rischio consentito] Secondo la prima delle due ricostruzioni proposte, diffusa nell’ambito della dottrina tedesca, l’ambito del principio di affidamento dovrebbe ritenersi confinato all’esercizio plurisoggettivo, secondo il paradigma della divisione dei compiti, di attività rischiose ma giuridicamente autorizzate in quanto socialmente utili99. Come già abbiamo avuto modo di precisare, si tratta di attività geneticamente
attivarsi, se ha la percezione (o dovrebbe averla) della violazione delle regole da parte degli altri partecipi nella medesima attività (per esempio, un’operazione chirurgica svolta in équipe) o se, comunque, si trova in una situazione in cui diviene prevedibile l’altrui inosservanza delle regole cautelari (che deve, quindi, avere caratteristiche di riconoscibilità)». Cfr. altresì, Cass. Pen.,
Sez. IV, 9 aprile 2009, n. 19755, Filizzolo e altri, in C.E.D. Cass., n. 243511, nella cui motivazione si legge: «Nell’ambito dell’attività medica, […] il principio di affidamento consente […] di confinare l’obbligo di diligenza del singolo
sanitario entro limiti compatibili con l’esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 Cost. Il riconoscimento della responsabilità per l’errore altrui non è, conseguentemente, illimitato e […] richiede la verifica del ruolo svolto da ciascun medico dell’équipe, essendo aberrante ritenere sul piano giuridico una responsabilità penale di gruppo».
Considerazioni sulla necessità di valorizzare il ruolo del principio di affidamento per limitare una prassi giurisprudenziale volta a focalizzare il giudizio di responsabilità medica sulla sussistenza della posizione di garanzia verso il paziente, Cass. Pen., Sez. IV, 2 dicembre 2008, n. 1866, Toccafondi e altri, in C.E.D. Cass., n. 242016.
98 F.AMBROSETTI, M.PICCINELLI,R. PICCINELLI, La responsabilità nel lavoro medico d’équipe, op. cit, p. 156.
Opinione largamente condivisa in dottrina. Cfr., ex multis, F.MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto
penale, op. cit., pp. 536 e ss.; E.BELFIORE, Profili penali dell’attività medico-chirurgica in équipe, op. cit., pp. 294 e ss.
99 M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., pp. 68 e ss.; ID., Alcune
puntualizzazioni sul principio di affidamento, op. cit., p. 1054, anche per i riferimenti alla dottrina tedesca; F.
GIOVANNI PIETRO LUBINU
connotate dalla latenza di un rischio avente ad oggetto i beni giuridici investiti dall’esercizio della stessa oppure beni giuridici in qualunque modo alieni rispetto a tale attività. Tali attività, tuttavia, sono giuridicamente autorizzate in ragione del fatto che l’utilità che la collettività ritrae da esse è maggiore dell’entità dei rischi intrinseci ad essa. L’autorizzazione alla liceità dello svolgimento di queste attività, quantunque ne possano derivare danni a beni giuridici penalmente rilevanti, è operata dall’ordinamento su un piano generale ed astratto, predeterminato ex ante dalle regole cautelari che ne disciplinano lo svolgimento mantenendolo entro ambiti di rischio, per l’appunto, consentito. Del resto, si sostiene100, se l’esercizio di queste
attività prescindesse dalla previa delimitazione di un’area di rischio consentito, entro la quale il rispetto delle regole cautelari implica l’esenzione da responsabilità del soggetto agente che abbia tuttavia cagionato un evento lesivo, pur prevedibile ed evitabile a causa del rischio intrinseco che incombe sull’attività stessa, l’ordinamento cadrebbe in contraddizione con se stesso e minerebbe alla base la sua stessa effettività: non potrebbe infatti autorizzare lo svolgimento di attività rischiose e contemporaneamente imputare ai suoi esercenti tutte le conseguenze lesive che prevedibilmente ne dovessero derivare. Invece, è l’ordinamento stesso ad accollarsi il rischio di tali eventi lesivi, purché il comportamento degli esercenti tali attività si mantenga entro il perimetro di liceità tracciato dalle regole cautelari che, sole, ne autorizzano lo svolgimento, determinando al contempo la misura del rischio consentito101.
