone nell’osservanza delle proprie norme.

La dottrina italiana ha trattato il tema dell’affidamento nell’alveo che più gli è consono, ovvero quello della colpa, precisamente nell’ambito dell’individuazione della sussistenza di limiti ai doveri di diligenza nel caso di attività plurisoggettive. Se ogni consociato è vincolato al rispetto di obblighi cautelari che disciplinano la specifica attività che svolge, in prospettiva plurisoggettiva sono configurabili obblighi cautelari che hanno ad oggetto la condotta di altri soggetti con cui si interagisce?

La risposta che la dottrina maggioritaria120 offre a tale interrogativo è

negativa. Per effetto della vigenza, nelle relazioni intersoggettive, del principio di affidamento, non possono considerarsi esistenti – normalmente e salvo eccezioni – obblighi cautelari aventi ad oggetto la condotta altrui121.

Il fondamento di una soluzione di questo genere, sgombrato il campo dagli equivoci cui conducono le ricostruzioni sopra succintamente tratteggiate relative al

119 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 101.

120 Cfr. G. MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, op. cit., pp. 193 e ss.; F. ALBEGGIANI, I reati di

agevolazione colposa, op. cit., pp. 150 e ss.; G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale, Parte generale, op. cit., p. 513 e ss.; G.FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, op. cit., pp. 237 e ss.

121 S.CANESTRARI-L.CORNACCHIA-G.DE SIMONE, Manuale di diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 729: «Il c.d.

principio di affidamento vige come regola intersoggettiva primaria, ossia come principio criteriologico: ciascuno può e anzi deve fare affidamento sul corretto comportamento altrui perché e nella misura in cui le sfere di competenza sono ab origine divise. Quindi, di regola sono esclusi obblighi rivolti al comportamento di terzi». Regola che in determinati casi diviene un vero e proprio obbligo di affidamento nel corretto disimpegno da parte di ciascuno dei propri doveri cautelari allo scopo di ottimizzare i risultati organizzativi. Sul punto, A. Vallini, Cooperazione e concause in ipotesi di trattamento sanitario “diacronicamente plurisoggettivo”, op. cit., p. 477; ID., Gerarchia in ambito ospedaliero ed omissione colposa di trattamento terapeutico, in Dir. Pen. Proc., 2000, pp.

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“rischio consentito” e al “principio di autoresponsabilità”, viene generalmente rinvenuto nella struttura del reato colposo.

Le attività rischiose socialmente utili possono essere esercitate solamente se sono rispettati standard cautelari ai quali l’ordinamento vincola la stessa autorizzazione all’esercizio dell’attività; ciò in quanto, come visto in precedenza, solo il rispetto delle regole cautelari permette di mantenere la latenza del rischio entro margini di tollerabilità socialmente adeguati.

Da ciò consegue, più in generale, che la moderna configurazione della colpa in senso normativo – incardinata, sotto il profilo della tipicità, sulla violazione di regole obiettive a contenuto cautelare – consente di strutturare lo svolgimento di attività rischiose socialmente utili secondo modelli comportamentali il cui rispetto è imposto – quindi, è atteso – dall’ordinamento giuridico. Precisamente, lo svolgimento di tali attività deve avvenire nel rispetto di parametri cautelari standardizzati, impersonati – settore per settore – dalla figura ideale del c.d. agente- modello di riferimento: il c.d. homo eiusdem professionis et condicionis122.

Se l’ordinamento impone il rispetto delle regole cautelari – perché i rischi derivanti dallo svolgimento di attività pericolose siano mantenuti entro il consentito – significa che se ne attende l’osservanza dai consociati e dunque – spostando il punto di vista dallo Stato al cittadino – ciascuno è obbligato a conformare la propria condotta alle aspettative dell’ordinamento123.

