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2 4 2 [Esigibilità del dissenso del subordinato e principio d

affidamento]

Se gli ordini del medico in posizione apicale sono sindacabili sia formalmente che sostanzialmente, e se l’obbligo cautelare di sindacato dell’istruzione ricevuta dal superiore gerarchico, sorge, in capo al subalterno, quando l’erroneità della stessa sia riconoscibile,quando può dirsi che la colposità dell’ordine emerga manifestamente, limitando, quindi, il dovere di obbedienza del subalterno? Qui viene in rilievo la diversa posizione funzionale rivestita dai vari medici, a cui corrisponde un diverso grado di competenza tecnico-professionale.

Una soluzione ragionevole potrebbe essere quella di distinguere fra attività in cui vengono in rilievo conoscenze medico-chirurgiche basilari per qualunque medico di qualsiasi specializzazione – il c.d. patrimonio tecnico-professionale comune – o per qualsiasi medico specializzato in una certa branca dell’arte medica, da una parte, e attività, dall’altra, in cui invece sono richieste conoscenze di approfondimento superiore, padroneggiabile unicamente da medici specialisti esperti.

331 D.GUIDI, L’attività medica in équipe alla luce della recente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, op. cit., p. 231;

A.VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero ed omissione colposa di trattamento terapeutico, op. cit., p. 1635; A.R.DI

LANDRO, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe, op. cit., p. 234; V. FINESCHI-P. FRATI-C. POMARA, I principi dell’autonomia vincolata, dell’autonomia limitata e dell’affidamento nella

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Nel primo caso, il medico in posizione funzionale inferiore è in condizioni di percepire l’errore del medico in posizione sovraordinata, segnalarlo e, se del caso, dissentire dalla scelta diagnostico-terapeutica adottata.

Nel secondo ordine di ipotesi, invece, il medico subalterno non possiede le cognizioni o l’esperienza che gli permettono di cogliere la colposità della direttiva o istruzione ricevuta, quindi pare inesigibile un obbligo di dissenso da parte sua e, correlativamente, una sua corresponsabilità in caso di evento infausto.

Anche in tali ipotesi può essere utilmente applicata la distinzione, già richiamata in precedenza con riferimento al dovere di controllo del medico in posizione apicale e del capo-équipe, fra «slips», ovvero errori di carattere esecutivo dovuti a distrazioni, e «mistakes», cioè errori di valutazione, commessi nonostante la massima concentrazione ed attenzione332. Come già osservato in precedenza, i primi

attengono in linea di massima ad attività di routine in cui fa deficit l’attenzione dell’operatore. In tali frangenti, è possibile ipotizzare un controllo incrociato fra medico apicale e medico subalterno perché ciascuno di essi, astrattamente, può essere in grado di cogliere la distrazione del collega ed eventualmente porvi rimedio. Non così, invece, in caso di errori decisionali, normalmente inerenti a casi in cui si esula dalla routine di reparto. Dato che si tratta di fattispecie in cui è richiesta una maggiore competenza ed esperienza, il medico in posizione subalterna non può di regola essere chiamato a controllare e valutare nel merito l’attività dell’operatore più esperto, in quanto sarebbe semplicemente inutile, non avendo egli le competenze per rilevare errori di questo genere. In tal caso, un controllo incrociato si risolverebbe in un’occasione di distrazione per il medico in posizione subalterna dalle mansioni a lui specificamente assegnate. Dunque, questa soluzione interpretativa, moltiplicando gli obblighi di controllo nei confronti dell’operato dei sanitari che agiscono sul paziente, raggiunge solo un illusorio innalzamento del livello di tutela nei confronti del paziente, in quanto possono determinarsi rischi ulteriori con riferimento proprio al fatto che ciascun operatore non è del tutto libero di profondere la massima attenzione nei compiti di propria spettanza.

332 Cfr. A.R.DI LANDRO, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe,

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Tutto ciò conduce a delle conseguenze rilevanti con riferimento all’ambito di applicazione del principio di affidamento. I medici in posizione funzionale subalterna, come dicevamo, sono dalla legge dotati di “autonomia limitata”, nel caso dei medici in posizione funzionale intermedia, o “vincolata alle direttive ricevute”, nel caso dei medici in posizione funzionale iniziale. Dato che hanno una loro autonomia operativa, assumono in prima persona la responsabilità degli atti medico- chirurgici che compiono sul paziente. Da ciò deriva, come dicevamo in precedenza, una posizione di garanzia nei confronti del paziente, nel senso che ciascuno è tenuto, nell’ambito delle proprie funzioni e, quindi, dei doveri cautelari imposti nei suoi confronti, ad evitare eventi lesivi della salute del paziente. Tali eventi lesivi, come è evidente, possono derivare al paziente anche dall’esecuzione di direttive e istruzioni – “tendenzialmente” vincolanti – ricevute dal medico in posizione apicale.