proprio campo connaturale di operatività rispetto alle attività rischiose, giuridicamente autorizzate: a) perché solo rispetto a tali attività sono concepibili le regole cautelari, delimitanti l’autorizzazione giuridica delle medesime: «il rischio consentito»; b) perché solo rispetto ad esse è, conseguentemente, concepibile la possibilità di confidare sul rispetto delle regole cautelari da parte degli altri autori di attività rischiose, autorizzate e convergenti; c) perché rispetto alle attività rischiose, giuridicamente non autorizzate, è concepibile soltanto il dovere di astensione delle medesime, ma non lo svolgimento delle stesse in modo corretto». Con riferimento alla teoria del rischio consentito, oltre alla dottrina già in precedenza citata, cfr. G. MARINI, “Rischio consentito” e tipicità della condotta. Riflessioni, in Scritti in memoria di Renato Dell’Andro, Bari, 1994, II, pp. 539 e ss.; C.PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, Milano, 2010; ID., La legislazione penale tra
“diritto penale dell’evento” e “diritto penale del rischio”, in Legisl. Pen., 2012, p. 117; C.BRUSCO, Rischio e pericolo, rischio
consentito e principio di precauzione. La c.d. “flessibilizzazione delle categorie del reato”, in Criminalia, 2012, pp. 383 e ss.
100 F.MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto penale, op. cit., p. 537.
101 F. MANTOVANI, Il principio di affidamento nel diritto penale, op. cit., p. 537. L’Autore segnala tuttavia la
problematica delimitazione dell’area del rischio consentito in ipotesi di colpa generica, nelle quali non vi è una predeterminazione positiva delle regole cautelari che si applicano allo svolgimento di una determinata attività, cosicché tale opera di perimetrazione del rischio grava problematicamente sull’interprete, in particolare sul giudice. In ambiti di colpa specifica, invece, sono le norme cautelari positive, incluse in leggi o autorizzazioni amministrative a delimitare con certezza il limite fra rischio autorizzato e rischio non autorizzato.
GIOVANNI PIETRO LUBINU
Sul piano della colpa, ciò comporta che il soggetto agente può essere raggiunto da un addebito di responsabilità solo nel caso in cui l’evento lesivo sia conseguenza della violazione di una regola cautelare deputata a disciplinare l’attività rischiosa di volta in volta in questione mantenendola entro i limiti in cui è autorizzata, cioè entro i limiti in cui il rischio derivante dal suo esercizio è tollerato e, di conseguenza, consentito; l’evento che dovesse derivare comunque, nonostante il rispetto da parte di tutti i soggetti interagenti delle regole cautelari loro riferibili, dovrebbe invece considerarsi atipico. In altre parole, la teorica del “rischio consentito” funge da limitazione della tipicità colposa in tutte quelle attività rischiose ma autorizzate: è tipico – e punibile – il fatto che deriva dalla violazione delle regole di condotta che permettono di eliminare o contenere il rischio immanente ad una certa attività102.
Se, dunque, gli eventi lesivi occorsi nonostante il pieno rispetto delle leges
artis devono considerarsi atipici, da ciò deriva che la mera individuale osservanza
delle leges artis, in tali frangenti, determina la totale esenzione da responsabilità per eventi lesivi che possano comunque derivarne, anche per effetto della condotta colposa di altri soggetti interagenti. Quindi – trasportando il discorso nell’ambito dello svolgimento plurisoggettivo di un’attività rientrante nel campo del rischio consentito – il soggettivo rispetto delle regole cautelari determina la possibilità, per
102 In giurisprudenza, anche al di là del settore della responsabilità medica, cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 27
novembre 2012, n. 4955, Venturini, in C.E.D. Cass., n. 255012: «Non è configurabile la responsabilità – in ordine al
reato di lesioni colpose – nei confronti dell’animatore di un centro vacanze, il quale, al fine di rendere inoffensivo il comportamento irregolare e pericoloso del minore sottoposto alla sua vigilanza e che aveva contravvenuto all’ordine di fermarsi, lo rincorra e, a causa dell’improvvisa caduta dello stesso minore, gli cada addosso, procurandogli lesioni, trattandosi di attività di cosiddetto rischio consentito, in quanto tale ineliminabile e comunemente accettato, in cui è escluso l’elemento oggettivo della colpa».