122 Nella vastissima letteratura sul punto, cfr. G.FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, op. cit., p. 237: «Il

riferimento alla c.d. “figura modello” è […] il criterio solitamente utilizzato da dottrina e giurisprudenza per rivestire di contenuto quella “violazione della diligenza” che si è visto essere il nucleo della tipicità colposa. […] La “diligenza richiesta nei traffici” si determina cioè in base al punto di vista ex ante dell’uomo “coscienzioso e avveduto” del circolo di rapporti cui appartiene l’agente o in generale “più vicino” all’agente». Si tratta di «una misura oggettiva-normativa; una sorta […] di “personificazione dell’ordinamento giuridico nella situazione concreta”». Non si tratta di un’unica figura, «ma “tante” quanti sono i gruppi sociali e i circoli di rapporti». Cfr. altresì F.GIUNTA, La normatività della colpa penale. Lineamenti di una teorica, op. cit., pp. 95 e ss.; ID., Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, op. cit., pp. 220 e ss.; V.ATTILI, L’agente-modello “nell’era della

complessità”: tramonto, eclissi o trasfigurazione?, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, pp. 1240 e ss.. Con specifico

riferimento all’attività medica e per gli ulteriori opportuni riferimenti, cfr. D.MICHELETTI, La normatività della

colpa medica nella giurisprudenza della Cassazione, in S.CANESTRARI-F.GIUNTA-R. GUERRINI-T.PADOVANI (a

cura di) Medicina e diritto penale, Pisa, 2009, pp. 247 e ss.; D. CASTRONUOVO-L.RAMPONI, Dolo e colpa nel

trattamento medico-sanitario, op. cit., pp. 960 e ss. Nella manualistica, ex multis, F.MANTOVANI, Diritto penale, op.

cit., p. 346; G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 510.

123 G.FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, op. cit., p. 241: «Ciò che conta […] perché il soggetto sia chiamato

ad adeguarsi agli standard del gruppo, è la spontanea assunzione obiettiva […] dell’attività corrispondente. È tale assunzione che «garantisce» e, dunque, per ciò che riguarda specificamente il campo penale, crea l’affidamento che il soggetto si adeguerà alla misura di diligenza richiesta dal circolo di rapporti e che avrà le

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Ora, affermare che ogni consociato sia vincolato al rispetto delle regole precauzionali che volta per volta vengono in rilievo – in modo da soddisfare l’aspettativa dell’ordinamento al rispetto delle proprie norme – equivale a fondare una corrispondente aspettativa “orizzontale”, valevole nei rapporti intersoggettivi fra consociati. Ciascuno può confidare nel rispetto altrui degli standard cautelari di riferimento perché anche nei suoi confronti, come nei confronti di tutti i consociati, l’ordinamento avanza la pretesa al rispetto delle regole cautelari che, sole, permettono l’esercizio di attività pericolose socialmente utili124.

Inteso in tal modo, il principio di affidamento ha una funzione di perimetrazione degli obblighi di diligenza gravanti su ciascuno, nei casi in cui si agisca in contesti interattivi: ciascuno è tenuto al rispetto dei doveri esigibili nei suoi confronti e tali doveri cautelari, di regola, non contemplano la previsione e neutralizzazione di altrui condotte inosservanti125.

Il fondamento di tale aspettativa viene visto, secondo la dottrina in precedenza citata, nel fatto stesso di intraprendere una certa attività pericolosa126:

capacità per farlo. Ciò servirà come termine di riferimento per determinare i limiti del «dovere di riconoscere» gravante su altri soggetti […]. Nell’ambito della teoria della colpa si parla, appunto, di principio di affidamento […]: esso svolge un ruolo di rilievo nel precisare e delimitare la misura della diligenza dovuta da ciascuno; questa sarà comunque quella dettata dall’aspettativa che tutti gli altri soggetti con i quali la propria condotta verrà a contatto si atterranno alla diligenza».

124 G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 513.

125 A.VALLINI, Cooperazione e concause in ipotesi di trattamento sanitario “diacronicamente plurisoggettivo”, op. cit., p. 480,

nota 15, considera l’applicazione del principio di affidamento nelle attività plurisoggettive complesse un vero e proprio dovere cautelare. In antitesi rispetto ad una concezione dello stesso principio basata sull’autoresponsabilità di ciascun cooperatore, l’Autore afferma che «Parrebbe tuttavia potersi affermare, assai più semplicemente, che, se le regole cautelari altro non sono se non il precipitato di norme comportamentali di carattere tecnico-operativo, utili al corretto ed efficace funzionamento di singoli ambiti d’attività, deve consequenzialmente affermarsi la sussistenza di un vero e proprio dovere cautelare di affidarsi al comportamento competente altrui, laddove questo “affidamento” risulti necessario ad ottimizzare i risultati organizzativi […]. Ma è allora per questo motivo che si palesa al di là di ogni dubbio l’assurdità di ritenere, in via di principio, rimproverabile per mancato controllo colui il quale abbia confidato nella correttezza dell’attività altrui, essendo questa fiducia addirittura imposta sul piano cautelare».