Ebbene, nei limiti delle competenze possedute e dell’esperienza maturata, il medico subordinato che cooperi col medico in posizione apicale eseguendo le direttive da lui impartite è tenuto a verificarne la correttezza prima di darvi attuazione, se l’ambito cui tali direttive ineriscono rientra fra le competenze del medico subalterno: egli ha gli strumenti intellettivi per apprezzare nel merito le istruzioni ricevute e, nell’esercizio della propria autonomia professionale, non deve adagiarsi supinamente su di esse ma deve vagliarle criticamente e dissentire da esse nel caso in cui sia riconoscibile, nel caso della loro esecuzione, un rischio di verificazione di un evento lesivo della salute del paziente333.

La diversa ipotesi in cui il medico in posizione subalterna riceva direttive in relazione ad aspetti dell’arte medica su cui non ha ancora un dominio tecnico- scientifico, ricadono in un diverso ambito di responsabilità.

In tale genere di ipotesi, si potrebbe ipotizzare una culpa in eligendo in capo al medico in posizione apicale, avendo egli affidato un compito tecnico-professionale a

333 Pare conforme anche la giurisprudenza di legittimità più recente; cfr. Cass. Pen. Sez. IV 2 dicembre 2008,

n. 1866, Toccafondi, in C.E.D. Cass., n. 242017: «La […] giurisprudenza ha valorizzato fortemente il ruolo del

dirigente del reparto affermando che costui ha compiti di indirizzo, di direzione e di verifica dell’attività diagnostica terapeutica; e gli spettano quindi le scelte operative pertinenti alla condizione nosologica del paziente. Ciò tuttavia non significa che il medico subalterno, magari all’inizio del suo percorso professionale possa attenersi ad un atteggiamento veramente passivo ed acritico. Enunciazione da condividere, pur con la precisazione che, ai fini della configurazione della colpa occorrerà considerare anche la minore esperienza e la inferiore qualificazione professionale».

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personale addirittura non in grado di valutare la correttezza o meno dell’indicazione ricevuta.

Si tratterebbe inoltre di colpa per assunzione334 con riferimento al personale

subalterno esecutore: infatti il medico che non abbia sufficiente esperienza per “decodificare” le pretese professionali del medico in posizione apicale, dovrebbe astenersi dall’operare sul paziente, per non esporlo ad un rischio maggiore di quello consentito.

In altre parole, non pare configurabile un obbligo di controllo costante e generalizzato del medico in posizione subalterna rispetto alle direttive o istruzioni impartite dal medico funzionalmente superiore: per tutto quanto non sia manifestamente colposo, quindi riconoscibile ed evitabile dal medico in posizione funzionale inferiore, dovrebbe trovare applicazione il principio di affidamento, nel senso che il medico in posizione funzionale inferiore può confidare sul corretto espletamento dei propri compiti da parte dei professionisti con cui collabora, tanto più con riferimento a coloro che, per anzianità ed esperienza, rivestono una posizione funzionale superiore.

Il principio di affidamento, invece, non potrebbe trovare applicazione – di conseguenza, obbligando il subordinato a verificare la correttezza dell’operato del superiore o delle sue direttive – solo nel caso in cui sia percepibile ed evitabile, con l’ausilio delle cognizioni tecnico-scientifiche proprie di ogni medico, o di ogni medico specialista che ricopra la specifica posizione funzionale del medico in posizione subalterna. In altre parole deve trattarsi di errore «evidente» e «non settoriale».

334 E.MEZZETTI, Colpa per assunzione, in S.VINCIGUERRA-F.DASSANO (a cura di), Studi in memoria di Giuliano

Marini, Napoli, 2010, pp. 513 e ss.: « L’agente […] versa in colpa per assunzione quando le regole cautelari

violate concernono le capacità fisico-intellettuali e le conoscenze tecniche necessarie all’espletamento di un’attività, che, posta in essere in assenza di esse, ha conseguentemente condotto alla realizzazione di un evento offensivo; salvo, ai fini di un’imputazione (autenticamente) colpevole del fatto l’accertamento della circostanza che l’agente conosceva o avrebbe comunque dovuto conoscere la sua inadeguatezza rispetto allo svolgimento dell’attività da intraprendere»; F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 368; G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 509; G.FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, op.