Nell’ambito della responsabilità medica, ex multis, Cass. Pen., Sez. IV, 12 novembre 2008, n. 4107, Calabrò e altro, in C.E.D. Cass., n. 242831: «In tema di responsabilità per colpa medica, “rischio consentito” (o aggravamento del
“rischio consentito”) non significa esonero dall’obbligo di osservanza delle regole di cautela, ma rafforzamento di tale obbligo in relazione alla gravità del rischio, che solo in caso di rigorosa osservanza di tali regole potrà effettivamente ritenersi consentito per quella parte che non può essere eliminata. (Fattispecie nella quale due medici avevano, per negligenza, consentito ad un paziente affetto da gravi problemi psichici, l’esercizio di un’attività pericolosa, ovvero l’uso delle armi: il paziente aveva ucciso due persone, ne aveva ferite quattro e poi si era suicidato)»; su questo specifico punto, cfr. C.BRUSCO, Rischio e pericolo, rischio
consentito e principio di precauzione, op. cit., pp. 392 e ss. Relativamente al ruolo delimitativo dell’area del rischio
consentito svolto dalle c.d. leges artis relativamente al settore medico-chirurgico, cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 20 gennaio 2004, n. 32901, Marandola e altro, in C.E.D. Cass., n. 229069: «In tema di colpa professionale del medico, il
concreto e personale espletamento di attività da parte dello specializzando comporta pur sempre l’assunzione diretta, da parte sua, della posizione di garanzia nei confronti del paziente, condivisa con quella che fa capo a chi le direttive impartisce, secondo i rispettivi ambiti di pertinenza e di incidenza; anche sullo specializzando incombe pertanto l’obbligo di osservanza delle “leges
artis” che hanno come fine la prevenzione del rischio non consentito. (Nella specie la Corte ha ritenuto che lo specializzando non
fosse esente da responsabilità non avendo egli valutato l’errore nella direttiva impartitagli dal primario – con lui in sala operatoria)».
GIOVANNI PIETRO LUBINU
chi versi in tale situazione, di disinteressarsi completamente del fatto che anche gli altri soggetti con cui si trova a cooperare rispetteranno le regole di diligenza loro riferibili, perché comunque il soggetto che si mantiene entro i confini del rischio consentito non risponde di un evento lesivo, comunque verificatosi, in quanto nei suoi confronti atipico.
Il che equivale ad ammettere la vigenza del principio di affidamento, in quanto, in definitiva, ciascuno può preoccuparsi unicamente di rispettare le regole di diligenza esigibili nei propri confronti e non curarsi, legittimamente, del fatto che anche gli altri facciano altrettanto103.
In breve: il principio di affidamento costituisce applicazione del rischio consentito nello svolgimento di attività rischiose ma autorizzate perché socialmente utili; ciò, in quanto il rispetto delle leges artis che mantengono lo svolgimento di tale attività entro i limiti del rischio consentito, integrate dalle ulteriori conoscenze specifiche di cui l’agente concreto fosse portatore in relazione a rischi percepibili nella situazione concreta in cui si trova ad operare, implica il legittimo affidamento che anche gli altri consociati con cui si entri in contatto o con cui si cooperi le rispetteranno; da ciò consegue, inoltre, che gli eventi che derivano dall’esercizio dell’attività rischiosa, rispettoso delle leges artis e di ciò di cui l’agente è specificamente venuto a conoscenza, non sono imputabili all’agente in quanto atipici104.
Ad una tale ricostruzione del fondamento del principio di affidamento, pur meritoria in quanto ne indaga il fondamento dogmatico – correttamente – nell’ambito del reato colposo, sono state mosse alcune decisive obiezioni.
103 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., pp. 69 e ss.
104 M.C.BISACCI, Il principio di affidamento quale formula sintetica del giudizio negativo in ordine alla prevedibilità, op. cit.,
p. 203; Per una applicazione giurisprudenziale di tale ricostruzione, cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 8 ottobre 2009, n. 46741, Minunno, cit.: «Il principio di affidamento costituisce applicazione del principio del rischio consentito: dover
continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui. Al contrario, l’affidamento è in linea con la diffusa divisione e specializzazione dei compiti ed assicura il migliore adempimento delle prestazioni a ciascuno richieste. Il principio di affidamento, d’altra parte, si connette pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l’obbligo di rapportarsi alle altrui condotte: esso è stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicità colposa. Pacificamente, la possibilità di fare affidamento sull’altrui diligenza viene meno quando l’agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterra alle regole cautelari che disciplinano la sua attività».