126 G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, op. cit., ibidem; G.FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, op. cit.,

p. 241 e ss., il quale evidenzia come la riconducibilità dell’attività compiuta a determinati circoli di rapporti, con applicazione del relativo standard cautelare scatta «soltanto con l’esercizio effettivo dell’attività corrispondente»; «Ciò che conta, […] perché il soggetto sia chiamato ad adeguarsi agli standard del gruppo, è la spontanea assunzione obiettiva […] dell’attività corrispondente. È tale assunzione che […] crea l’affidamento che il soggetto si adeguerà alla misura di diligenza richiesta dal circolo di rapporti e che avrà le capacità per farlo».

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ciò equivarrebbe, per chi la pone in essere, a garantirne l’effettiva conformità al

quantum di diligenza che per essa si pretende127.

La dottrina più recente 128 ha precisato ulteriormente l’orientamento

interpretativo in commento, ritenendo che sia necessario fondare il principio di affidamento non tanto su un’aspettativa sociale a che ogni consociato commisuri il proprio comportamento agli standard cautelari di riferimento, ma su un’aspettativa propriamente giuridica.

Anche secondo questa ricostruzione, il tema del fondamento dogmatico del principio di affidamento deve essere affrontato nell’ambito della struttura della colpa. A differenza dell’orientamento precedente, fondato sul concetto di agente- modello e sulla necessità sociale prima ancora che giuridica di rispettare lo standard cautelare che sintetizza, questa teorica prende le mosse dalla valorizzazione del c.d. «momento omissivo della colpa»129.

Si parte dal presupposto per cui ogni reato colposo si configura, strutturalmente, come omissione della cautele doverose nello specifico contesto operativo che di volta in volta viene in considerazione. Il richiamo al concetto di omissione permette di dare valenza giuridica all’aspettativa che l’ordinamento (in

primis) e i consociati nei loro rapporti intersoggettivi (in secundis) ripongono nel

127 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 135, il quale confuta la bontà di

tale impostazione muovendo dal limite che comunque si riconosce all’operatività del principio di affidamento, cioè il riconoscibile rischio dell’altrui inosservanza. Questo, già sotto il profilo logico, equivarrebbe ad affermare che la semplice intrapresa di una determinata attività da parte di un soggetto non permette di ritenere, per ciò solo, che quello specifico soggetto si atterrà sicuramente agli obblighi di diligenza lui riferibili, ma solo che il loro rispetto gli è imposto dall’ordinamento.

128 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., pp. 139 e ss.

129 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., pp. 139, anche per gli opportuni

riferimenti alla dottrina tedesca: «Punto di partenza […] deve essere l’assunto […] che al fatto realizzato colposamente sia essenziale una componente omissiva […]. Ciò che viene omesso è […] (l’impiego del) la diligenza richiesta onde evitare lesioni ai beni giuridici di volta in volta protetti». L’Autore precisa che il momento omissivo della colpa è presente anche in quelle ipotesi in cui «l’unica forma che la diligenza richiesta può concretamente assumere, allo scopo di conseguire il risultato – cioè la prevenzione di un determinato evento dannoso – in funzione del quale è prescritta, è quella della completa astensione dallo svolgimento di una data attività», ipotesi in cui la violazione del dovere cautelare consiste in un facere positivo. Tuttavia la sostanza non cambia: anche nel caso in cui si compia un’azione positiva vietata normativamente si sta omettendo la diligenza imposta e dovuta.