cit., pp. 291 e ss.; F.MANTOVANI, Diritto penale, op. cit., p. 347; M.MANTOVANI, Il principio di affidamento nella

teoria del reato colposo, op. cit., p. 144; G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, op. cit., p. 203; D.PULITANÒ,

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Tale soluzione interpretativa – del c.d. “affidamento temperato”335 – è stata

elaborata dalla giurisprudenza in tema di cooperazione multidisciplinare, sia diacronica che sincronica, cioè con riferimento ad ipotesi di collaborazione fra medici specialisti in settori diversi dell’arte medica, in cui, per definizione, risulta difficile, se non impossibile, un reale sindacato nel merito dell’operato altrui in quanto inerente a settori specialistici non padroneggiati dagli altri collaboratori. In tali casi l’affidamento sarebbe necessario, appunto, quando l’attività che viene in considerazione afferisca a tali saperi specialistici. Ma, per quanto concerne la colposità delle condotte che inerisca ad aspetti non specialistici oppure nei casi in cui il rischio per la salute del paziente derivi da difetti di coordinamento, allora la percezione di tali rischi in capo ad un qualsiasi membro dell’équipe determina nei suoi confronti la cessazione dell’operatività del principio di affidamento, con conseguente sorgere di un obbligo secondario di controllo dell’attività altrui, che può spingersi fino ad attivarsi per emendare l’altrui condotta colposa.

Questi aspetti – che saranno oggetto di specifica trattazione nella parte del presente lavoro dedicata alla cooperazione multidisciplinare con divisione orizzontale del lavoro – riteniamo possano trovare applicazione anche al caso del medico subordinato che cooperi col medico in posizione apicale. Nonostante in tal caso la cooperazione avvenga fra specialisti nel medesimo settore dell’arte medica, non può configurarsi un vero e proprio obbligo di controllo incrociato in quanto il medico subalterno non ha una conoscenza teorica o pratica tale da poter sindacare ogni atto compiuto dal medico apicale. Egli può limitare il suo apporto dialettico alla fase diagnostico-terapeutica solo se il caso clinico possa essere trattato con l’ausilio delle conoscenze tecnico-scientifiche che ogni medico generico è tenuto a possedere o sulla base delle conoscenze specialistiche che fanno parte del bagaglio culturale di ogni medico specialista nella stessa posizione funzionale del medico subalterno considerato.

335 A.PALMA, La divisione del lavoro in ambito sanitario tra principio di affidamento e dovere di controllo, op. cit., pp. 628 e

ss.; A.R.DI LANDRO, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe, op.

cit., pp. 252 e ss.; L.GIZZI, Équipe medica e responsabilità penale, op. cit., pp. 50 e ss.; L.RISICATO, L’attività medica

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Per cui, anche in questo genere di ipotesi, dovrebbe affermarsi la valenza generale del principio di affidamento, nel senso che il medico gerarchicamente inferiore può legittimamente confidare nella correttezza dell’operato dei propri collaboratori, tanto più rispetto al medico in posizione apicale. Dunque, egli non ha, di regola, l’obbligo di controllare e verificare costantemente l’operato del superiore o delle sue direttive o istruzioni. Tale obbligo sorge solo se, in concreto, siano percepite o fossero percepibili, circostanze idonee a infirmare tale legittimo affidamento. Il che si verifica quando l’errore del superiore sia «evidente» – ovvero riconoscibile anche da un medico in posizione funzionale inferiore, quando non da qualsiasi medico «generico» – e «non settoriale». Tale ultima espressione, come vedremo, nell’ambito della casistica336 in cui è stata elaborata indica la necessità che

l’errore non afferisca alla specifica branca dell’arte medica in cui è specializzato colui che tale errore compie, non essendo tendenzialmente possibile coglierlo dagli altri cooperatori specializzati in altri settori. Ma, mutatis mutandis, tale requisito può essere applicato anche al caso del medico subordinato rispetto all’errore del medico in posizione apicale, considerando che la differenza di esperienza e di approfondimento teorico che giustifica la diversa posizione funzionale dei medici e le diverse sfere di responsabilità implica che il primo non può essere sempre in grado di cogliere l’errore del secondo.

In conclusione, non pare potersi parlare, nel rapporto fra superiore ed inferiore gerarchico di un illimitato dovere di controllo reciproco.