GIOVANNI PIETRO LUBINU
Anzitutto, così inteso, il principio dell’affidamento appare «fortemente antisolidaristico»105: come sopra precisato, sarebbe sufficiente l’osservanza delle
norme di diligenza a dispensare ogni soggetto da qualsiasi considerazione circa il comportamento degli altri con cui si trovi a cooperare. Allo scopo di temperare tale aspetto, si è suggerito di arricchire il giudizio di colpa di un ulteriore elemento: il giudizio di colpa deve contemplare, oltre alla verifica del rispetto delle leges artis che normalmente perimetrano la sfera del rischio consentito in relazione ad una determinata attività, anche se l’agente concreto conoscesse (o dovessero conoscere, in forza di concreti indizi) circostanze che potessero renderlo edotto del riconoscibile rischio di produzione dell’evento tipico. La percezione del pericolo derivante dalla condotta altrui ha la funzione di rimodulare l’area di rischio consentito in capo a chi lo percepisca, con l’effetto del sorgere, in capo a chi versava in affidamento, di un obbligo di diligenza, rivolto a neutralizzarne le conseguenze106.
Se il soggetto che percepisse il rischio concreto di verificazione dell’evento non adeguasse la propria condotta allo scopo di evitarlo, non permarrebbe nell’area di rischio autorizzato così riperimetrata e dunque, per tale motivo, risponderebbe dell’evento occorso.
In senso critico, si è inoltre ritenuto 107 che questa concezione
dell’affidamento come ipotesi peculiare del criterio del “rischio consentito” giunge, in definitiva, a negare vita propria all’affidamento stesso, in quanto la sua operatività dipenderebbe unicamente dal rispetto individuale delle leges artis e sarebbe applicabile solo a chi versi in tale situazione. L’affidamento avrebbe la fisionomia, quindi, di un mero riflesso negativo del rischio consentito: chi rispetta le leges artis può disinteressarsi del fatto che l’evento lesivo possa derivare da altri fattori, compresa la condotta colposa altrui. L’affidamento non potrebbe considerarsi, quindi, contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza fin dalle prime applicazioni del principio, una aspettativa giuridicamente tutelata.
105 M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 71. F. AMBROSETTI-M.
PICCINELLI-R-PICCINELLI, La responsabilità nel lavoro medico d’équipe, op. cit., p. 157; D. CASTRONUOVO-L. RAMPONI, Dolo e colpa nel trattamento medico-sanitario, op. cit., p. 987.
106 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 73. 107 M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, op. cit., p. 75.
GIOVANNI PIETRO LUBINU
Ancora, inquadrare l’affidamento nell’ambito del rischio consentito equivarrebbe a limitarne l’ambito applicativo ai soli contesti leciti. Ne dovrebbe conseguire che chi versa in colpa, esulando dall’area del rischio consentito, non potrebbe validamente invocare l’affidamento sulla correttezza della condotta altrui. Ma in tal caso la cogenza e l’efficacia delle regole cautelari ne risulterebbe relativizzata, dipendendo dalla soggettiva spontanea osservanza dei consociati: assurdamente, chi si trovi ad interagire con un soggetto che versa in colpa non dovrebbe considerarsi tenuto ad osservare una diligenza supplementare per “compensare” l’altrui negligenza, a meno di non accogliere il correttivo sopra proposto dell’integrazione nel giudizio di colpa delle superiori conoscenze causali del soggetto considerato.
In realtà, la tutela del principio di affidamento è tutela di una aspettativa nel corretto comportamento altrui, intesa come dato preesistente alla mera osservanza dei doveri cautelari di uno specifico individuo; aspettativa che, in quanto tale, vive di «autonoma vita propria»108 perché fondata sull’esistenza stessa delle regole cautelari
e sulla pretesa dell’ordinamento – e di conseguenza, dei singoli consociati, nei loro rapporti intersoggettivi – al loro rispetto. L’affidamento sul rispetto delle regole cautelari, quindi, preesiste al comportamento diligente di chiunque e non ne costituisce effetto. Inoltre, il fatto che il principio di affidamento derivi dal rispetto generalizzato delle regole cautelari ha come ulteriore conseguenza il fatto che ciascuno può legittimamente attendersi da altri un determinato comportamento conforme a diligenza e, correlativamente, ne risulta perimetrata anche l’entità dell’obbligo di cautela gravante su chi versi in affidamento, il quale potendosi aspettare l’altrui comportamento conforme a diligenza non è tenuto dal canto suo ad adeguare il proprio alla prevenzione di eventi lesivi.