Sullo specifico tema del “momento omissivo” nel più generale ambito della teoria della colpa, cfr. F.GIUNTA,

Illecito e colpevolezza nella responsabilità colposa, op. cit., pp. 92 e ss.: «[…] è difficilmente contestabile che il concetto

di violazione della diligenza doverosa presenti un profilo omissivo. […] La dimensione omissiva della negligenza […] esprime la componente deontologica del dovere di diligenza e della regola cautelare che lo specifica, potendosi cogliere solo muovendo dall’aspettativa di un comportamento diligente»; A.CASTALDO,

L’imputazione oggettiva nel delitto colposo d’evento, Napoli, 1989, pp. 117 e ss.; nella manualistica, G.FIANDACA-E.

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rispetto da parte di ciascuno dei doveri cautelari imposti. Si parla di omissione, infatti, quando venga delusa un’aspettativa giuridica circa il compimento di un comportamento doveroso. In tal senso, il reato colposo, ricostruito come omissione della diligenza dovuta, implica sempre la delusione dell’aspettativa dell’ordinamento circa il rispetto delle regole cautelari da parte di chi svolga attività rischiose.

Ecco dunque che l’aspettativa sociale relativa al rispetto degli standard cautelari vanta, in questa prospettiva, un più preciso fondamento giuridico: l’aspettativa sociale si traduce in una aspettativa giuridica, la quale a sua volta si traduce nel momento omissivo insito in ogni forma di colpa.

Se l’ordinamento si aspetta da ciascuno dei consociati il rispetto delle regole cautelari, è chiaro che tale aspettativa si riflette anche nei rapporti intersoggettivi fra coloro che interagiscono nello svolgimento di un’attività pericolosa: ciascuno potrà confidare sul fatto che coloro con cui interagisce rispetteranno le cautele doverose (in quanto l’ordinamento ne pretende l’osservanza) e di conseguenza potrà modulare la propria condotta sulla base di questa aspettativa giuridica130.

Tale aspettativa – che, in questa prospettiva, costituisce il nucleo del principio di affidamento – è meritevole di tutela perché, se così non fosse, l’effettività dell’ordinamento giuridico e la vincolatività delle sue norme sarebbero vanificate: ciascuno dovrebbe presupporre che gli altri consociati potrebbero non rispettare le norme loro imposte e ciò dovrebbe essere oggetto di continua e specifica verifica131.

130 M.MANTOVANI, Alcune puntualizzazioni sul principio di affidamento, op. cit., p. 1054; in senso sostanzialmente

adesivo, cfr. S.CANESTRARI-L.CORNACCHIA-G.DE SIMONE, Manuale di diritto penale. Parte generale, op. cit., p.

730, i quali evidenziano come il fondamento normativo del principio di affidamento debba rinvenirsi nell’art. 3 Cost.: «le regole dell’ordinamento, anche quelle cautelari, valgono per tutti, quindi è legittimo attendersene il rispetto da parte degli altri consociati».

131 Conclusivamente può citarsi l’impostazione seguita da F.MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto

penale, op. cit., pp. 536 e ss., il quale limita il campo di applicazione del principio di affidamento alle sole attività

rischiose giuridicamente autorizzate, quindi alle aree di rischio consentito presenti nel nostro ordinamento. Relativamente a tali attività sarebbe configurabile una particolare ipotesi di colpa c.d. “speciale” – contrapposta alla colpa c.d. “comune”, relativa ad attività rischiose non autorizzate, in cui non sarebbero concepibili regole cautelari in quanto nessuna misura di rischio è consentita e, dunque, tali attività sono radicalmente vietate per effetto della mera norma incriminatrice –, caratterizzata dall’inosservanza delle regole cautelari che contengono il rischio entro l’area della liceità e nella prevedibilità ed evitabilità dell’evento «da rischio non consentito», cioè conseguente all’aumento di rischio illecito determinato dalla violazione cautelare. Solo in relazione a tale ipotesi sarebbe configurabile un ambito di applicazione per il principio dell’affidamento, perché solo in relazione ad attività riconducibili al concetto di rischio consentito – a differenza di quelle producenti un rischio comunque illecito perché inutile, rispetto alle quali l’unica norma di contrasto ipotizzabile è l’astensione – sono concepibili regole cautelari capaci di delimitare l’autorizzazione

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