Nel caso del medico in posizione apicale il limite al principio dell’affidamento tradizionalmente individuato nell’obbligo di controllo sull’operato altrui specificamente affidato al medico in posizione apicale ex lege o attribuito di fatto al capo-équipe non può essere inteso in senso assoluto, sconfinando altrimenti in una vera e propria responsabilità oggettiva di posizione, ma deve essere “temperato” con l’ausilio dei principi generali del reato colposo: l’errore altrui deve

336 Cfr., ex multis, Cass. Pen. Sez. IV, 11 ottobre 2007, Raso ed altri, in C.E.D. Cass., n. 23789: «Ogni sanitario è

tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine unico della salute del paziente, in aggiunta al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte; in conseguenza di ciò il singolo medico non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pur specialista, ed al controllarne la correttezza, ponendo eventualmente rimedio agli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, come tali, rinvenibili ed emendabile con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio».

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essere percepibile ed evitabile dal medico in posizione gerarchicamente superiore, il quale, se ha correttamente suddiviso il lavoro fra i medici da lui dipendenti ripartendo quindi le rispettive sfere di competenza, se ha verificato l’insussistenza di indizi che lascino prevedere l’altrui condotta scorretta, può legittimamente fare affidamento sul fatto che i propri collaboratori svolgeranno diligentemente i propri compiti337.

Anche il medico in posizione funzionale inferiore può usufruire del principio di affidamento in funzione limitativa dei propri doveri cautelari. Nei suoi confronti troverà applicazione, eventualmente, un limite al principio di affidamento differente rispetto a quello applicabile al medico in posizione apicale: egli può fare affidamento sulla correttezza dell’operato del superiore finché non emergano in concreto indizi, evidenti e non settoriali, quindi rilevabili con le conoscenze che è tenuto a possedere un medico specialista nella sua stessa posizione funzionale, che permettano di ravvisare un rischio specifico per la salute del paziente; nel qual caso, dovrà attivarsi per evitare che il fatto del medico superiore si traduca in un evento infausto: dovrà dissentire dalle scelte diagnostico-terapeutiche del primario, facendo risultare ciò in cartella clinica e costringendo il primario che ritenga di non accogliere le critiche ad avocare il caso alla sua diretta responsabilità, con

337 In senso sostanzialmente adesivo, G.MARINUCCI-G.MARRUBINI, Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico

in équipe, op. cit., p. 229; A.VALLINI, Gerarchia in ambito ospedaliero ed omissione colposa di trattamento terapeutico, op.

cit., p. 1634; P.ZANGANI, Sul rapporto di subordinazione tra primario e assistente ospedaliero: concorso nella responsabilità

professionale, op. cit., p. 479; D. GUIDI, L’attività medica in équipe alla luce della recente elaborazione dottrinale e

giurisprudenziale, op. cit., 230; F.AMBROSETTI-M.PICCINELLI-R.PICCINELLI, La responsabilità nel lavoro medico

d’équipe, op. cit., p. 51; L.GIZZI, Équipe medica e responsabilità penale, op. cit., pp. 134 e ss.: «Non vi è dubbio che

il medico in posizione subalterna, qualora partecipi attivamente al trattamento diagnostico e terapeutico del paziente, che viene affidato anche alle sue cure, deve adempiere i propri compiti osservando le relative leges

artis e dando attuazione alle eventuali direttive e istruzioni che gli siano state impartite dal sanitario

gerarchicamente sovraordinato. Qualora, però, queste direttive integrino una condotta colposa, contrastando con quelle regole dell’arte medica appartenenti al patrimonio di nozioni tecniche e scientifiche proprie di qualsiasi soggetto abilitato alla professione sanitaria, indipendentemente dal livello professionale e dal settore specialistico, dovrà sicuramente disattenderle e, a seconda dei casi, manifestare i suoi dubbi al medico in posizione apicale, affinché questi possa correggere la scelta diagnostica o terapeutica intrapresa, ovvero dovrà realizzare direttamente gli accertamenti diagnostici o i trattamenti terapeutici ritenuti necessari nelle circostanze del caso concreto, se il paziente è stato a lui affidato e la sua attività non si è limitata a una collaborazione con il primario in qualità di membro dell’équipe medica da questi diretta. Tuttavia, qualora le direttive impartite dal primario abbiano carattere opinabile e controverso, non può esigersi dal medico in posizione iniziale il potere-dovere di verifica della validità e correttezza tecnica delle stesse e, conseguentemente, non può a lui ascriversi una responsabilità per l’evento lesivo da esse derivante».

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conseguente “degradazione” del subordinato a mero collaboratore, irresponsabile quanto alla scelta diagnostico-terapeutica confermata dal c.d. primario338.

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