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1 3 [D.P.R n 761/1979] La svolta nel senso di un maggiore equilibrio

fra le varie posizioni funzionali mediche si ebbe con l’emanazione del D.P.R. n. 761/1979, relativo allo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali. L’art. 63 è dedicato alle posizioni funzionali dei medici incardinati nel Servizio Sanitario Nazionale. La figura del «medico in posizione apicale» è disciplinata nei commi 5 e 6186.

Dalle disposizioni citate emerge, relativamente alle attribuzioni spettanti al medico in posizione apicale, una fondamentale tripartizione: a) attività e prestazioni medico-chirurgiche; b) attività di studio, didattica e ricerca; c) attività di programmazione e direzione dell’unità.

Le disposizioni recano utili indicazioni con riferimento alle funzioni sub a) e

sub c), rispetto alle quali non si tace un collegamento reciproco molto stretto.

In sostanza il medico in posizione apicale, oltre ad essere obbligato a svolgere in prima persona attività diretta alla cura del paziente, organizza il plesso organizzativo ospedaliero a lui affidato. Questa attività direttiva si sostanzia in una serie di mansioni: a) preparazione dei piani di lavoro e verifica della loro attuazione; b) divisione del lavoro fra sé e gli altri medici incardinati nella struttura, fermo restando, per i casi assegnati ad altri medici, la possibilità di avocarli a sé, con esclusiva assunzione di responsabilità e fermo restando l’obbligo di collaborazione da parte del medico “spogliato” del caso clinico; c) indirizzo e verifica con riferimento all’attività diagnostico-terapeutica, tramite istruzioni e direttive, pur nel pieno rispetto dell’autonomia professionale del personale ivi operante187.

186 Art. 63, commi 5 e 6, D.P.R. n. 761/1979: «il medico appartenente alla posizione apicale svolge attività e prestazioni

medico-chirurgiche, attività di studio, di didattica e di ricerca, di programmazione e di direzione dell’unità operativa o dipartimentale, servizio multizonale o ufficio complesso affidatogli. A tal fine cura la preparazione dei piani di lavoro e la loro attuazione ed esercita funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e di cura, nel rispetto dell’autonomia professionale operativa del personale dell’unità assegnatagli, impartendo all’uopo istruzioni e direttive ed esercitando la verifica inerente alla situazione di esse».

«In particolare, per quanto concerne le attività in ambiente ospedaliero, assegna a sé e agli altri medici i pazienti ricoverati e può

avocare casi alla sua diretta responsabilità, fermo restando l’obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni funzionali».

187 Cass. Pen., Sez. IV, 26 marzo 1992, n. 5359, Vallara, in C.E.D. Cass., n. 190284: «L’art. 63, quinto comma,

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, sullo stato giuridico del personale delle U.S.L., specifica che al Primario competono esclusivamente “funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura” ed è, dunque, esclusivamente in relazione a

GIOVANNI PIETRO LUBINU

Questo assetto normativo sembra porsi in discontinuità rispetto al quadro normativo previgente. Non si fa riferimento alla «responsabilità dei malati» ricoverati nella struttura ma, al contrario, si valorizza la «autonomia professionale operativa del

personale dell’unità assegnatagli». Questo dovrebbe significare un abbandono della

prospettiva precedentemente adottata dal legislatore, che vedeva il primario come

dominus del reparto, in favore di un riparto funzionale fra medici che valorizza

l’autonomia decisionale e professionale di ciascuno, fermo restando il potere di coordinamento, indirizzo, verifica del medico in posizione apicale.

Assume ora valenza centrale la divisione del lavoro, attuata attraverso l’atto di assegnazione dei pazienti ai vari medici della struttura. A tale divisione del lavoro dovrebbe tendenzialmente corrispondere una suddivisione delle responsabilità. Pur permanendo un potere di indirizzo e verifica in capo al medico in posizione apicale, la piena responsabilità del singolo caso clinico si radica in capo al medico che ne risulti in concreto affidatario. Lo si desume in negativo dall’analisi comma 6 dell’art. 63, laddove fa riferimento al potere di avocazione del medico in posizione apicale: «In particolare, per quanto concerne le attività in ambiente ospedaliero, assegna a sé e agli altri

medici i pazienti ricoverati e può avocare casi alla sua diretta responsabilità, fermo restando l’obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni funzionali». Da

tali funzioni che egli deve impartire “istruzioni direttive” ed esercitare “la verifica inerente all’attuazione di esse”. Esulano, dunque, dai compiti assegnati al Primario, quelli manageriali e di organizzazione aziendale che spettano ai vertici amministrativi delle U.S.L. (nella specie, dotazione di contenitore di sostanze venefiche immediatamente distinguibili esteriormente da quelli destinati alla conservazione di medicamenti), così come, in particolare, esula quello della custodia dei veleni, che spetta ad altri soggetti (caposala, infermiere professionale)». Cass. Pen., Sez. IV, 2 maggio 1989, n. 7162

Argelli, in C.E.D. Cass., n. 181340: «In tema di ripartizione dei ruoli funzionali (e delle relative responsabilità) tra il

medico-chirurgo “primario” e il medico-chirurgo “aiuto”, operanti in una struttura sanitaria pubblica, l’articolo 63 d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 stabilisce, al quinto comma, che il “primario”, tra l’altro, ha il potere d’impartire disposizioni e direttive, e di verificarne l’attuazione, nel rispetto dell’autonomia professionale-operativa del personale dell’unità assegnatagli, mentre, al sesto comma, nel prevedere un potere di avocazione, attribuito al “primario”, stabilisce che, questo esercitato, ogni responsabilità è assunta dall’avocante (“primario”), al personale appartenente alle altre posizioni funzionali (tra cui rientra anche quella di “aiuto”) residuando solo un obbligo di collaborazione. Pertanto, nel sistema della legge, il potere d’intervento del “primario”, ex quinto comma citato art. 63 d.P.R. n. 761/79, nei precisati limiti, genera una situazione diversa da quella scaturente dall’esercizio del potere di avocazione, contemplato dal sesto comma dello stesso articolo, poiché, mentre l’esercizio del primo potere lascia spazio all’autonomia professionale delle altre posizioni funzionali, nell’ambito – e con i relativi diritti e doveri – di ciascuna qualifica funzionale, l’esercizio del secondo elimina tale autonomia lasciando a queste (altre posizioni funzionali) semplici compiti di collaborazione. La individuazione del dato processuale comprovante l’esercizio del potere di avocazione, e, quindi, l’accertamento di tale situazione, è questione rimessa al giudice del merito. Ne consegue che, ove tale accertamento non sia stato devoluto al giudice del gravame, non può essere posto a fondamento – in fatto – di motivo di ricorso in sede di legittimità, integrandosi, altrimenti, un’ipotesi di novum sanzionato dal divieto ex art. 525 codice procedura penale. (Fattispecie in cui il ricorrente, che in sede di appello aveva eccepito l’esercizio da parte del primario dei poteri di direttiva, di cui al quinto comma art. 63 d.P.R. n. 761/1979, in sede di legittimità sosteneva la carenza di nesso causale tra condotta (assuntamente negligente e imperita) ed evento per effetto – interruttivo – dell’esercizio del potere di avocazione del caso da parte del “primario” sulla base di presupposti non accertati dal, né mai devoluti al, giudice del merito)».

GIOVANNI PIETRO LUBINU

questa disposizione si desume, infatti, che il medico in posizione apicale assume una “diretta responsabilità” solo nei confronti dei pazienti da lui precedentemente assegnati a sé stesso, e nei confronti di quelli che – precedentemente assegnati ad altri medici – decida di avocare a sé. L’espressione “diretta responsabilità” appare particolarmente significativa in quanto sembrerebbe radicare l’esclusiva responsabilità per i casi clinici oggetto di divisione del lavoro solamente in capo ai medici affidatari.

Permane, tuttavia, un potere di indirizzo, verifica e controllo da parte del medico in posizione apicale, che, tuttavia, deve essere armonizzato con l’autonomia professionale dei medici in posizione funzionale subalterna, cui l’art. 63, comma 5 fa espressa menzione. Rispetto alla disciplina previgente, contenuta nell’art. 7, comma 3, D.P.R. n. 128/1969, le disposizioni contenute nell’art. 63, commi 5 e 6, D.P.R. n. 761/1979 hanno introdotto dei significativi elementi di discontinuità, tanto che pare possibile, contrariamente a quanto sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritari188, ritenere fosse avvenuto un fenomeno di tacita abrogazione per

incompatibilità della disciplina previgente rispetto a quella di nuova introduzione relativamente alla stessa materia189.

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